SHAME, LA TRISTE LIBERTA’

16 01 2012

Angoscia e sesso spazzatura in uno dei film più belli della stagione, interpretato da un grande Michael Fassbender


Brandon Sullivan è un uomo solo: niente veri amici, niente famiglia, solo un lavoro di successo, un appartamento minimalista vista Hudson, da cui si domina New York, e sesso freddo, asettico, brutale, reale o virtuale che sia; può essere la donna di una sera rimorchiata in un bar o la prostituta prezzolata. Non importa. Brandon, efficiente e brillante manager in ufficio, nella vita privata si aggira per New York come un animale randagio in cerca dei suoi simili, con l’incapacità di restare solo con se stesso e il desiderio di distrazione dall’ansia e dalla rabbia che cova in lui. Rifugge volutamente dal contatto umano, perché quello che vive tutti i giorni e le notti è solo un contatto di corpi dal quale non vuole essere realmente “toccato”. Tra Brandon e l’altro sesso, c’è un muro che egli stesso ha elevato, altissimo e invalicabile, fatto di regole ferree: una donna per non più di una sera, niente relazioni, irreperibile per chi lo cerca, soprattutto se donne; in realtà, però, non lo cerca nessuno, a parte sua sorella Sissy che gli chiede continuamente aiuto. Aiuto che Brandon non ha alcuna intenzione di darle.
Lui ha la sua tana da lupo, con le cene preconfezionate tirate fuori dal frigo, le chat erotiche, la masturbazione da quindicenne, le corse sfrenate nella notte per sfogarsi. Brandon, interpretato da un bravissimo Michael Fassbender (coppa Volpi al Festival di Venezia per questo ruolo), è un Don Giovanni triste, eppure le donne difficilmente resistono al suo sguardo ipnotico che emana eros da ogni parte, come un serpente che fissi la preda e la immobilizzi incantandola.

Steve McQueen (video artista inglese, passato brillantemente alla regia, omonimo del famoso attore degli anni ‘60 – ’70) fornisce un ritratto impietoso e obiettivo di uno dei tanti single incalliti di cui ormai la nostra società pullula: uomini volutamente isolati che rifuggono da qualunque responsabilità nei rapporti umani, che temono il sentimento e lo eliminano dalla loro vita, credendo di eliminare così anche la sofferenza; senza rendersi conto che in questo modo si privano semplicemente della vita stessa. Alla fine, però, la sorella Sissy, interpretata dalla brava Carey Mulligan, stanca di lasciare messaggi telefonici senza risposta, piomba a casa di Brandon senza avvisarlo. La scena che segue è tragicomica: la solitudine del protagonista, infatti, è talmente inveterata che, appena scopre la presenza di una persona in casa sua, egli pensa ci siano i ladri e la sua prima reazione è quella di cercare un’arma per difendersi. Giusto presentimento, visto che tra i due comincia una lotta psicologica senza quartiere. Sissy diventa per lui l’elemento nuovo nella sua esistenza incredibilmente robotizzata, una presenza che non sa gestire. Tanto più che la sorella, reduce dall’ennesima delusione amorosa, cerca in lui rifugio e protezione.

Di loro non sappiamo nulla, solo che sono del New Jersey e se ne sono andati molto giovani, probabilmente per sottrarsi ad una situazione difficile, nient’altro. Sono degli sradicati senza passato, almeno apparentemente, ma poi il loro vissuto è, di fatto, una zavorra insostenibile per entrambi. Al contrario del fratello, Sissy non è capace di badare a se stessa, è continuamente alla ricerca di conferme e di affetti che però durano una notte o poco più e poi scompaiono nel nulla. Rappresenta l’altra faccia della medaglia della vita di Brandon: schiacciata dall’ennesimo rifiuto, la sua urgenza di amore la fa diventare instabile, invadente, e inopportuna. Brandon sente una sua telefonata disperata all’ex fidanzato che la respinge ancora una volta. Mentre ascolta la conversazione, il suo viso è quello di un uomo che sa esattamente che cosa Sissi stia passando e che cosa lui abbia deciso di evitare come la peste: la possibilità di mettersi nuovamente in gioco e quindi di soffrire disperatamente. Quando invita a cena una sua collega di lavoro e cerca per una volta di cominciare un rapporto degno di questo nome, appare bloccato e impaurito come un novellino, terrorizzato; quando poi vuole provare a “fare l’amore” sul serio anziché semplicemente “sesso meccanico”, ad un certo punto non riesce più a continuare. Nel frattempo Sissy, sempre più incosciente è andata a letto con David, amico e capoufficio di Brandon, personaggio dalla vita squallida: classico pappagallo da bar, con moglie e figli, che non si fa scrupolo della fragilità di lei né del fatto che sia la sorella del suo collega e ne approfitta senza pietà. E pensare che aveva notato subito le braccia di Sissy piene di cicatrici, visto che non si sa neanche più quante volte la giovane abbia tentato il suicidio tagliandosi le vene. Brandon è arrabbiato con lei, è furioso perché Sissy fa riaffiorare in lui dei sentimenti che non voleva più ricordare; è una donna per la quale non può mostrare indifferenza, ma tra vittima e carnefice sceglie ancora il carnefice.

Davanti a loro c’è continuamente il deserto di una città lontana e triste, dove, parafrasando “New York New York” (cantata da Sissy in una originale versione malinconica) si sperava di arrivare al colmo del successo e ci si è ritrovati soli in riva all’Hudson come estranei a guardar scorrere la vita degli altri. L’emotività della sorella “stana” il protagonista dal suo mondo, lo mette davanti ad uno specchio: egli è diventato almeno esteriormente un insensibile cacciatore di emozioni e di possesso mentale (a proposito del sesso dice:“mi piace come mi fa sentire, come se esistessimo solo io e lei”); Sissy, invece, è sempre all’affannosa ricerca di un uomo che non la abbandoni, incapace com’è di vivere senza aver bisogno di qualcuno. Di fatto a causa del loro vissuto precedente, entrambi usano il sesso come unica forma di contatto con l’altro e come merce di scambio. Sono uguali, in realtà, simili al punto che tra loro esiste uno strano rapporto quasi simbiotico, sviluppatosi proprio nell’ambito di una famiglia con caratteri patologici. La loro relazione ricorda “Vaghe stelle dell’Orsa” di Luchino Visconti, ma il rapporto è invertito, visto che nel capolavoro del famoso regista italiano è il fratello Gianni l’anello debole della catena. C’è qualcosa di strano sicuramente nella loro storia, qualcosa che il regista non racconta, ma di cui vediamo gli effetti: “non siamo brutte persone è solo che veniamo da un brutto posto”… Durante un’intervista, ai giornalisti che chiedevano notizie sul passato dei due protagonisti, Fassbender non ha voluto rispondere per lasciare questo aspetto alla libera interpretazione dello spettatore, pur ammettendo di aver formulato diverse ipotesi a riguardo.  Forse alle spalle c’è una vicenda di violenza familiare, come dimostrerebbe la tendenza all’autodistruzione e l’incapacità di entrambi di riconoscersi sessualmente in modo maturo. Molti hanno interpretato il titolo Shame, “vergogna” come riferito alla vita che Brandon conduce da adulto, ma probabilmente rappresenta, piuttosto, quel senso di colpa e di paura da cui nasce la sua incapacità di rapportarsi col mondo. Il regista, infatti, più o meno consciamente descrive gli effetti a lungo termine di un abuso sessuale infantile: uno degli atteggiamenti tipici della vittima, infatti, è proprio la tendenza ad isolarsi e a rifiutare le relazioni affettive, oppure a fare di se stessa una merce di scambio sessuale. Probabilmente c’è un vissuto comune di fratello e sorella in cui, a fronte di una famiglia dai caratteri fortemente negativi, hanno cercato di creare un luogo mentale di protezione vicendevole, ma forse cadendo in una relazione morbosa.

 

Sissy riattiva in Brandon l’esigenza di sensazioni reali e non più solo virtuali; così il protagonista getta via il computer, ma non riesce ugualmente a imbastire una relazione con l’altro sesso e allora, in una specie di delirio autopunitivo, scende i gradini del suo vizio cercando emozioni sempre più forti e perverse. Fino al momento del brusco risveglio… Finalmente Brandon corre per un vero motivo, ma potrebbe essere troppo tardi. Il regista lascia il finale aperto: in uno scenario in cui domina un individualismo predatorio e ciascuno infligge agli altri continui traumi reciproci, fratello e sorella potranno salvarsi? Il sorriso di una sconosciuta veglia su di lui idealmente dall’inizio alla fine del film. Forse Brandon tenterà…

 


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2 responses to “SHAME, LA TRISTE LIBERTA’”

2 02 2012
Martina (16:20:38) :

Ciao!
Grazie per la tua bella recensione di Shame, o ciò che hai scritto di questo film. O su ciò che hai raccolto per postarlo.
Insomma.
Grazie,
Lo andrò a vedere!
m.

2 02 2012
Roxane (16:29:14) :

Grazie! Poi fammi sapere se ti è piaciuto… 🙂