L’ARDEA PURPUREA E LA FOGLIA DEL LOTO – Una visione seguendo la corrente del fiume

17 06 2009
airone_rossoE l’airone rosso che vola all’indietro, parlò agli uomini del fiume, uomini di pianura e terra che non conoscono il divenire delle cose, se non le stagioni, ma non sanno di acqua né dei mondi di sotto né di quelli supremi. Non sanno di mare e vento né di onde e di ciò che la potenza dell’oceano restituisce ai viventi nelle loro ultime sembianze.
Parlò l’airone e disse: "Cogliete, dunque, o uomini, la foglia del loto perché io passa guidarvi al suo significato, e mostrarvi perché essa si saluta dicendo «Salve, o gioiello del loto». Sappiate, o uomini, che così è il loto che tenete nella vostra mano: pieghevole la sua foglia, in tutte le direzioni si può spandere, adattandosi al divenire delle cose e a tutte le forme, ma, una volta tagliata dalle sue sorelle, ben poco dura e subito appassisce. Vuota è, infatti, la sua sembianza, unicamente composta d’acqua, nell’acqua si ciba. Perciò è goccia del dharma nel dharma. Le sue radici sono orizzontali e si muovono lungo il letto del fiume unendo tutte le sue simili in un unico grande sentiero sospeso, non vive essa senza le altre, né senza le sue radici fangose, ancorate alla terra. 

Foglia di loto

Così avviene anche per il suo bellissimo fiore che si eleva sullo stelo superbo come sostenuto dall’aria, ma, una volta colto, può vivere solo per poco tempo e ancora totalmente immerso nell’acqua. La sua rosea corolla porta molto frutto, che può cibare il povero con abbondanza.

La superficie della sua foglia sembra seta dai riflessi di velluto e l’acqua la attraversa senza bagnarla né scalfirla così come disse il saggio Sakyamuni: «Una mano senza ferite può maneggiare veleni senza danno. Così il male non tocca l’innocente»
Al centro della sua foglia, là dove si attacca il picciolo e più profuma di erba tagliata e verde, si vede l’immagine dei due emisferi di cui si compone la nostra mente… l’immagine vista dall’alto, mirabile e perfetta, dell’encefalo umano. Là fiorisce il chakra supremo che porta di là del fiume.
Perciò così è spiegato ciò che fu detto a proposito del Loto: «Questo è il re dei sutra, riconoscetelo come vostro grande maestro»

Se, dunque, cercate un maestro per la vostra vita, o uomini, fate che sia il Loto"



LA LEGGENDA DELLO STUPA VOLANTE

13 01 2009
Monaco buddistaUn giorno il monaco mendicante Tripikaka ebbe una visione: in una notte di luna piena gli apparve Buddha Shakyamuni che volando su un fiore di loto gli disse: « O Tripikaka, costruiscimi uno stupa di berillo e di smeraldo dal quale pendano stoffe preziose e intorno alberi adorni di gioielli spandano la loro luce e soavi melodie»
Ma il monaco rispose: «Come posso, o Venerabile Tathagata costruirti un simile stupa? Io non posseggo nulla, non ho averi su questa terra né protettori potenti né parenti a cui chiedere perché io possa farti un simile dono…»
Ma il Buddha lo guardò sorridendo e avvolto in una pioggia di mandarava scomparve alla sua vista senza rispondere. Il monaco, mortificato, pensò e ripensò a come poter soddisfare le richieste del venerabile Shakyamuni, ma non venne a capo di nulla.
Poiché era un monaco girovago, mentre pensava e ripensava vide un uomo al quale la ruota del carro si era incastrata tra le pietre di una via dissestata e lo aiutò a far ripartire il suo veicolo.
Poi riprese il cammino.
Dopo un po’ trovò un giovane che piangeva perché l’anello che il padre morendo gli aveva donato era finito in un canale poco distante e non riusciva più a ripescarlo. Allora insieme si recarono sulla riva e ciò che uno solo non sarebbe riuscito a fare, in due, invece, riuscirono a realizzare, così l’anello fu ritrovato e tornò al dito del suo legittimo proprietario.
Intanto colui che aveva sbloccato la ruota del carro e si era rimesso in marcia e poco dopo trovò sulla strada un piccolo cane ferito che gli disse: «Pietà signore, salvami o coloro che passano sulla via mi schiacceranno! » Allora il carrettiere lo prese con sé e lo curò.
Mentre il giovane che aveva recuperato l’anello incontrò una donna che stava portando un paniere di riso verso casa e la aiutò sobbarcandosi tutto quel peso, eccessivo per lei.
Intanto il monaco aveva proseguito, e giunse presso la casa di un ricco mercante. Lì una giovane si lamentava perché il suo innamorato l’aveva lasciata e minacciava di lasciarsi morire di dolore. Allora il monaco pianse con lei tre giorni e tre notti, finché la giovane il quarto giorno si alzò e si mise a mangiare.
Successivamente, il monaco incontrò un bambino che solo, davanti alla sua casa, era triste, perché non aveva nessuno con cui giocare. Allora il monaco con le sue dita disegnò le ombre sul muro, imitando uomini e animali finché il bambino rise, si divertì e le lacrime scomparvero dai suoi occhi.
Nel frattempo, la giovane innamorata incontrò un vecchio solo che si trascinava perché era zoppo allora lei lo prese sotto braccio e insieme si recarono da un artigiano dove gli fece costruire un bellissimo bastone.
Contemporaneamente, il bambino si recò a scuola, e ricordando quanto si era divertito, scrisse pensieri bellissimi, con meravigliosa calligrafia come se sul foglio le sue mani stessero danzando, così fece sorridere la maestra, che di solito era molto severa.
Il piccolo cane ferito, poi, dopo essere stato curato dal carrettiere, un giorno vide un cieco che non riusciva più a trovare la strada e allora lo tirò per una manica finché lo guidò dove doveva andare. La donna che portava il paniere trovò un mendicante che non aveva nulla da mangiare e gli versò nella bisaccia tanto riso da sfamarlo per una settimana.
Intanto il monaco aveva proseguito il suo cammino e giunse dal più ricco degli uomini, il quale gli disse:« Se io che sono il più ricco degli uomini sono così infelice, chissà come ti sentirai tu che non possiedi nulla in questo mondo…» Ma il monaco rispose sorridendo: «Veramente non mi sento infelice poiché questo è l’unico tesoro che l’uomo può possedere e che nulla potrà portargli via. Essere in sintonia con l’universo.»
Allora il più ricco degli uomini rimase stupito e gli chiese: «Insegnami come si può essere felici allora!»
Ma il monaco gli rispose: «Io non lo so veramente, ho soltanto pensato a chi incontravo, non ho pensato molto a me.»

Nel frattempo dalle dieci direzioni cominciarono a radunarsi tutti coloro che per un motivo o per l’altro avevano ereditato le azioni del monaco: arrivò il carrettiere, il giovane dell’anello, il bambino triste, la giovane innamorata, il piccolo cane, la donna con il paniere di riso, il vecchio col bastone, il cieco e mille altri che lo avevano incontrato nel cammino o che erano stati beneficiati anche indirettamente dalle conseguenze dei suoi atti.

Il monaco rimase molto stupito, non avrebbe mai pensato di aver raggiunto così tanta gente.
Nel frattempo nel cielo si cominciò a scorgere un bocciolo luminoso dai lunghi petali.
Esso giungeva dall’alto avvolto dalla luce e quando arrivò quasi a terra si schiuse: dentro c’era uno stupa di berillo, smeraldi e rubini con alberi di gioielli che tintinnavano intorno e stoffe preziose dai molti colori che si muovevano al vento.
Tutti coloro che erano giunti si misero a girare sette volte intorno allo stupa meraviglioso e, infine, esso divenne trasparente: così tutti videro che dentro il Tathagata insegnava la Dottrina, spandendo la sua luce.
Allora si udì una voce: «Ecco lo stupa che hai costruito o bhikkhu, con le tue mani stringendo le mani di molti, queste sono le pietre che Mara non potrà mai portare via!»

stupa_night
 

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LA LEGGENDA DELLO STUPA VOLANTE

13 01 2009
Monaco buddistaUn giorno il monaco mendicante Tripikaka ebbe una visione: in una notte di luna piena gli apparve Buddha Shakyamuni che volando su un fiore di loto gli disse: « O Tripikaka, costruiscimi uno stupa di berillo e di smeraldo dal quale pendano stoffe preziose e intorno alberi adorni di gioielli spandano la loro luce e soavi melodie»
Ma il monaco rispose: «Come posso, o Venerabile Tathagata costruirti un simile stupa? Io non posseggo nulla, non ho averi su questa terra né protettori potenti né parenti a cui chiedere perché io possa farti un simile dono…»
Ma il Buddha lo guardò sorridendo e avvolto in una pioggia di mandarava scomparve alla sua vista senza rispondere. Il monaco, mortificato, pensò e ripensò a come poter soddisfare le richieste del venerabile Shakyamuni, ma non venne a capo di nulla.
Poiché era un monaco girovago, mentre pensava e ripensava vide un uomo al quale la ruota del carro si era incastrata tra le pietre di una via dissestata e lo aiutò a far ripartire il suo veicolo.
Poi riprese il cammino.
Dopo un po’ trovò un giovane che piangeva perché l’anello che il padre morendo gli aveva donato era finito in un canale poco distante e non riusciva più a ripescarlo. Allora insieme si recarono sulla riva e ciò che uno solo non sarebbe riuscito a fare, in due, invece, riuscirono a realizzare, così l’anello fu ritrovato e tornò al dito del suo legittimo proprietario.
Intanto colui che aveva sbloccato la ruota del carro e si era rimesso in marcia e poco dopo trovò sulla strada un piccolo cane ferito che gli disse: «Pietà signore, salvami o coloro che passano sulla via mi schiacceranno! » Allora il carrettiere lo prese con sé e lo curò.
Mentre il giovane che aveva recuperato l’anello incontrò una donna che stava portando un paniere di riso verso casa e la aiutò sobbarcandosi tutto quel peso, eccessivo per lei.
Intanto il monaco aveva proseguito, e giunse presso la casa di un ricco mercante. Lì una giovane si lamentava perché il suo innamorato l’aveva lasciata e minacciava di lasciarsi morire di dolore. Allora il monaco pianse con lei tre giorni e tre notti, finché la giovane il quarto giorno si alzò e si mise a mangiare.
Successivamente, il monaco incontrò un bambino che solo, davanti alla sua casa, era triste, perché non aveva nessuno con cui giocare. Allora il monaco con le sue dita disegnò le ombre sul muro, imitando uomini e animali finché il bambino rise, si divertì e le lacrime scomparvero dai suoi occhi.
Nel frattempo, la giovane innamorata incontrò un vecchio solo che si trascinava perché era zoppo allora lei lo prese sotto braccio e insieme si recarono da un artigiano dove gli fece costruire un bellissimo bastone.
Contemporaneamente, il bambino si recò a scuola, e ricordando quanto si era divertito, scrisse pensieri bellissimi, con meravigliosa calligrafia come se sul foglio le sue mani stessero danzando, così fece sorridere la maestra, che di solito era molto severa.
Il piccolo cane ferito, poi, dopo essere stato curato dal carrettiere, un giorno vide un cieco che non riusciva più a trovare la strada e allora lo tirò per una manica finché lo guidò dove doveva andare. La donna che portava il paniere trovò un mendicante che non aveva nulla da mangiare e gli versò nella bisaccia tanto riso da sfamarlo per una settimana.
Intanto il monaco aveva proseguito il suo cammino e giunse dal più ricco degli uomini, il quale gli disse:« Se io che sono il più ricco degli uomini sono così infelice, chissà come ti sentirai tu che non possiedi nulla in questo mondo…» Ma il monaco rispose sorridendo: «Veramente non mi sento infelice poiché questo è l’unico tesoro che l’uomo può possedere e che nulla potrà portargli via. Essere in sintonia con l’universo.»
Allora il più ricco degli uomini rimase stupito e gli chiese: «Insegnami come si può essere felici allora!»
Ma il monaco gli rispose: «Io non lo so veramente, ho soltanto pensato a chi incontravo, non ho pensato molto a me.»

Nel frattempo dalle dieci direzioni cominciarono a radunarsi tutti coloro che per un motivo o per l’altro avevano ereditato le azioni del monaco: arrivò il carrettiere, il giovane dell’anello, il bambino triste, la giovane innamorata, il piccolo cane, la donna con il paniere di riso, il vecchio col bastone, il cieco e mille altri che lo avevano incontrato nel cammino o che erano stati beneficiati anche indirettamente dalle conseguenze dei suoi atti.

Il monaco rimase molto stupito, non avrebbe mai pensato di aver raggiunto così tanta gente.
Nel frattempo nel cielo si cominciò a scorgere un bocciolo luminoso dai lunghi petali.
Esso giungeva dall’alto avvolto dalla luce e quando arrivò quasi a terra si schiuse: dentro c’era uno stupa di berillo, smeraldi e rubini con alberi di gioielli che tintinnavano intorno e stoffe preziose dai molti colori che si muovevano al vento.
Tutti coloro che erano giunti si misero a girare sette volte intorno allo stupa meraviglioso e, infine, esso divenne trasparente: così tutti videro che dentro il Tathagata insegnava la Dottrina, spandendo la sua luce.
Allora si udì una voce: «Ecco lo stupa che hai costruito o bhikkhu, con le tue mani stringendo le mani di molti, queste sono le pietre che Mara non potrà mai portare via!»

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LA PARABOLA DEL FIUME E DELLA SORGENTE – Meditando su un passo del Dhammapada

31 12 2008
Il monte kailash
La Montagna di Cristallo: il monte Kailash in Nepal da cui nasce il fiume Brahmaputra

Se compi un´azione salutare falla di nuovo.
Gioisci nel ricordarla.
Il frutto della bontà è la contentezza.
Dhammapada 118


Un giorno il Beato si sedette di fronte ad un piccolo ruscello seguito dai suoi discepoli. In silenzio cominciò a meditare. Petali di loto brillanti come gioielli sollevavano il suo corpo verso l’alto come se non avesse peso. E guardando il piccolo corso d’acqua disse: «Questa, o Ananda, è la sorgente del fiume Brahmaputra: ora è solamente un piccolo ruscello, e all’inizio del suo cammino gocciola solo lievemente dalle rocce, ma via via che si muove verso la pianura si arricchisce delle acque di tutti gli altri fiumi e torrenti che incontra nel suo cammino. Infine le sue acque impetuose rendono fertile la pianura, finché talvolta rompono gli argini e portano sollievo alle terre assetate e desiderose, come fossero riarse dal fuoco.» Così disse e restò in silenzio.
Allora i discepoli cominciarono in cuor loro a porsi domande sul vero significato delle parole del Beato Tathagata, nato dal Loto. Tutti scrutavano nella loro mente, ma solo Ananda infine chiese:
«Cosa sono le gocce o ben Risvegliato, e che cosa è il fiume?»
«Quando il saggio compie il bene, o Ananda – disse il ben Risvegliato, Tathagata, nato dal Loto – non guardi se sia piccola o grande cosa. Seppur piccola e effimera come goccia l’azione del bene suscita altro bene. Perciò il bhikkhu sia come la sorgente che gocciola e lentamente accumula meriti sulla via del bene. Incontrando gli altri esseri e praticando altre azioni meritevoli, quel bene diverrà fiume – il figlio di Brahma che lava i peccati dal mondo – e infine renderà fertile tutta la sua mente, perché straripando, anche dove più arde e brucia essa sarà saziata.»
Ma Ananda chiese ancora: «Le azioni del bene , o ben Risvegliato, sono difficili da ripetere e a volte non ci sentiamo più in grado di compierle. Come possiamo fare allora per diventare ruscelli?»
«O Ananda, io ti dico, in virtù della tua passione per il Dharma tu non diverrai ruscello, ma grande fiume e sappi che molto vale il ricordo. Gli uomini ciechi, accecati da Mara, ricordano solo il male e il fuoco li divora, ma tu pensa alla goccia e al bene dato e ricevuto. Medita su quella goccia, suscita di nuovo la sua piccola illuminazione e in quella luce, anche di umile candela, agisci di nuovo e di nuovo, finché avrai riempito una grande giara cosicché rovesciandola, come dal lago Mapham Tso, scorrerà il tuo fiume.»
Il Beato rimase in silenzio, poi riprese:
«Non dimenticare te stesso. Non dimenticare quanto hai appreso dall’insegnamento e dalle tue azioni. Replica il bene, aggiungi gocce alla tua vita, o Ananda»

Brahmaputra
Il fiume Brahmaputra in Tibet


TUTTO SI PERDE, MA NULLA E’ PERDUTO – Meditando sulla Luce del Loto

26 12 2008

23 Novembre 2008

buddha_shakyamuni_with_sariputra_and_maudgalyayana_tk77

E il Beato disse: «Tutto si perde dunque, o Sariputra, di ciò che esiste, ma nulla è perduto di ciò che esiste, che è esistito o esisterà.

Perciò veglia su te stesso e sulle tue azioni perché nulla si cancella. Sii dunque il guardiano di te stesso.»
E disse ancora il Beato Padmaprabha: «Tutto si perde, o Sariputra di ciò che esiste, ma nulla è perduto di ciò che esiste, che è esistito o esisterà. Perciò ognuno degli esseri almeno una volta è stato tua madre, ognuno degli esseri almeno una volta è stato tuo padre. Attendono che tu li riconosca.
Fa’ girare, dunque, la ruota del Dharma, o Sariputra, affinché siano liberati tutti coloro che ti hanno generato.»
Così parlò il Beato Padmaprabha e una pioggia di fiori di mandarava scese sul suo capo e danzando nell’aria li avvolse.