L’UOMO SECONDO IL MANZONI – Figure di convertiti nei

7 02 2009
I_promessi_sposi_-_2nd_edition_cover1
Mi hanno sempre affascinato le figure di coloro che nei Promessi Sposi cambiano vita, rivoluzionando la loro esistenza. Attraverso questi personaggi il Manzoni traccia un ritratto lucidissimo e preciso della sua visione dell’umanità, analizzando dettagliatamente i presupposti per i quali, dal suo punto di vista, un uomo che voglia restare fedele fino in fondo alla propria natura non possa fare altro che convertirsi, occuparsi del suo rapporto con Dio e con le ragioni ultime dell’universo e dell’esistenza. Per cambiare radicalmente le proprie convinzioni, però, ci deve essere anche prima della conversione, un essere umano «a tutto tondo», una personalità forte e scevra dai compromessi col mondo e col potere. Il Manzoni dimostra di conoscere a fondo il messaggio evangelico anche attraverso le successive interpretazioni di San Paolo e di Sant’Agostino. Ciò che si riconosce in se stessi, in realtà, è un seme che nella coscienza c’era da sempre.

padre cristoforo e don rodrigo
 
UN UOMO LIBERO
Innanzitutto, il convertito è un uomo libero: anche prima di diventare cristiano non ha paura di andare controcorrente, di ritrovarsi solo o di porsi in conflitto con i modelli sociali. Non si lascia particolarmente influenzare dai giudizi degli uomini, e non mostra significativo attaccamento al denaro.
In genere, appare come una figura eroica: non è un tiepido, ma un passionale, piuttosto si dà al male, ma in modo evidente, senza ipocrisia, come nel caso dell’Innominato, contestando apertamente Dio, fino al punto di considerarlo una specie di rifugio dei deboli e dei vigliacchi.
Colui che nei Promessi Sposi si converte, non ha bisogno degli altri per essere cosciente della propria dignità. Come dimostra per contrasto, il caso di Don Rodrigo: quando viene affrontato apertamente da Padre Cristoforo, egli vive una piccola crisi di coscienza, ma prima si reca a fare una passeggiata in paese per ricevere l’omaggio dei popolani al gran completo e sentirsi rincuorato dal proprio potere; poi viene richiamato all’ordine dal riso beffardo del cugino, il conte Attilio. Così, pur di non perdere la propria reputazione, Don Rodrigo si trincera nuovamente dietro le sue piccole certezze, provvidenziali, però, per un insicuro come lui.   Così «la mattina seguente, don Rodrigo si destò don Rodrigo».

Innominato2
 
LA GENESI DELLA CONVERSIONE
Tutte le conversioni manzoniane cominciano con un senso di fastidio, una fantasia che passa velocemente, quasi inosservata nella mente, un pungolo all’apparenza piccolo che poi diventa via via sempre più concreto e stringente.
Tutto ha origine da un innato senso della giustizia come per Lodovico oppure da un confronto con le realtà ultime, un arrendersi dopo aver molto a lungo lottato come per l’Innominato.
Nel primo caso è il sacrificio di Cristoforo a convertire Lodovico, l’atto di generosità e carità spinto al punto di dare la propria vita per lui, lo conquista e lo spinge a riflettere sull’uso della violenza per sostenere una causa per quanto giusta.
Si matura in Lodovico la consapevolezza di aver causato la morte di due uomini per motivi futili. Il convertito non si assolve di fronte alla legge degli uomini, non gli basta sapere di aver agito per legittima difesa, è nella sua coscienza il suo giudice. Perciò si genera in Lodovico il desiderio di essere degno del sacrificio del proprio tutore e anche di diventare finalmente una persona utile all’umanità. Il convertito non cambia il carattere del tutto, ma fa delle proprie caratteristiche dei punti di forza.
 
notte innominato
LE «PROVVIDE» SVENTURE
Ciò che poteva apparire una sventura – come, per esempio, il fatto che i nobili non accolgano Lodovico perché, pur essendo molto ricco, è soltanto un borghese – in realtà, appare come un vero e proprio intervento della Grazia divina, per far sì che il giovane si renda conto dei privilegi e dei soprusi dell’aristocrazia e si volga verso il bene e la giustizia sociale.
Così anche nel caso dell’Innominato, l’avanzare dell’età, che lo spinge verso una sorta di depressione, è, in realtà, la molla che lo porta a riflettere e a cambiare radicalmente il suo modo di vivere e di pensare.
 
cardinale federigo e innominato
LA CONVERSIONE DEL «NEMICO»
Il caso dell’Innominato è più simile a certe conversioni famose, come quella di san Paolo, cioè di un nemico che lotta fino all’ultimo. Anche qui troviamo inizialmente un fastidio per le proprie azioni passate e per i delitti commessi, ma soprattutto c’è il confronto implacabile con lo scorrere del tempo e con la morte.
Colui che non si era asservito mai agli uomini deve cedere a Dio, ma non è facile. Egli sente che sta cedendo e pensa: «Non son più uomo». Gli aspetti che più dovrebbero corrispondere alla vera natura umana, sono considerati da questo personaggio tenace e duro come la pietra su cui è costruito il suo castello, una specie di onta e di vergogna, ma non agli occhi degli altri, solo agli occhi di se stesso. Anche qui come nel caso di Lodovico il protagonista è il più severo giudice di sé.
Egli si rende conto che la propria vita è stata spesa in delitti e si chiede se Dio lo perdonerà. L’Innominato, come san Paolo, resta interiormente "accecato"  nella famosa notte prima dell’arrivo del cardinal Borromeo in visita pastorale nella cittadina sottostante. Deve sopportare la disperazione e il desiderio di farla finita: una via di mezzo tra un Amleto shakespeariano, di cui ripropone le domande, e il Karl Moor dei Masnadieri di Schiller, sebbene mantenendo il tono medio e talvolta ironico tipicamente manzoniano.

Lucia
 
I MOTORI DELLA CONVERSIONE: IL SACRIFICIO, LA PIETA’, LA MISERICORDIA
Alla fine, però, che cosa salverà l’uomo colto dalla disperazione e schiacciato dal delitto?
Inizialmente come motore primario c’è sempre il sacrificio di un giusto: nel primo caso Cristoforo, il tutore di Lodovico, nel secondo, Lucia, la quale, come nuova creatura stilnovista, rivelata dal suo stesso nome, «porta la luce» divina.
Tale sacrificio di un innocente crea la pietà, al punto che l’Innominato è stupito delle proprie reazioni e prima ancora da quelle del fidato "Nibbio".
«Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia»: l’annuncio di salvezza fatto da un giusto illumina una via nuova. Solo l’opera di misericordia può salvare, riecheggiando l’evangelico «discorso della montagna» e il ruolo centrale della carità, sottolineato da San Paolo. Il potere salvifico della compassione è dovuto al fatto che una persona consapevolmente decide di anteporre il bene di qualcun altro al proprio. E’ una specie di atto di fede contro ogni speranza e un abbandonarsi all’abbraccio di qualcuno infinitamente superiore.
Evidentemente il Manzoni si è ispirato al convertito per eccellenza, cioè il buon ladrone, il quale compie alcuni gesti fondamentali: egli ha fede contro ogni speranza umana in Cristo nel momento in cui tutti sembrano abbandonarlo, visto che ormai è solo uno sconfitto; inoltre, si lascia toccare dal suo sacrificio. Il buon ladrone si preoccupa di lui, che è innocente, più che di se stesso, compiendo un atto di carità e compassione estrema. Infine egli professa apertamente la fede, chiedendo al Cristo di ricordarsi di lui quando sarà in Paradiso.
Nell’Innominato Manzoni compie una mirabile sintesi delle caratteristiche umane del convertito. L’opera di misericordia per l’autore dei Promessi Sposi è fondamentale perché, seguendo il pensiero paolino, la prima virtù del vero credente è la carità: senza carità non c’è conversione e cambiamento. «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna… E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova»
Ma cos’è in fondo la carità se non anteporre gli altri a se stessi? Uno degli elementi fondamentali della carità è quindi la rinuncia a sé.
Si inserisce, infine, un altro elemento evangelico (si veda, ad esempio, l’episodio di Zaccheo): il percorso di conversione termina con la curiosità di vedere con i propri occhi e spesso, come nel caso dell’Innominato, con un "viaggio" verso una "novità" che si intravvede da lontano.
 
don abbondio e i bravi
GUAI AI TIEPIDI
Il convertito è un uomo deciso che fa quello che dice: anche prima di diventare cristiano è persona costante e che crede in se stesso, caratterizzato da un’inflessibilità morale: Nel cristianesimo non c’è posto per i tiepidi e neppure per gli ipocriti o i cinici, quelli che lo sono, infatti, non si convertiranno mai. Tra loro il Manzoni mette anche il prete più importante del romanzo, il più alieno da qualsiasi tentativo di conversione: Don Abbondio. Questi anche alla fine dell’opera avrà come unico scopo di eseguire la volontà dei potenti ben prima di quella divina, al punto che, avendo saputo della morte di Don Rodrigo, si deciderà a sposare Renzo e Lucia solo dopo aver ricevuto il beneplacito del nuovo signorotto del luogo.
Oltre al cardinale Federigo Borromeo, che incarna il prototipo del «buon pastore», gli esponenti della vera fede sono i cappuccini per via della loro rinuncia ai beni terreni e al potere temporale della Chiesa, coerentemente con il pensiero giansenista ottocentesco che propugnava una riforma della Chiesa, volta ad enfatizzare la sobrietà dei costumi e il rapporto privilegiato con i poveri. Elemento fondamentale di questi religiosi è il rapporto con il sacrificio spesso eroico, incarnato da Padre Felice, figura che si erge come un faro nel lazzaretto in mezzo alle terribili sofferenze della peste, conferendo alla catastrofe un senso più alto di rinascita collettiva.
 
gertrude monaca di monza
GLI IRRIDUCIBILI
Coloro che non si convertono sono gli insicuri i quali tengono in maggior conto la posizione sociale e i privilegi rispetto alla propria originaria umanità, come Don Rodrigo o la monaca di Monza. Quest’ultima cede alla volontà paterna perché è una giovane viziata, abituata ad avere tutto, convinta di avere il diritto di comandare, ma, in realtà, tale potere è esclusivo retaggio di suo padre, quindi, per esercitarlo deve asservirsi di fatto a lui. Questo passaggio è particolarmente significativo perché, coloro i quali credono di godere di grandi privilegi, di fatto, sono sempre servi del potere che esercitano, poiché non viene da loro stessi, ma dalla classe sociale di appartenenza o dalla loro famiglia.
Nel caso della monaca c’è anche la rabbia che per tutta la vita la divorerà; ella maturerà la convinzione che non esista il bene nell’uomo, ma – come con i fatti le ha inculcato suo padre – ogni azione nasconda sempre un secondo fine legato all’interesse o alla malizia.
Il conte Attilio, il vero deus ex machina negativo di tutta la prima parte del romanzo, è uno scettico, un cinico che non crede a nulla e, quindi, non potrà mai essere cristiano, perché colui che crede in Dio e soprattutto in Cristo deve essere convinto della sostanziale bontà della natura umana in cui il Figlio si è incarnato e della positività dell’intera creazione. Il conte Attilio, invece, si serve di tutti perché si crede in diritto di sentirsi superiore, dall’alto della sua furbizia beffarda e ottusa.
Gli irriducibili creati dalla società sono, invece, i monatti. Questi, detenuti nelle galere e condannati a morte, vengono mandati a compiere l’orribile lavoro di becchini della peste. Se resteranno vivi, al termine della pestilenza saranno comunque giustiziati. Essi vengono, quindi, «uccisi due volte», torturati dal potere, impedendo loro una qualunque reazione umana che non sia di disperazione e violenza cieca. Considerazioni certamente non aliene dalla lettura del saggio «Dei delitti e delle pene» opera del nonno del Manzoni, Cesare Beccaria.
Una sola visione li intenerisce, quella dell’anonima e bellissima «madre di Cecilia», nell’atteggiamento profondamente cristiano di rassegnazione alla volontà di Dio; alcuni, osservando la scena, mostrano la pietà del buon ladrone, colpiti dal sacrificio del giusto e dalla sua dignità che testimonia la fede anche nell’ora estrema.

castello innominato1
 
IL CONVERTITO CAMBIA IL MONDO
Intorno al vero convertito, infatti, il mondo cambia, come, per esempio, accade per padre Cristoforo, quando, ancora fresco di voti, decide di andare a chiedere perdono al fratello di colui che ha ucciso. Tutti i parenti schierati in pompa magna lo attendono impettiti per ricevere «soddisfazione», ma, alla fine, saranno proprio loro ad assumere ben altro atteggiamento, riconoscendo in Cristoforo un uomo autentico, in un mondo di merletti e alte uniformi, perché per convertirsi c’è bisogno di un essere umano che non si nasconda per viltà o interesse dietro delle maschere e dei ruoli sociali.

Ci vuole una persona forte coraggiosa che sappia guardare dentro di sé e non ne abbia paura né distolga lo sguardo. Un uomo, che non ha timore neppure del mondo e dei suoi idoli, in parte, almeno, svincolato da tutto quello che rappresenta l’integrazione e l’affermazione sociale.

Di fronte alla verità non si può restare indifferenti, si finisce per prendere una posizione netta, come accade, in negativo, dopo l’intervento di Padre Cristoforo presso Don Rodrigo.

Così Lucia con la sua umile purezza rende una testimonianza talmente forte, mostra in modo talmente evidente la colpa dei suoi rapitori che il Nibbio avrebbe preferito piuttosto ucciderla subito che vedere "quegli occhi", udire quelle parole…
 
LE VIE DELL’UOMO E LE VIE DI DIO
E’ interessante, inoltre, che le azioni del convertito non sempre conseguono il fine previsto: è difficile, valutarne il vero valore, se non sulla lunga distanza.
Questo aspetto è tipico dell’agire di padre Cristoforo, ma è anche un elemento costante del romanzo: per quanto un cristiano possa essere lungimirante riguardo alla volontà di Dio, nessuno conosce davvero le sue vie che sono imperscrutabili ed imprevedibili.
Il romanzo si risolve, infatti, proprio per un intervento divino diretto, favorito solo dalla mediazione involontaria di Lucia. Attraverso di lei il suo «persecutore» incontra il Cristo, come nel caso di Paolo sulla via di Damasco.
Il Manzoni sembra voler sottolineare che quando il convertito pensa di poter risolvere le situazioni con mezzi umani le sue iniziative non sono risolutive.
Dio si serve in modo imponderabile anche delle azioni degli uomini, ma solo la conversione del cuore, secondo il Manzoni, ha vero potere di cambiamento positivo sulla storia umana.
 

Actions

Informations