CUPRESSI
Carmina
in memoriam
LUDOVICII II REGIS BAVARIAE
13 Junii 1886
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1.His, sine, me moestis tumulum redimire cupressis,
His hederae sertis cingere busta tibi!
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Lascia
che io consoli il tumulo con questi mesti cipressi,
con queste corone di edera lascia che io cinga per te i simulacri!
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2.PAX FUIT UNDA TIlBI. SUBLIMIA MENTE TULISTI. TE SEQUITUR PULCHRUM,
VICTURUM CARMINE, NOMEN.
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L’ONDA
PER TE FU LA PACE. LE VISIONI SUBLIMI RECASTI NELLA MENTE.
TI SEGUE UN NOME GLORIOSO, DESTINATO AD ESSERE VITTORIOSO NELLA POESIA.
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3. “Cur tam
dura tuli! Fatorum fulmine stratus
Occubui. Lacrimis ossa piate mea!”
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Perché dovetti sopportare prove così dolorose! Caddi prostrato dal
fulmine dei fati. Con le lacrime consolate le mie ossa!
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4. Caerulei fuerat tibi porta suprema salutis Unda lacus. Illic patuit
tibi janua pacis. |
E’ stato per te il passaggio supremo della salvezza
l’onda del lago azzurro. Là si aprì per te la porta della
pace. |
5. Undis aeternum, rumpens tua vincula, somnum
Quaeris et indomitus conculcas sub pede fatum.
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Spezzando le tue catene, il sonno eterno nell’onde
cerchi e indomito calpesti sotto il piede il fato.
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6.
“Rex fueram!
Nec ero rex umbra!” Meare
sub umbras: Hoc decet. Indignans regna tremenda petis.
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“Sono stato re! Non sarò mai l’ombra di un re (un re ombra)!”
Andare alle ombre: questo ormai conviene. Furente di sdegno, ricerchi i
regni terribili.
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Murmurat unda canens. Sonat, et sua littora pulsans
Volvitur ad flexas leni cum carmine ripas.
Murmurat unda QUIES. REQUIES levis unda susurrat.
Num fortasse tibi sua mollia murmura fundit?
Spuma sonans crispis allabitur alba coronis,
De tacito cantans somno mitique sopore.
Stat lacus ex alto fulgens et ab aethere tinctus,
Caeruleo condens arcana silentia velo.
Nansque lacu, liquidis canit humida Nais in undis:
HIC EST PAX. Canit unda: VENI! Audisne? VENITO!
HIC PATET AD LETHES OBLIVIA JANUA CORDI.
HIC SUB AQUIS ITER EST. Audisti. Caerula linter
Ad libertatem sic fuit unda tibi.”
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Mormora
l’onda cantando. risuona e le sue
sponde battendo rivolge alle ricurve rive con lieve canto
Mormora l’onda Quiete. Riposa sussurra la lieve onda.
Forse per te riversa i suoi dolci mormorii?
La spuma bianca risuonante si insinua piano con ondeggianti corone,
cantando del tacito sonno e del mite torpore.
Sta immobile il lago, rifulgendo dalle cime, tinto del colore del cielo,
nascondendo dietro un ceruleo velo arcani silenzi.
Fluttuando nel lago canta un’umida Naiade nelle liquide onde:
“Qui è la pace.” Canta l’onda: “Vieni!” Hai sentito? “Andiamo!”
“Qui si apre al cuore la porta agli oblii del Lete.
Qui sotto le acque è la via.” Ascoltasti.
Navicella azzurra verso la libertà così fu per te l’onda.
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7.
Castellum Hohenschwangau.
In
penetrale tuum penetrant sceptrumque paternum Extorquent tibi, Rex,
manibus.
Qui sceptra gerebat, Qui modo cinctus erat diademate, cingit eundem
Nunc vigilum sepes. Tua corda fidelia cuncta
Eripuere tibi. Quo prostravere frementem! Nescit septa pati sentitque
latentia frena. “Jam captivus ero ? Torquent mihi sub juga collum?
Me credunt, me, frena pati ? Docilem fore sperant?” Frenduit in
dentes, expalluit ingemuitque. Tunc gemitus omnes quassato pectore
claudit. “Non erit ulla mihi, non erit ulla salus?”
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Il
Castello di Hohenschwangau
Nel
tuo interno più recondito penetrano e strappano a te dalle mani, o re,
lo scettro paterno.
Colui che sosteneva il regno, colui che era cinto del diadema, ora una
schiera di sorveglianti imprigiona.
Hanno rapito a te tutti i tuoi cuori fedeli.
Come ti hanno abbattuto, fremente!
Non sa sopportare le barriere e percepisce le catene nascoste. “Dunque
sarò prigioniero?
Costringono il mio collo sotto il giogo?
Sperano che sarò docile?
Batte i denti , impallidìsce e geme.
Infine tutti i gemiti racchiude nel petto tormentato: “Non ci sarà
per me, non ci sarà per me alcuna salvezza?”
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9.
Ultimum matri
Ultimum
salve tibi dicit ejus Naïs. Haec pax est cecinit sub undis; Haec et
extremus gemitus valeque audiit ejus.
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L’ultimo
canto alla madre
L’ultimo
saluto ti dice la sua Naiade. “Questa è la pace” cantò sotto le
onde. Queste parole e i suoi estremi lamenti udì e l’addio.
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Tectum
paternum de quo loquor st villa Westerfeld in Frisia. Ex his carminibus
duodecimum est quies, ultra Alpes connexui, iam anno 1879, cetera hoc
ipso anno 1886 citra illa, sub coelo Italiae, hic, ut alio loco dixi
UBI
SACRA MIRTUS
GERMINAT
SERTISQUE VIRET RACEMUS,
HIC
UBI FULGENS PATET ALTUS AETHER
INTUENS
MARMOR VETUS ET RUINAS
DORICAS
CINCTAS HEDERA COLUMNAS
TEMPLAQUE
VESTAE
Aquilae
ad flumen Aternum, inter montes scopulosque Appennini mense Dec 1886.
Carlo
Arrigo Ulrichs
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l
tetto paterno di cui parlo è il villaggio di Westerfeld in Frisia. Di
questi canti il dodicesimo “Est Quies” lo composi al di là delle
Alpi già nell’anno 1879, gli altri, al di qua di quelle (le Alpi)
questo stesso anno 1886, sotto il cielo d’Italia, qui, come ho detto
in altro luogo:
DOVE IL SACRO MIRTO GERMOGLIA E IN SERTI
VERDEGGIA LA VITE
QUI DOVE SPLENDENTE SI APRE L’ALTO CIELO,
CONTEMPLANDO IL MARMO ANTICO E LE ROVINE,
LE DORICHE COLONNE CINTE DI EDERA E I TEMPLI DI VESTA.
L’Aquila, presso il fiume Aterno, tra i monti e le rupi
dell’Appennino, Dicembre 1886.
Carlo Arrigo Ulrichs
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