Meditazione

26 05 2009

Vuoto perché si riempia

Cavo perché ricolmo

Graal

Clausura finché s’apra

Silentium finché parli

luce

 

 Clicca sull’immagine della "Terra desolata"

 

Io tacerò ma nel silenzio mio

Le lagrime e i sospiri

diranno i miei martiri.

Ma se avverrà ch’io mora

Griderà poi per me la morte ancora.

Invan dunque, o crudele

vuoi che ‘l mio duol e ‘l tuo rigor si cele,

poi che mia cruda sorte

dà la voce al silenzio ed a la morte.



IAM TECUM EST NOSTRA SUBSTANTIA

24 05 2009



Paradiso_Canto_31a

IAM TECUM EST NOSTRA SUBSTANTIA


BeatoAngelico_PolitticoGuidalotti

DONEC OCCURRAMUS OMNES IN VIRUM PERFECTUM

ilparadisobangelico

IN MENSURAM AETATIS PLENITUDINIS CHRISTI

beato-angelico1

(cliccate sull’immagine per ascoltare il "Te Deum" di Arvo Part))

 

 



FALCONE BORSELLINO & C. – Per chi ha lottato per la verità e la giustizia

23 05 2009

"E’ bello morire per ciò in cui si crede, chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola" (Paolo Borsellino)

 

 

 

Dopo ventun’anni forse la verità sull’omicidio di Mauro Rostagno, avvenuto il 26 settembre 1988: sarebbe stata "Cosa Nostra" trapanese a decretare la sua morte… forse è la volta della giustizia …meglio tardi che mai!

 

 

 

(cliccate sull’immagine)



IN ONORE DI AUNG SAN SUU KYI

20 05 2009


Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione alla dittatura militare in Birmania e premio Nobel per la pace, è stata arrestata  nei giorni scorsi e  incriminata per aver violato gli arresti domiciliari in occasione della visita non autorizzata di un americano alla sua residenza; il suo processo – farsa si sta svolgendo in questi giorni…. Un pensiero al suo calmo e tenace coraggio contro un potere gretto e insensibile a qualunque richiamo ai diritti e alle libertà personali.


Un pensiero di gratitudine, di amore e una preghiera per i monaci theravada che l’hanno seguita altrettanto coraggiosamente in questa difficile lotta non violenta…



Omaggio a “Volodia” Vysotsky

19 05 2009
Vladimir Vysotsky (1938-1980), ufficialmente attore, in realtà un grande poeta russo i cui versi non furono mai pubblicati ufficialmente nel corso della sua vita, anche se attraverso canali non ufficiali moltissimi russi li conoscevano…
Così la gente ai suoi funerali creò un corteo spontaneo di nove chilometri in suo onore a dispetto delle autorità. Oggi a lui in Russia è dedicato perfino un museo.
Ecco una sua bellissima canzone nell’interpretazione di Eugenio Finardi

L’acqua, il cielo ed il bosco hanno mille colori
si, però qualcosa è cambiato,
anche l’aria è la stessa, soltanto che ieri
lui dal fronte non è più tornato,
anche l’aria è la stessa, soltanto che ieri
lui dal fronte non è più tornato.

Chissà chi aveva ragione in ogni nostro discorso
al sonno e al riposo rubato
ha iniziato a mancarmi solo quando l’ho perso
e dal fronte non è più tornato,
ha iniziato a mancarmi solo quando l’ho perso
e dal fronte non è più tornato.

E taceva e parlava sempre fuori misura
e se cantava, cantava stonato
non riuscivo a dormire, si alzava all’aurora
e dal fronte non è più tornato,
non riuscivo a dormire, si alzava all’aurora
e dal fronte non è più tornato.

Non si tratta del vuoto che adesso io sento
si era in due, solo ora ho capito,
che è come fosse un falò che è stato spento dal vento
dal momento in cui non è tornato
che è come fosse un falò che è stato spento dal vento
dal momento in cui non è tornato.

Quasi fosse un’evasa, la primavera devasta
per sbaglio l’ho persino chiamato
dammi un po’ da fumare non c’è stata risposta
lui dal fronte non è più tornato
ho chiesto dammi un po’ da fumare
non c’è stata risposta
lui dal fronte non è più tornato.

Non saremo da soli in tutto questo sfacelo
sentinella sarà chi è caduto
e si specchia nel bosco e nei nostri rigagnoli il cielo
ed ogni albero svetta azzurrato
e si specchia nel bosco e nei nostri rigagnoli il cielo
ed ogni albero svetta azzurrato.

E ce nera di posto in questa sporca trincea
si spartiva ogni giorno e minuto
ora ho tutto per me, ma mi rimane l’idea
di esser quello che non è tornato.
Ora è tutto per me. Resta solo l’idea
che forse son io a non essere tornato.



Signor Colonnello, sono Ernesto, il “Che” Guevara mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo

15 05 2009

L’ultima avventura del Comandante in Bolivia in «Guerriglia» di Steven Soderbergh

benicio-cheguevara
I miracoli non si ripetono all’infinito, ma questo avrebbe chiesto al destino Ernesto «Che» Guevara quando decise di partire alla volta della Bolivia dopo aver partecipato senza successo ad azioni di guerriglia nel Congo. Una rivoluzione non gli bastava, sapeva che finché Cuba fosse rimasta la sola repubblica socialista in America latina sarebbe stata sempre in pericolo; inoltre non era d’accordo con i russi che consigliavano di desistere, di evitare altre azioni di lotta armata. Lo tacciarono di trotskismo e forse era anche vero, ma di sicuro era chiaro che se non ci si fosse impegnati per «esportare» la rivoluzione all’estero, anche dove essa si era realizzata avrebbe avuto vita difficile e forse breve. Un pensiero non poi così campato per aria, vista la situazione odierna. Il dilemma è che, d’altra parte, è impossibile esportare una rivoluzione presso un popolo che non l’ha fatta propria: anche se ci sono tutte le condizioni economico-sociali di questo mondo, l’atteggiamento della popolazione appare poi fondamentale. E’ questo l’amaro insegnamento della vicenda boliviana del Che: un manipolo di irriducili non basta quando la gente è sorda e le grandi potenze ti abbandonano.
Nella seconda parte del film di Soderbergh dedicato alla biografia di Che Guevara, vediamo l’eroe della rivoluzione cubana battersi fino all’ultimo con lo stesso disperato coraggio di sempre, in luoghi che, però, non gli appartengono veramente, che non conosce bene, e diventano ancora più estranei quando la gente silenziosamente gli volta le spalle e continua nell’opera lenta, ma costante, di delazione.

che_guevara_prisionero

La popolazione boliviana non è quella di Cuba e forse il Guevara aveva anche sottovalutato l’importanza di far partire il tentativo di insurrezione da un territorio più congeniale, magari caratterizzato da una presenza operaia, come la zona delle miniere. I «peones» boliviani, semplicemente, non capiscono come si possa cambiare perché per loro la vita è sempre stata segnata dalla miseria e dalla rassegnazione e, quindi, non esiste alcuna prospettiva di miglioramento possibile né si capisce quale potrebbe mai essere. Il «Che» si scontra con il più terribile di tutti i mali del popolo: l’ignoranza, l’incapacità di autocoscienza della propria situazione. Aver lasciato i contadini abbandonati a se stessi, vittime di suggestioni religiose, analfabeti e completamente arretrati, ha dato brillantemente i suoi frutti per il governo militare e i lontani nipoti dei seguaci di Bolivar sono diventati un gregge timoroso in totale balia degli eventi e della legge del più forte. Tutto qui. L’ostilità del partito comunista locale, certamente sobillato dall’Unione Sovietica, ha sicuramente fatto il resto.
E’ un Ernesto Guevara che difficilmente potremo dimenticare questo mitico Comandante perduto nella foresta, mentre vaga con pochi uomini senza arrendersi mai all’evidenza della sconfitta, un uomo che accetta la sfida del coraggio e della caparbia rivolta contro l’ingiustizia fino alla fine, fino alla lenta morte per fame e per esaurimento delle forze prima ancora che per l’accerchiamento e il numero preponderante dei nemici.
che_guevara_morto_tra_i_soldati_boliviani

L’epilogo non lo stupisce, anche se, fino all’ultimo, cerca di convincere il soldato che di notte lo sorveglia a slegarlo e a lasciarlo fuggire… il Comandante Guevara non era tipo da arrendersi: «Siamo realisti: esigiamo l’impossibile» era uno dei suoi motti favoriti.
L’esecuzione è consumata quasi di nascosto da un solo uomo, Mario Teran – volontario, secondo il racconto di Soderbergh, tirato a sorte, dicono altri –  come se ci fosse il timore che un plotone d’esecuzione regolare avrebbe esitato a sparare…
«Lo so che cosa sei venuto a fare, sono pronto. Resterò in piedi per questo. Sappi questo ora: stai per uccidere un uomo!» furono le sue ultime parole.
Una vita e una morte che, avvicinandosi idealmente sempre più al martirio, ha segnato l’immaginario di intere generazioni fino al presente.

*****

Un popolo può liberare se stesso
dalle sue gabbie di animali elettrodomestici
ma all’avanguardia d’America
dobbiamo fare dei sacrifici
verso il cammino lento della piena libertà.

e se il rivoluzionario
non trova altro riposo che la morte,
che rinunci al riposo e sopravviva;
niente o nessuno lo trattenga,
anche per il momento di un bacio
o per qualche calore di pelle o prebenda.

I problemi di coscienza interessano tanto
quanto la piena perfezione di un risultato
lottiamo contro la miseria
ma allo stesso tempo contro la sopraffazione

Lasciate che lo dica
mai l rivoluzionario quando è vero
è guidato da un grande
sentimento d’amore,
ha dei figli che non riescono a chiamarlo,
mogli che fan parte di quel sacrificio,
suoi amici sono "compañeros de revolucion".

Addio vecchi, oggi è il giorno conclusivo;
non lo cerco, ma è già tutto nel mio calcolo.
Addio Fidel, oggi è l’atto conclusivo;
sotto il mio cielo, nella gran patria di Bolìvar
la luna de Higueras è la luna de Playa Giron.
Sono un rivoluzionario cubano.
Sono un rivoluzionario d’America.

Signor Colonnello, sono Ernesto, il "Che" Guevara.
Mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo



FUSER IL FURIBONDO DELLA SIERRA – La rivoluzione cubana raccontata da Steven Soderbergh con gli occhi di Ernesto “Che” Guevara

8 05 2009
che guevaraAvresti detto che tutto avrebbe potuto fare tranne il rivoluzionario latino-americano, quel medico argentino, vittima di terribili attacchi d’asma in mezzo alla giungla, uno che non era mai stato di salute particolarmente solida e che di Cuba sapeva inizialmente ben poco… Ma le parole di Fidel, il suo piglio da comandante nato, lo avevano affascinato e convinto che quella rivoluzione dei paesi dell’America Latina, tanto sognata quanto lontana, era possibile e doverosa. La rivoluzione era il dovere della giustizia contro l’oppressione di chi, essendo ricco, sognava di essere sempre più ricco all’infinito, in una corsa insensata che avrebbe portato verso la guerra e la distruzione dei popoli più deboli.
Così, con una buona dose di follia, Fidel e compagni partono dal Messico su una piccola nave subito intercettata dalle forze di Batista ed è l’inferno. Lo sbarco è tragico e leggendario insieme, alla Carlo Pisacane: di 82 volontari restano in 12, decimati ancora prima di cominciare, tanto che il sogno sembra definitivamente spezzato. Invece, accade il miracolo: la popolazione, anziché finirli a colpi di forcone, si unisce, sia pure lentamente, ai superstiti e nasce così il «Movimento del 26 luglio» fautore della lotta armata contro il governo.
Comincia quasi in sordina la rivoluzione cubana del Che, tra combattimenti sulla Sierra Maestra che si alternano alla sua professione di medico e alla cura dei feriti. Un viaggio senza fine in mezzo alla Cuba profonda, contadina, non raggiunta dal governo filo-americano di Batista, se non per negazione: analfabeti, privi di energia elettrica e di qualunque servizio che possa minimamente ricordare la civiltà. La Cuba dei contadini persi tra le canne da zucchero perché sanno coltivare solo quelle, il prodotto che i colonizzatori hanno loro imposto da generazioni.
E’ qui che Ernesto Guevara capisce perché sta facendo la rivoluzione e di che cosa il popolo ha veramente bisogno. I contadini vivono in povere baracche, privi di tutto perché il 46% delle terre è in mano all’1% dei proprietari. Guevara, inizialmente, sembra defilato rispetto al resto del conflitto, a capo di un reparto di carattere logistico, ma poi, via via si vengono a scoprire le sue qualità: la sua riservatezza quasi timida nasconde un carattere di acciaio, un uomo che è capace di qualsiasi sacrificio per conseguire il suo scopo, l’ideale di tutta una vita.
che guevara1
Un uomo abituato a lottare prima ancora che con il nemico esterno con i limiti e i disagi della sua asma che non lo abbandona mai. Ma proprio per questo sembra che la sua fragilità lo abbia reso ancora più forte, abbia forgiato il suo carattere. E’ un irriducibile, uno che combatte anche quando le situazioni sembrano impossibili o già perse, non per niente la sua è «la squadra suicida». Uno che si arrampica sui monti nella giungla reggendosi da un albero all’altro anche quando non sta praticamente in piedi per le difficoltà respiratorie.
Un rivoluzionario per il quale ogni vita è preziosa, al punto che si ferma per curare venti feriti, ma che non esita un attimo quando deve giustiziare due traditori che hanno razziato e violato le famiglie dei contadini in nome suo e di Fidel.
Un uomo di azione, che non ti aspetti, riflessivo e dalla calma quasi glaciale, proprio nelle situazioni peggiori, ma non freddo. Solo determinato a tutto, pronto a morire in ogni istante, come una consapevolezza quotidiana e scontata, senza enfasi.
Forse è questo che lo rende capace di creare intorno a sé un tale carisma personale da riuscire a mettere insieme gruppi anche diversissimi uniti per la causa rivoluzionaria comune. Fidel lo sa bene e manda lui, infatti, per cercare di mettere insieme le varie anime del movimento rivoluzionario «di pianura», quando la Sierra Maestra è ormai dei ribelli e il vero scopo diventa L’Avana.
Un uomo dal coraggio inossidabile come dimostra il discorso alle Nazioni Unite del 1964, nel quale sottolineava tutto quello che gli Usa stavano facendo contro l’America Latina. Non tralasciò nulla, non cercò alcun compromesso, difendendo la rivoluzione dei popoli oppressi con una chiarezza senza mezzi termini che impressionò e divise i presenti.
Benicio del toro interpreta Che Guevara
L’Ernesto «Che» Guevara di Soderbergh, brillantemente interpretato da un Benicio Del Toro perfettamente in parte, è un uomo che tenta e riesce nell’impossibile: attaccare senza rinforzi, ma confidando sull’effetto sorpresa, l’ultimo avamposto di Batista, Santa Clara, il paese che separa i rivoluzionari da L’Avana. Lo fa da solo, solo con i suoi «suicidi» senza attendere i rinforzi di Camilo Cienfuegos per non lasciare il tempo a Batista di riorganizzarsi. E’ uno che si batte contro tutte le ultime forze concentrate del vecchio regime, ma è convinto che se c’è la determinazione dei combattenti un esercito diventa semplicemente invincibile, anche se armato solo di bastoni e sassi.
La prima parte del film (che prosegue con il secondo episodio Guerriglia dedicato al fallito tentativo rivoluzionario in Bolivia) si chiude con l’arrivo a Cuba. La narrazione si alterna con le dichiarazioni che il Che rilasciò alla giornalista americana Lisa Howard e a brani del già citato discorso alle Nazioni Unite.
Un Soderbergh documentatissimo, forse anche troppo, per questo film che fa riferimento ad episodi perfino minuti della biografia di Guevara. Unico neo il fatto che talvolta il film tenda a perdere un po’ il ritmo e alluda piuttosto che raccontare i fatti, quasi dando per scontato che siano tutti risaputi. Ma il regista ha impiegato ben sette anni per raccogliere tutta questa documentazione, perciò talvolta non sembra rendersi conto delle effettive conoscenze dei comuni mortali…
Anche seguirlo in questo suo dettagliato racconto resta, in ogni caso, affascinante perché restituisce l’immagine del Che in tutte le sue molteplici e realistiche sfaccettature.


IL RITORNO DEL GIUSTIZIERE – Clint Eastwood in «Gran Torino» racconta attraverso il suo mito la società americana

2 05 2009
Gran Torino
L’ispettore Callaghan quarant’anni dopo è un uomo provato dalla vita, che mantiene tutta la sua dignità, ma che non sa più stare al passo con i tempi, o così sembrerebbe. Di fronte al bilancio della sua esistenza si sente ancora un reduce della guerra di Corea, prigioniero dei suoi ricordi dolorosi oppure uno che «sa aggiustare le cose», di qualunque specie siano, ma che, a quanto pare, non è riuscito ad aggiustare la sua vita: i suoi figli non sembrano neppure suoi e intorno si espande una società multietnica nella quale egli non sa vedere altro che i nipotini dei suoi «musi gialli» coreani elevati all’ennesima potenza. Una società in implosione, un’entropia caotica di etnie in lotta come nel Crash di Paul Haggis
Il Clint Eastwood di Gran Torino è il sunto autoironico di tutti i giustizieri dei suoi film del passato poliziesco e western: il signor Kowalsky sputa sprezzante come il texano dagli occhi di ghiaccio ed è veloce con la pistola come il mitico ispettore del caso Scorpio. Un vendicatore solitario degno del pistolero predicatore del Cavaliere pallido, non certo patetico, ma pieno di dignità, capace di andare incontro alla morte così come ha sempre vissuto, a testa alta, consegnandosi volontariamente, come sua ultima sprezzante vittoria.
Il vendicatore di Eastwood è un uomo che sa regalare la sua vita al suo migliore amico: un male oscuro, infatti, lo sta lentamente consumando, ma non andrà in ospedale, non cercherà di vivere ad ogni costo, lascerà il suo testamento spirituale ad un ragazzo cinese, timido e testardo come un mulo, proprio simile lui. Perché, accidenti, «questi musi gialli hanno più cose in comune con me dei miei figli! ». Walt Kowalsky scopre che i suoi vicini di casa dagli occhi a mandorla sono dei braccati come lui dai ricordi del passato e dall’esilio più o meno volontario, mentre gli americani, non sanno che cosa sia la guerra o il dolore e sono buonisti e lisci come crème caramel, come il pretino ventenne che lo insegue per tutto il film cercando di «estorcergli» una confessione in chiesa, con tutti i santi crismi, forse l’unica della sua vita da adulto. Gli altri americani, come i suoi figli, si sono bruciati il cervello con i reality e con un numero imprecisato di altre sciocchezze che li rendono piccoli, gretti e crudeli idioti attaccati alle mille futili apparenze televisive e al denaro.
Questa è la storia di un’iniziazione, ma anche il ripensamento su tutta una vita. Un’esistenza non certo perfetta, segnata dalla guerra, dal rimorso per qualcosa che non si è fatto o non si è potuto fare, per essere l’unico rimasto vivo di tanti compagni. C’è il rimorso di essere ancora al mondo, ma solo, e la consapevolezza che adesso, invece, si può anche dare la vita per qualcosa che ha tutta l’aria di una giusta causa.
Un film intenso, emozionante, eppure dai toni leggeri, ironici, narrativi e concreti. Privo di enfasi e ricco, invece, di mezze tinte, per una vita che potrebbe sembrare tragica o fallita e che, invece, si riscatta con la realtà stessa della propria dignità. Un Eastwood di altissimo livello, degno di lettere da Iwo Jima