VINICIO CAPOSSELA – CHRISTMAS VINICIO – Un Capossela in versione natalizia, propone le ultime date del suo «Solo Show»

7 12 2009
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«Venghino, venghino signore e signori, lo spettacolo di Vinicio Capossela sta per cominciare! Tutto vivo! Niente morto!». La serata con il più fantasioso e onirico dei nostri cantautori comincia il 5 dicembre sulla piazza del teatro Civico della Spezia, dove ad attenderci troviamo la mangiatrice di fuoco in tutù e calze a righe bianche e rosse, accompagnata da un giocoliere burlone dai baffetti appuntiti e da una fata dal lungo vestito verde smeraldo che suona un piccolo organetto a manovella…
Divertiti e curiosi entriamo subito nel mondo dei sogni di questo autore cosmopolita quanto la sua musica: nato ad Hannover da genitori irpini, ha vissuto poi a lungo in Emilia, per trasferirsi infine a Milano, nel quartiere della stazione Centrale. Un luogo di partenze e di addii, come lo definisce, nel quale può seguire il filo sottile delle sue visioni ed elaborare le sue giocose illusioni per gli spettatori. Con la sua arte torniamo un po’ tutti bambini per guardare con verità spontanea le dinamiche del mondo. A cominciare dai sentimenti, spesso così misteriosi e indecifrabili, forti come tempeste, ma fuggevoli come piume, per giungere poi ai simboli, ai miti tipici dell’inconscio collettivo di un popolo. Il tutto accompagnato da un gruppo di strumentisti veramente notevoli che uniscono le atmosfere swing al gusto retrò sul genere di Fred Buscaglione e Renato Carosone, mentre alla cultura yiddish di un Moni Ovadia fanno eco le citazioni di cantautori d’oltreoceano come Tom Waits. Come in un quadro di Chagall o di Rousseau il doganiere, il palcoscenico si popola di animali fantastici, anche perché è dicembre e «a dicembre i sagittari impazziscono», afferma Capossela, riferendosi alla propria data di nascita (il 14 di questo mese), ma anche al fatto che l’immaginario natalizio della cultura popolare è spesso abitato da creature improbabili, processioni di maschere che celebrano il ritorno della luce sulla terra.
 
real twins

Prima di tutto, per provocare la «sospensione dell’incredulità» Vinicio evoca «Il gigante e il mago», uno dei pezzi più significativi del suo ultimo cd «Da solo», nel quale racconta come, proprio quando ci si sente abbandonati da tutti, l’incantesimo della poesia ci possa salvare. Il gigante e il mago nascondono probabilmente le personalità del poeta Vincenzo Costantino Chinaski e dello stesso Capossela, raffigurati, in uno dei più significativi disegni dedicati allo spettacolo, come i «real twins», i due veri gemelli siamesi, uniti fantasiosamente in uno stesso corpo. Nel mondo del musicista e del poeta, con l’ausilio di una minuscola tastiera, possiamo inseguire la dolce immagine dei calzini spaiati e del loro paradiso in cui, alla fine, ritroveranno i compagni perduti o forse no, ma non importa perché allora non ci sarà più pena anche «se non sei con me». Una metaforica ninna nanna, per raccontare le domande di sempre: che cos’è l’amore? perché l’amore se ne va? e dove vanno tutti quei sentimenti finiti quando spariscono dalla nostra vita? Si ritroveranno tutti in quel cielo di note di un pianoforte giocattolo, perché, come afferma il cantautore in un’altra sua bellissima canzone, se tutto è nascosto nel cielo, al cielo io ritornerò»
«Posso solo dire di trovarmi d’accordo con Céline, quando diceva che l’emozione è tutto nella vita e quando siete morti è finita» Anche per Capossela, come per Celine la parola deve essere soprattutto evocativa, con l’intento di suscitare l’adesione alla magia di una sensazione, piuttosto che una comprensione intellettuale. I sentimenti per Capossela sono apparizioni bellissime che però non durano a lungo, contemplate con lo stupore triste dell’attimo in cui si guarda il palloncino della fiera sfuggito ad una manina distratta, allontanarsi lassù nel cielo. Gli uomini e le donne continuano ad intrecciare le loro costole come esseri ciechi che non sanno trovare riposo e infine si lasciano reciprocamente soli sulla «nuda nuda terra a cercare», come accade nella canzone «La faccia della terra», tratta dai «Racconti dell’Ohio» di Sherwood Anderson; una sorta di Spoon River dell’amor perduto dove l’andamento della ballata popolare accompagna l’eterno replicarsi della passione..
L’uomo vivo di Capossela è un coraggioso, perché oggi si vive «In clandestinità» e la libertà fa soprattutto paura. La clandestinità è l’incapacità di mostrarsi per quello che si è pur di fingere un’integrazione sociale e di lasciare tutto come sta. Si cancella la propria personalità, si annullano i desideri o si vivono di nascosto, «nella notte» piuttosto che venire allo scoperto. E’ un’esistenza vissuta da soli, senza dare e senza prendere, come i due protagonisti della canzone Mr. Mall e Mr. Pall (altri due alter ego di Capossela e di Chinaski) che si possono incontrare solo di notte e sognano il giorno in cui potranno vedere finalmente insieme l’alba, perché allora vorrà dire che saranno liberi. Per Capossela, che cita in questo caso lo stesso Chinaski: «Ognuno ha le sue prigioni, ognuno ci convive, ma quando le pareti cominciano a restringersi le facce diventano anonime… il sapore della libertà è la paura, solo chi ha paura della libertà ha il coraggio di inseguirla»

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Un tipo di società falsamente aperta al «diverso» è quella americana alla quale Capossela durante il concerto dedica due bellissime canzoni come «Dove siamo rimasti a terra Nutless», ispirata a «C’era una volta in America» di Sergio Leone, e «Vetri appannati d’America» con riferimento alla vita ai margini di molti statunitensi, i quali, pur essendo ben lontani dai modelli di riferimento della società d’oltreoceano, con spirito di appartenenza al loro Paese, accettano anche l’idea di essere messi da parte. Non sono mancati, però, anche pezzi più giocosi come «Tanco del Murazzo» e «Corvo Torvo», eseguito con un eccezionale arrangiamento jazz. A questo punto, il pubblico numerosissimo ha cominciato ad accompagnare prima con il battere delle mani poi anche ballando il ritmo trascinante della musica in un crescendo di entusiasmo. Dopo la parentesi meditativa dell’emozionante «Santissima. dei naufragati», ispirata alle canzoni popolari siciliane dell’Ottocento, che ha chiuso la prima parte, l’atmosfera si è fatta decisamente più circense e ludica, aperta da uno svolazzare di ali di pipistrello nell’«Accolita dei Rancorosi» per entrare poi nel vivo della performance: «Come fosse una galleria di cose straordinarie, come fosse un sideshow di quelli che si trovano ad Austin, dove c’è un imbonitore che ti chiama e ti invita ad entrare nel suo mondo di attrazioni assurde» ha spiegato Capossela, riferendosi al suo recente viaggio negli Stati Uniti.

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«Questo, signore e signori, – spiega ancora l’istrionico cantautore – non è uno spettacolo, è una trasfigurazione», un modo per darsi una tregua con la vita, per farci assaltare dall’interno, da noi stessi, nel momento in cui chiudiamo gli occhi. Capossela si presenta allora come uno «storyfaced man», l’uomo con la faccia deturpata di storie. Il palcoscenico si popola degli strani animali dai significati simbolici che vivono nel nostro inconscio: prima la scimmia in gabbia per cantare «Gymnastica» nella versione originale russa del grande cantautore Vladimir Vyssotski, poi, con la stessa maschera interpreta «Marajà»,dedicata, come è noto, a Berlusconi, e non risparmiando battute ironiche sulla politica odierna, come nell’introduzione a «Sante Nicola»: «Prima c’era san Nicola, poi è arrivato Babbo Natale e adesso il suo posto è stato preso dal Presidente del Consiglio». Ulteriore riferimento ironico ai rituali natalizi è l’altra new entry nella scaletta del Solo Show: il classico «Santa Claus is coming to town», nella sua originale traduzione «Santo Nicola è arrivato in città».
Ma le fiabesche processioni del ritorno della luce non si fermano e allora eccolo cantare con la maschera da Minotauro – che deforma in modo oscuro anche la voce – il suo celebre «Ballo di San Vito», indiavolata tarantella dei tarantolati pugliesi e chiara metafora sessuale. Reminiscenza delle maschere comiche della commedia latina e delle cosiddette atellane delle antiche popolazioni italiche.
Nel mondo della magia, però, si possono fare anche brutti incontri come la strega Baba Jaga della tradizione russa, la quale divora tutto ciò che trova, come la morte o l’inferno. Per provare, dunque, ad incantarla ecco un’inedita versione della «Danza degli zufoli» dallo «Schiaccianoci» di Tchaikovskij sulla quale far danzare la sua casa, mentre viene ironicamente ipnotizzata una gallina.

Desideriamo, perciò facciamo incantesimi per ottenere ciò che vogliamo. «Fate attenzione a quel che desiderate – ammonisce Capossela – che poi magari si avvera».
Lo spirito fanciullesco da mago-giocoliere di Vinicio è incontenibile e finisce in qualche modo per prendere il sopravvento, talvolta anche sulle sue stesse canzoni.
Travolto da questo universo sovrabbondante di immagini, personaggi e sollecitazioni diverse, a volte lo spettatore, in particolare nella seconda parte, tende a perdere di vista il messaggio, la funzione della musica, quasi lo scopo stesso dello spettacolo. Si nota uno stacco troppo netto tra prima e seconda parte e forse l’ordine dei pezzi richiederebbe un maggior equilibrio. D’altra parte, era proprio nelle intenzioni dichiarate dell’autore creare una sorta di circo delle attrazioni, ma, certo, questo rende la parte finale dello spettacolo talvolta troppo frammentaria, sacrificando, almeno parzialmente, la musica.

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Di sicuro, però, le assurde «attrazioni» di Capossela non si dimenticano, perché finiscono per colpire nel profondo, come la Christmas Pignata, variante natalizia dell’Human Pignata, impersonata da un uomo appeso per i piedi ad una corda per mezzo di una specie di camicia di forza, la «pazzo jacket», che rappresenta la costrizione sociale; il malcapitato viene preso a bacchettate da un gruppetto di personaggi bendati e mascherati come una pentolaccia vivente. Le caramelle che escono dalla sua pancia di certo non ci consolano… La scena si svolge mentre Capossela con l’immagine di uno scheletro appoggiata al vestito canta «L’uomo vivo». Per Vinicio, infatti, a dicembre è nato un solo Salvatore, gli altri uomini, invece, sono ancora lì vittime in balia delle loro passioni e delle loro sconfitte. 
Se il rischio di Capossela appare talvolta quello di «citarsi addosso», si resta, comunque, ammirati dal suo estro creativo colto quanto versatile. Come nell’ultimo gioco che ci regala prima del finale, ironizzando sul rituale del Capodanno e sul dovere del divertimento a tutti i costi nella sua «Al veglione»
Capossela ci sorprende con i suoi ritornelli brucianti, con i cappelli da mago creatore di incantesimi, le giacche di lustrini, gli strumenti insoliti e ingegnosi, la voce inconfondibile e le canzoni così difficili da imitare e cantare, perché la loro melodia si regge sulla trama sottile della tela di ragno dei sogni. Solo un piccolo funambolo, figlio della regina delle fate, può salire e scendere quella sua particolare scala musicale senza mai cadere e avventurarsi a passo di danza sul filo teso come seta leggera tra l’artista e il suo pubblico.
 
 

Rossana Cerretti e Marco Sonaglia


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4 responses to “VINICIO CAPOSSELA – CHRISTMAS VINICIO – Un Capossela in versione natalizia, propone le ultime date del suo «Solo Show»”

12 12 2009
Primaticcio (14:39:23) :

Ammetto che tanto adoro i cd di Capossela quanto rimango perplesso di fronte ai suoi live, tra maschere, effetti speciali e numeri da circo vari.
Non è che c’è un video della serata per potermi ricredere?!? 🙂

Saluti!

12 12 2009
rossanec (16:11:17) :

Aspettavo con ansia il tuo commento, sapendo che ami i fegatini e le viscere alla brace 🙂 !!! Mah, sai, secondo me, Capossela è proprio rimasto un po’ bambino e penso che per apprezzarlo nei suoi live  si debba "stargli dietro" cioè lasciarsi andare alle sue magie e giocare insieme a lui; accettare anche che ad un certo punto il concerto si trasformi in teatro musicale o qualcosa del genere. E’ un aspetto che ha lasciato perplesso Marco, il quale avrebbe preferito ascoltare qualche canzone in più anziché vedere la casa della Baba Jaga… 🙂 A me personalmente questo caos creativo ha trasmesso moltissima energia positiva e tante immagini da ricordare…
Comunque, se per caso non l’avessi ancora vista, ti lascio il link dell’intervista "visionaria" che ha rilasciato a Daria Bignardi (se per caso ci fossero ancora dubbi che Capossela non scrive solo canzoni, ma vaticina come gli oracoli 😀 )

 http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=invasioni&video=18306

13 12 2009
Primaticcio (15:47:10) :

Eh, forse ero abituato troppo bene con De André, le cui parole e le cui interviste avevano quasi lo stesso valore delle canzoni (non a caso di De André esiste anche un bellissimo cd – “Ed avevamo gli occhi troppo belli” – che raccoglie i suoi interventi parlati durante i concerti).
Boh, sarà perché la musica di Capossela me la immagino in una maniera molto diversa da come la mette in scena o da come ne parla, oppure sarà semplicemente che i miei sparuti neuroni non riescono più a mettere insieme la musica con uno spettacolo o con un’intervista, ma io proprio non lo capisco… 🙁

13 12 2009
rossanec (20:27:50) :

Beh, ti dirò, Mauro Pagani ha dichiarato che l’unico cantautore che attualmente gli ricorda de André per la sensibilità e la profondità dei testi è proprio Capossela. Però è evidente che sono poi molto diversi…  Comunque, mi fa piacere discutere con te, è sempre interessante leggere il tuo parere, per quanto, nel caso di questo cantautore, il mio giudizio non concordi con il tuo.

E’ strano, perché a me risulta immediatamente comprensibile… Mi piaceva quell’intervista perché me lo immaginavo appena nato che già suonava con le piccole dita sulla tetta della mamma 🙂  Uno di quelli nati con il talento puro, venuto da chissà dove…
E me lo immagino oggi, come un bambino in mezzo a tutti quegli strumenti strani di cui si circonda… sai che anch’io avevo un mini pianoforte come il suo da piccola? e sempre con lo stesso suono scordato! Oppure lo vedo nascosto dietro la mega tastiera a quattro piani di cui parla come un innamorato…
Sarà perché da piccola amavo il circo alla follia e facevo impazzire mia madre perché volevo tornarci più e più volte. Non lo so. Sarà perché quando parla d’amore si emoziona davvero come un bambino e le parole gli fuggono via.  Insomma, ha una sensibilità in cui mi riconosco. 
Parla sempre ad occhi chiusi perché forse il mondo si può vedere così chiaramente solo sognando… 🙂