CARA, «LUI» È STATO QUI ANCHE OGGI? – Createvi un amante virtuale e vivrete felici, parola di Harold Pinter

12 12 2009
amanteHa un sapore quasi pirandelliano «L’Amante» di Harold Pinter, atto unico messo in scena recentemente al Teatro Santa Chiara di Brescia (in collaborazione con il Centro Teatrale Bresciano) da Marco Sgrosso ed Elena Bucci, registi e interpreti allo stesso tempo di questa commedia-dramma sulla difficile persistenza dei sentimenti e dei legami nella famiglia borghese.
In quest’opera del 1962 l’autore inglese ha analizzato, infatti, un tema centrale nella sua produzione, come la decadenza del concetto stesso di coppia, mettendo in scena le vicissitudini di due coniugi, Richard e Sarah, che, incapaci di sopportare la piattezza della loro quotidianità, ricercano a tutti i costi esperienze tanto assurde e artificiose quanto drammaticamente reali nel loro avvilente significato. Per ingannare l’ineluttabile scorrere del tempo, che cancella e distrugge anche i sentimenti e i legami più solidi, i due protagonisti si «raccontano storie» diventando narratori e interpreti di una realtà del tutto virtuale, ma capace di rendere la vita ancora stimolante e piena di sorprese.
Per sfuggire alla quotidianità logorante, in cui a poco a poco si insinua la noia, i due si inventano una sorta di grande e mutevole gioco di ruolo: saranno Richard e Sarah, ma anche «Max e la Puttana», coniugi, ma anche amanti clandestini, insieme in un turbine inarrestabile di menzogne. Saranno l’uno per l’altra gli amanti ideali, con i quali sognare le trasgressioni più stimolanti e imprevedibili. Lei la donna oggetto, usata solo per il sesso consumato in fretta nei luoghi più impensati, e lui lo sconosciuto dall’aria equivoca, potenziale violentatore. Sulla base di questo gioco essi si creano via via un’identità multiforme, che cambia continuamente a seconda delle esigenze momentanee; diventano cioè maschere, che però continuano a recitare la loro parte anche quando il partner non c’è più, perché fare i personaggi – commenterebbe Pirandello – è molto più eccitante che essere uomini.
Come nelle migliori opere dello scrittore agrigentino, anche in Pinter si assiste, con esiti ancora più surreali, alla disgregazione dell’io di ambedue i protagonisti i quali rivelano una percezione della realtà del tutto soggettiva e dinamica. Anche questa finzione, però, non può durare in eterno ed è per questo che, con lo scorrere del tempo, i toni dell’opera si fanno via via più oscuri, l’atmosfera diventa sempre più opprimente, perché anche per Richard e Sarah si fa sempre più vicino il momento di affrontare la loro condizione e tutto ciò che ne consegue. La realtà del loro matrimonio, del vincolo che li unisce come due estranei che si tollerano e nello stesso tempo si respingono, abilmente elusa per anni e anni, riaffiora in un attimo e le loro frasi sciocche e banali, apparentemente senza significato, acquistano improvvisamente peso. Stare insieme secondo il commediografo britannico è uno sforzo sovrumano, è cercare ogni giorno nuove motivazioni per non cadere nella spirale del disagio esistenziale, in preda alle passioni passeggere, che nascono all’improvviso e altrettanto repentinamente muoiono. Un rapporto leale e sincero è perciò quasi impossibile in una società dove il perbenismo ostentato e una presunta quieta «normalità» prevalgono sulle inconfessabili verità di ognuno. La bugia, insomma, appare necessaria, addirittura fondamentale, per la sopravvivenza di qualunque rapporto umano. L’amaro rovescio della medaglia di questa finzione metateatrale è evidente nella realtà di tutti i giorni, dove molti si ostinano effettivamente a tenere in piedi matrimoni basati sul tradimento reciproco: ognuno dei partner «sa» dell’altro, ma per comodità tace, con buona pace di tutti. Il tradimento «segreto» pare, dunque, un modo facile per ingannare l’insopportabile routine di una vita mediocre, poiché sembra momentaneamente aggiungere quel pizzico di sale a una pietanza insipida; ma è solo un attimo, perché poi anche nella trasgressione si finisce per annoiarsi, come avviene in un’altra famosa opera di Pinter, «Tradimenti». Così la ricerca di nuove emozioni è destinata a continuare all’infinito.
Pinter in quest’opera godibilissima e all’apparenza quasi comica, anticipa infatti le tematiche principali del suo più celebre dramma, reinterpretandole in chiave surreale, attraverso un insensato gioco «a carte scoperte» caratterizzato da tempi velocissimi e da dialoghi enigmatici. Elena Bucci e Marco Sgrosso affrontano questo «testo denso di trappole sottili» con vivacità e disillusa ironia, interpretando i ruoli “multipli” dei due protagonisti con ingannevole naturalezza e mantenendo quella sensualità e quel gusto per l’equivoco che risultano tanto importanti nell’opera originale. Nell’insieme la messa in scena appare più cerebrale e minimalista rispetto al testo poiché le didascalie di ambiente sono enunciate da una fredda voce narrante che accentua ancora di più l’effetto di straniamento e artificio. Il risultato è una breve ed elegante commedia pervasa da uno humour tipicamente britannico, divertente, ma allo stesso tempo profonda, sempre in bilico tra scomode verità e allegre bugie.
 
Rossana Cerretti e Lorenzo Sarnataro


RICORDANDO HAROLD PINTER

26 12 2008

25 Dicembre 2008

harold pinter

Lo scrittore premio Nobel Harold Pinter, di cui avevo parlato proprio ieri, se n’è andato oggi. Il mondo rimpiangerà il suo coraggio nell’indagare l’interiorità umana, la capacità di farci riflettere sulla nostra vita e la sua graffiante ironia contro la stupidità del potere



BETRAYAL – TRADIMENTI di Harold Pinter – regia di Fabio Banfo

26 12 2008

24 Dicembre 2008

Betrayal1Seduti al tavolino di un bar due ex amanti si ritrovano due anni dopo la fine del loro rapporto clandestino: ricorrono i soliti «come stai», «che fai adesso» intervallati da pause di visibile imbarazzo e da ricordi che non collimano, stesse storie raccontate in modi ben diversi.
Ogni ricordo sbiadisce come in una vecchia foto e si vive la strana sensazione che tutte le esperienze siano sempre in bilico tra realtà e immaginazione. Ogni traccia rimane come nella memoria di un ubriaco, vacillante, piena di lacune e forse inventata, magari «riveduta e corretta». Sono amnesie provvidenziali che permettono di continuare a vivere, ma documentano efficacemente quell’insostenibile leggerezza che consente di passare dall’intimità di una vita a due alla totale indifferenza anche dopo anni di convivenza o di assidua frequentazione.

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Questo è Tradimenti di Pinter presentato nei giorni scorsi al Teatro Olmetto di Milano per la regia di Fabio Banfo. E’ il dramma dell’impermanenza e della mancanza di memoria, della vita vissuta con il massimo della distrazione: si segue un certo percorso solo perché si è imboccata quella strada apparentemente unica. Poi qualche condizione esterna cambia, e allora ci si ricorda improvvisamente che «si tiene famiglia», che non si può continuare questa relazione clandestina, diventata ormai una vera e propria convivenza parallela con tanto di appartamento per gli incontri pomeridiani.
Ma se i personaggi tentano di dimenticare come sono andate davvero le cose, Pinter, implacabile come sempre, traccia un doppio anello temporale riportandoci indietro fino al momento in cui tale relazione era cominciata, cioè il giorno stesso del matrimonio di Emma, quando Jerry era stato il testimone di nozze del suo «migliore amico» Robert .
La regia di Fabio Banfo scandisce l’itinerario temporale con didascalie in scena che sottolineano ancora di più le colpevoli dimenticanze, le pietose bugie che i protagonisti raccontano, soprattutto a se stessi prima ancora che agli altri. Tra la chiave ironico- umoristica con la quale talvolta i testi di Pinter vengono interpretati e la visione drammatica e frustrante dell’incapacità dell’essere umano di restare fedele a qualsiasi cosa, il regista ha optato decisamente per la seconda, restituendoci un testo di grande chiarezza dove tutte le motivazioni sono ampiamente sottolineate e sviscerate dalla recitazione.
La vicenda, al di là della scansione temporale, assume però, anche aspetti archetipici delle dinamiche di coppia e potrebbe essere letta a se stante, senza seguire con esattezza la sua scansione temporale perché in essa Pinter ha voluto comunicare il fallimento del rapporto coppia nel suo complesso e tutti si possono riconoscere in questo o in quel tratto perché forse tutti, almeno una volta nella vita, hanno detto quelle stesse parole e frasi magari in circostanze diverse.
Si tratta di matrimoni borghesi destinati a naufragare in partenza forse ancora prima di cominciare e che sembrano basati fin dall’inizio sulla menzogna. Matrimoni a proposito dei quali vengono in mente le parole di Svevo nella Coscienza di Zeno: «Infatti si vive poi uno accanto all’altro, immutati, salvo che per una nuova antipatia per chi è tanto dissimile da noi o per un’invidia per chi a noi è superiore»; i due coniugi si scoprono sempre più estranei l’uno all’altra e incapaci di far collimare due individualità inconciliabili. I rapporti restano sulla superficie e perfino l’amante, in fondo, si cerca per noia.
Segno del malessere generale è il continuo ricorso all’alcool anche nelle situazioni che dovrebbero essere più felici, l’analgesico più facile quando si deve dimenticare che si sta tradendo, quando si vuole evitare di pensare.
Infine, quando ormai i sensi di colpa prevalgono, si scopre che nessuno è davvero vittima e che anche i rispettivi moglie e marito si sono dati un gran bel daffare anche prima che cominciasse la storia tra Jerry ed Emma.
Matrimoni minati dall’inizio quindi, che rappresentano solo facciate di comodo, ma che «servono» al punto che se il primo finisce si pensa subito ad un possibile rimpiazzo. Così si scopre che Emma ha cercato di nuovo Jerry a distanza di due anni solo perché messa ora alle strette dalla decisione del marito di lasciarla e dalla sua confessione di averla sempre tradita. Jerry, dal canto suo, di quella loro storia durata sette anni non ricorda poi un granché come se fosse a malapena esistita. E’ un ritratto impietoso della psicologia sia maschile sia femminile perché spesso le donne vengono prese dall’angoscia irrefrenabile di restare sole, mentre gli uomini si «distraggono» assai facilmente e mettono in opera i loro consolidati meccanismi di rimozione.
Così nella vita di ognuno resta solo un’amarezza vaga e un bicchiere di brandy.
«Betrayal» è prima di tutto l’epopea del tradimento di se stessi, dei propri sentimenti e delle proprie convinzioni e la bruciante scoperta dell’incorreggibile irrazionalità del vivere.

Fabio Banfo