ANCHE IL MERCATO ASPETTA GODOT – “L’Affarista”, l’impietosa satira di Honoré de Balzac sul mondo della speculazione borsistica, è ancora un’opera teatrale di sorprendente attualità

1 02 2012

“Ah! Conoscete la nostra epoca! Oggi, signora, tutti i sentimenti svaniscono e il denaro li sospinge. Non esistono più interessi perché non esiste più la famiglia, ma solo individui! Vedete! L’avvenire di ciascuno è in una cassa pubblica (…) Vendete gesso per zucchero: se riuscite a far fortuna senza suscitare lamentele, diventate deputato, pari di Francia o ministro.”

Se volete divertirvi andando a teatro, ridere di gusto, in modo intelligente, della crisi finanziaria dei nostri giorni e magari scoprire anche qualche bandolo dell’intricata matassa dei mercati, allora “L’affarista” è lo spettacolo giusto. L’opera, pubblicata da Honoré de Balzac durante la crisi economica del 1848, sembra più o meno scritta oggi, visto che le problematiche legate al funzionamento dell’economia di mercato – tra banche, Borse e consigli di amministrazione – somigliano in modo sorprendente alle notizie dei nostri telegiornali. Nello spettacolo presentato nei giorni scorsi al Teatro Sociale di Brescia, all’attualità del testo si aggiunge poi la brillante messa in scena del regista Antonio Calenda, nella quale si impone il protagonista Mercadet, interpretato con travolgente verve da Geppy Gleijeses.

In questa esilarante e illuminante cavalcata all’interno delle assurde e farsesche contraddizioni del nostro sistema economico, il protagonista è accompagnato da un gruppo di ottimi attori tra i quali ricordiamo soprattutto Marianella Bargilli che interpreta la figlia Julie e Paila Pavese la moglie dell'”affarista”, funambolo folle e incosciente della speculazione borsistica. L’opera propone, con accenti ironici e sarcastici, una lucida analisi della situazione in cui la borghesia si è venuta a trovare da quando allo sviluppo industriale si è aggiunto lo strapotere del capitale finanziario attraverso l’introduzione delle quotazioni di borsa. Con la giustificazione, infatti, di trovare finanziatori per le proprie imprese, si è dato il via all’emissione di azioni da quotare, in base, appunto, alla credibilità a breve e a lungo termine delle aziende, vale a dire in base all’odierno temutissimo rating di cui tanto sentiamo parlare in questi giorni. Peccato, però, che tutto sia fondato in gran parte su notizie che sconfinano nelle dicerie, su bilanci non si sa fino a che punto veritieri, su voci incontrollate che possono far alzare o abbassare il prezzo di un’azione all’improvviso e in modo inopinato. Balzac senza mezzi termini colpisce duro i fautori del mercato ad ogni costo e con ogni mezzo, gli speculatori, quelli che sfruttano le disgrazie altrui, quando addirittura non le creano; quelli che, come lo stesso Mercadet, inventano false notizie per abbassare il prezzo di un’azione e quindi ricomprarla prevedendo un rialzo nel momento in cui tali notizie saranno smentite. E che dire dei giochi al ribasso e a borsa chiusa dove le cose si decidono dietro le quinte all’insaputa di risparmiatori e piccoli investitori? Ma se Mercadet è un malato dell’affare, un trader da rischio estremo, d’altra parte i suoi creditori – trasformati da Calenda in caricature ispirate a Honoré Daumier – non sono da meno: come le banche di oggi, anche loro sono lì a speculare sulle disgrazie altrui, come corvacci che si addensino nel cielo del dichiarato fallimento oppure stiano a vedere se si possa in un modo o nell’altro trovare ancora l'”affare” miracoloso che risolva tutti i problemi. E così, se l’affare non c’è, si può sempre inventare. Come? Semplicemente emettendo azioni di una meravigliosa azienda fantasma: dal giornale che non si stampa alla miniera di carbone scoppiata, l’importante è “far credere che…” qualunque cosa sia, purché il mercato cada nella trappola anche solo per un giorno, il tempo di far salire il prezzo e vendere. Oppure ci si inventa un fantomatico socio venuto da Calcutta che ripianerà tutti i debiti…

Il mitico signor Godeau in realtà scappato con la cassa di Mercadet (ma sarà vero? magari è sempre stato un’invenzione!) che, si favoleggia, tornerà ricchissimo dalle Indie. Il suo nome vi ricorda qualcosa? E’ il personaggio al quale Beckett si è ispirato nel suo Aspettando Godot, per identificare qualcuno che non arriva mai e che l’uomo stesso si è inventato. Godeau, insomma è “il salvatore del mercato” atteso da tutti. E d’altra parte non si vende anche oggi non tanto quello che c’è, ma soprattutto quello che non c’è? Non ci si basa su veri o presunti soci (magari proprio indiani o cinesi), su cordate e Opa più o meno fantasma? Com’è piccolo il mondo! Stupisce l’acume di Balzac e la sua straordinaria lucidità quando enuncia la logica del mondo moderno che è soltanto una somma di egoismi ed è completamente governato dal denaro e dalle leggi dell’economia in modo assolutamente “bypartisan”, visto che, quando si tenta la carta della carriera politica, fare i progressisti pare sia molto chic e quindi perché non optare per una bella candidatura socialista? Così De la Brieve, il più sfacciato degli impostori che subito fa lega con Mercadet, tra i suoi sogni, ha proprio quello di diventare ministro… socialista ovviamente.
Molto meglio che lavorare, tanto che quando la signora Mercadet invita entrambi finalmente a rinunciare alle loro trappole da imbroglioni e ricominciare da capo con un lavoro onesto, tutti e due rispondono con orrore: “Un lavoro??!!” Alla fine la “geniale” soluzione di Mercadet mette d’accordo tutti, compresi gli scrupoli di coscienza delle due donne di famiglia, madre e figlia, che da buone borghesi, sperano di salvare l’onorabilità. Non sanno, però, che in una società del genere nessuno entrato in quel meccanismo potrà mai preservare l’onore né l’etica e men che meno la virtù, con buona pace dei fiduciosi riformatori del mercato. In realtà molto poco è stato fatto da allora ad oggi per modificare seriamente determinati meccanismi economici e probabilmente nulla si farà, al di là delle belle parole, data l’enorme importanza degli interessi in gioco. Sono passati quasi due secoli da quando Balzac scriveva ed è forse cambiato qualcosa di sostanziale? Anzi, al contrario, ciò che si vende e si compra a livello finanziario appare talvolta ancora più virtuale e pericoloso di una volta. Derivati e affini docent.

Rossana Cerretti



E QUESTA SAREBBE ANTIGONE? Uno spettacolo da dimenticare per le Belle Bandiere al Teatro Sociale di Brescia

12 01 2012

Ormai da parecchi anni il Teatro Stabile di Brescia ad ogni nuova Stagione di prosa ci infligge le uggiose performance delle Belle Bandiere, compagnia composta da Marco Sgrosso, Elena Bucci & C..
Già in altre occasioni ha destato un certo attonito stupore l’insistenza con la quale questo gruppo di attori venga riproposto in qualunque tipo di repertorio, anche in opere per le quali risulta assolutamente inadatto.
Se, infatti, su testi contemporanei come “L’amante” di A. Pinter o “Edda Gabler” di Ibsen, i loro spettacoli, con un tipo di recitazione piuttosto straniante e fredda, potevano anche avere un senso e in qualche modo funzionare, già con il “Macbeth” e ancor più con la “Locandiera” di Goldoni sono stati dolori: molto poco credibile Marco Sgrosso nel ruolo del crudele sovrano scozzese e, soprattutto, priva del temperamento necessario la Lady Macbeth di Elena Bucci.
Della “Locandiera”, poi, meglio non parlarne: negati completamente i presupposti dell’opera goldoniana, le Belle Bandiere sono andate semplicemente per conto loro, trasformando la protagonista da un’icona dell’intelligenza borghese ad una specie di insulso e riprovevole playboy in gonnella.
L’apoteosi negativa, però, è stata raggiunta mercoledì scorso con “Antigone”: in questo caso la compagnia ha veramente superato se stessa (in peggio ovviamente) creando un’opera lenta, senza ritmo, priva di qualunque drammaticità, svuotata completamente del suo contenuto.
E, a dire la verità, ce n’è voluto perché il capolavoro di Sofocle è veramente difficile da distruggere: generalmente riesce sempre ad imporsi per la forza straordinaria delle sue ragioni contrapposte e per il conflitto, ancora attuale, tra morale naturale e legge dello Stato. Da oggi, però, dovremo dire “quasi sempre”, visto che, alla fine, anche quest’opera è stata costretta a soccombere sotto il peso di una messa in scena a dir poco grottesca: movimenti scenici inesistenti o inutili, ritmi lenti e goffi, recitazione (?) pessima, gridolini, risolini e mossettine che, probabilmente, nelle intenzioni della regista Elena Bucci (ma parlare di regia in questo caso sembra davvero azzardato!) dovevano significare il coro… Che dire?
Dobbiamo senz’altro riconoscere alle Belle Bandiere la “gloria” di essere riusciti nell’impresa fino ad oggi ritenuta pressoché impossibile, di annichilire Sofocle e la sua immortale poesia.
Il pubblico, sbigottito, ha applaudito ben poco, lasciando la sala mentre gli attori ancora si profondevano negli inchini finali…
Rimane solo da fare un appello accorato ai direttori artistici: per gli anni a venire meditate, gente, meditate! Possibile che non ci si possa guardare un po’ più intorno?
Per adesso, intanto, chi se la sente continuerà a sorbirsi le Belle Bandiere e buon divertimento! Per parte nostra, a questo punto, abbiamo già dato…