IL RITORNO DEL GIUSTIZIERE – Clint Eastwood in «Gran Torino» racconta attraverso il suo mito la società americana

2 05 2009
Gran Torino
L’ispettore Callaghan quarant’anni dopo è un uomo provato dalla vita, che mantiene tutta la sua dignità, ma che non sa più stare al passo con i tempi, o così sembrerebbe. Di fronte al bilancio della sua esistenza si sente ancora un reduce della guerra di Corea, prigioniero dei suoi ricordi dolorosi oppure uno che «sa aggiustare le cose», di qualunque specie siano, ma che, a quanto pare, non è riuscito ad aggiustare la sua vita: i suoi figli non sembrano neppure suoi e intorno si espande una società multietnica nella quale egli non sa vedere altro che i nipotini dei suoi «musi gialli» coreani elevati all’ennesima potenza. Una società in implosione, un’entropia caotica di etnie in lotta come nel Crash di Paul Haggis
Il Clint Eastwood di Gran Torino è il sunto autoironico di tutti i giustizieri dei suoi film del passato poliziesco e western: il signor Kowalsky sputa sprezzante come il texano dagli occhi di ghiaccio ed è veloce con la pistola come il mitico ispettore del caso Scorpio. Un vendicatore solitario degno del pistolero predicatore del Cavaliere pallido, non certo patetico, ma pieno di dignità, capace di andare incontro alla morte così come ha sempre vissuto, a testa alta, consegnandosi volontariamente, come sua ultima sprezzante vittoria.
Il vendicatore di Eastwood è un uomo che sa regalare la sua vita al suo migliore amico: un male oscuro, infatti, lo sta lentamente consumando, ma non andrà in ospedale, non cercherà di vivere ad ogni costo, lascerà il suo testamento spirituale ad un ragazzo cinese, timido e testardo come un mulo, proprio simile lui. Perché, accidenti, «questi musi gialli hanno più cose in comune con me dei miei figli! ». Walt Kowalsky scopre che i suoi vicini di casa dagli occhi a mandorla sono dei braccati come lui dai ricordi del passato e dall’esilio più o meno volontario, mentre gli americani, non sanno che cosa sia la guerra o il dolore e sono buonisti e lisci come crème caramel, come il pretino ventenne che lo insegue per tutto il film cercando di «estorcergli» una confessione in chiesa, con tutti i santi crismi, forse l’unica della sua vita da adulto. Gli altri americani, come i suoi figli, si sono bruciati il cervello con i reality e con un numero imprecisato di altre sciocchezze che li rendono piccoli, gretti e crudeli idioti attaccati alle mille futili apparenze televisive e al denaro.
Questa è la storia di un’iniziazione, ma anche il ripensamento su tutta una vita. Un’esistenza non certo perfetta, segnata dalla guerra, dal rimorso per qualcosa che non si è fatto o non si è potuto fare, per essere l’unico rimasto vivo di tanti compagni. C’è il rimorso di essere ancora al mondo, ma solo, e la consapevolezza che adesso, invece, si può anche dare la vita per qualcosa che ha tutta l’aria di una giusta causa.
Un film intenso, emozionante, eppure dai toni leggeri, ironici, narrativi e concreti. Privo di enfasi e ricco, invece, di mezze tinte, per una vita che potrebbe sembrare tragica o fallita e che, invece, si riscatta con la realtà stessa della propria dignità. Un Eastwood di altissimo livello, degno di lettere da Iwo Jima

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3 responses to “IL RITORNO DEL GIUSTIZIERE – Clint Eastwood in «Gran Torino» racconta attraverso il suo mito la società americana”

2 05 2009
anonimo (20:18:32) :

Ciao, buona serata e buona domenica da Maria

8 05 2009
perijulka (10:16:35) :

amo guccini

amo clint

))*

8 05 2009
rossanec (15:04:48) :

A chi lo dici!!! 🙂

Buongustaia!