ISRAELE – DIARIO DI VIAGGIO – 3. L’ombra lunga della guerra – Le alture del Golan

4 08 2012

Dove sono? So che sono lì da qualche parte, ma dove? Passano carri armati trasportati sui camion oppure si intravedono in mezzo alla campagna deserta come abbandonati, ogni tanto si scorgono camionette bruciate lungo la strada. Deserto, nessuno in giro. Ma io so che siamo osservati, chissà se da telecamere o anche da posti di avvistamento sul terreno… tutte queste rovine abbandonate, tutti questi anfratti, chissà cosa nascondono, in realtà.

Campi completamente vuoti e non coltivati… ci chiediamo perché.Poi vediamo delle scritte inequivocabili “ Pericolo, presenza di mine”

Tutti questi campi sono minati e quelle sono ancora postazioni siriane in rovina, tutte all’ombra degli eucalipti perché, a quanto ci racconta la nostra guida, una spia israeliana, oggi eroe nazionale, Eli Cohen, prima della Guerra dei Sei Giorni, si infiltrò nel governo di Damasco e convinse i siriani a piantare degli eucalipti dove
c’erano le loro postazioni militari.

Così quando scoppiò la guerra gli israeliani sapevano esattamente dove attaccare e in questo modo conquistarono in pochi giorni le alture del Golan, fondamentali per la sopravvivenza di Israele a causa delle sorgenti del Giordano. A quanto sembra i siriani avevano manifestato l’intenzione di deviarne il corso: guerra ‘provvidenziale’ quindi.

 


Ci dirigiamo verso il monte Bental dove è conservata una postazione israeliana risalente a quella campagna militare e alla successiva guerra del Kippur alla quale anche la nostra guida ha preso parte.

Durante il breve tratto a piedi ci imbattiamo in cunicoli e camminamenti rinforzati con coperture in metallo, mentre sulla strada ci sono strane sculture stile arte povera, ideate da un artista israeliano riciclando i pezzi di armi e veicoli abbandonati in quel luogo. Ci mancavano solo questi mostri dall’aspetto caricaturale e sinistro per diminuire la tensione e la sensazione di morte!

In cima, il monte Bental è un poggio aperto e davanti a noi si estendono i territori ancora contesi tra Israele e i suoi vicini: il monte Hermon laggiù sulla sinistra e sotto di noi c’è la valle della Beqa’, la valle delle lacrime.

Qui intorno ancora filo spinato, casematte, postazioni e una musica celebrativa che mi ricorda certe melodie delle parate russe o dei cimiteri americani della Normandia, tra il retorico, l’epico e il sentimental-malinconico. Sagome di soldati in posizione di attacco, trincee o quello che ne rimane, gallerie, buche.

Questo popolo si riconosce nella guerra come accade per gli statunitensi, purtroppo; completamente intriso in una retorica dell’eroismo che dal mio punto di vista è totalmente deleteria. Si vis pacem para bellum è la citazione preferita della nostra guida, quando deve giustificare la militarizzazione che ci circonda ovunque. “Dobbiamo farlo per la nostra sicurezza” è il commento costante, ma quale sicurezza?

Certo quella fisica, però c’è da chiedersi che fine faccia l’idea di uno stato laico e democratico in condizioni come queste. Tutto è troppo antico o troppo recente, tra continuo desiderio di riconoscersi in un’unità nazionale dopo secoli di divisioni e di lontananza, e stratificazioni di ricordi insostenibili che bloccano ogni cambiamento vero.

Come questa lingua imbalsamata nel vero senso della parola, riesumata a tavolino a partire dalla fine dell’Ottocento dall’ebreo lituano Eliezer Ben Yehuda, considerato un eroe nazionale. Yehuda, trasferitosi a Gerusalemme nel 1881 decise che la lingua della Torah doveva essere resuscitata, introducendo parole nuove per adeguarla alla modernità, come elemento fondamentale di coesione, visto che fino ad allora era sopravvissuta solo nei riti del sabato.

Davanti a noi c’è la Siria con una città ben visibile a neanche 20 km di distanza. In questo luogo si impara che tutto lo stato è costituito da una striscia di terra strettissima e contesa, che Israele si gira tutto in poche ore e in più all’interno ci sono anche delle enclave musulmane come Gerico e Betlemme nelle quali gli israeliani non possono mettere piede… Si prova una sensazione di accerchiamento e di precarietà difficilmente spiegabile a parole.

E mi chiedo che ne sarà di loro, non hanno un posto dove andare, se non qui e qui il terreno scotta sotto i piedi. La nostra guida è di origine polacca ed è nato in Israele perché i suoi genitori, figli più giovani di una numerosa famiglia, furono inviati in Palestina nel 1936. Di tutti i loro parenti rimasti in Europa non si è salvato nessuno. Sono tutti morti. Le conseguenze di due millenni di violenze e stragi contro gli ebrei perpetrate in Europa, sono qui. Niente è cancellato, tutto continua disperatamente uguale a se stesso.

 

 


Sulle alture del Golan incredibile ma vero in una situazione di questo genere, si fa anche un ottimo vino. Così andiamo a visitare un’azienda vinicola che produce Cabernet, Chardonnay e Traminere subito ci tengono a dire che il loro vino ha vinto premi di eccellenza.
Assaggiamo con particolare diligenza i diversi tipi e le annate e alla fine, animati da una sana allegria, non possiamo che complimentarci per l’ottima qualità. In questa gara con il resto del mondo gli israeliani vogliono arrivare sempre primi in tutto. “Abbiamo il 23% dei premi Nobel pur essendo solo 15 milioni nel mondo…” commentano in un’altra occasione e non c’è da stupirsi di questo, dato che la loro ostinazioneper riuscirein tutto sfiora quasi la follia collettiva… Una delle cose che si nota maggiormente è che il successo nella vita ha a che fare anche con l’amore per la propria patria e quindi è considerato molto positivamente.


Anzi, direbbero loro, è kosher… come il loro cibo preparato secondo le tradizioni religiose della Torah.

Al ritorno passiamo anche per un villaggio abitato da Drusi che si distinguono per i loro costumi tradizionali come la cuffia bianca per gli uomini e i pantaloni neri molto larghi di foggia orientale. Praticano una strana religione sincretica di derivazione musulmana: credono nella reincarnazione e nella venuta del messia, che però, a quanto pare, dovrà nascere da un uomo, non da una donna. Ecco, questa ancora mi mancava….


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