MORTE A VENEZIA – Una visione di Venezia ascoltando un giorno l’Estate di Vivaldi

26 12 2008

1 Novembre 2008

lazzaretto vecchio1

Il cielo è giallastro, di foschia nebbiosa o nuvole, l’aria è immobile come l’indifferenza della natura per la quale solo un piccolo errore di trascrizione sta facendo il suo corso… O, forse, non è affatto un errore. La gente muore, semplicemente, prima ancora di arrivare al lazzaretto, là su un’isola lontana, dove le navi si fermano per la quarantena. Ma quaranta giorni non sono bastati perché non ne sarebbero bastati neanche quattrocento. Caduti nel sonno della morte, dipartiti dalla vita, ci lasciano. Come se lo volessero.
Venezia non si arrende, la sua triste bellezza è abituata ai canali fetidi e alle tragedie umane, guarda il mare, la sua laguna apparentemente ferma e sa tutto del mondo degli uomini e del loro destino.
Il destino dell’uomo è come uno dei suoi riflessi sull’acqua: basta un soffio di vento e si confonde con il nulla.

Arthur Streeton, Alba a Santa Maria della Salute

Gli uomini implorano, ognuno prega il suo dio.
Sulla punta della Dogana hanno dato vita ad una preghiera di marmo, fatta delle molte invocazioni dei morenti.
Mille cedri piantati nel fango per quel sogno di pietra, la Salute dalle grandi volute è un ringraziamento per qualcosa che ancora deve essere, perché la peste infuria e continua.
Le sue fondamenta sono ancora immerse nel lezzo fetido della morte. La gente cade per le strade nelle calli più strette, riversa sui propri stracci sudici; vagano come nel sonno, barcollando nella bruma della calura mentre l’acqua grigia li accompagna. Si trascinano attoniti, un passo dopo l’altro, appoggiandosi ai muri logori dal sale e, alla fine, si piegano a terra come asini sfiancati da un carico impossibile. Le loro braccia sollevate e scomposte mostrano i lividi sinistri dei bubboni nella carne tremante dalla febbre presa dal delirio delle convulsioni, perduta dall’intossicazione della setticemia.

Appestati

La loro pelle grigia e verdastra, non lascia dubbi: rimangono lì riversi mentre i vivi fuggono quella strada terrorizzati portando alla bocca il fazzoletto…
E la Salute sale sullo sprone di Venezia a guardia della sua laguna e si eleva per una Vergine che tace e per una ricchezza che non può pagare la propria vita.



UNA VENEZIA SENZA CANALI – dedicato a Dino

26 12 2008
25 Settembre 2008
Genova da Santa Maria di Castello
Sotto le volte di San Lorenzo risuonano i passi di tutti coloro che ci hanno preceduto, come sempre, in questa città, che è un porto dove vanno a finire ‘i rumori di fondo’ dell’esistenza e forse della storia.
Genova vive del suo caos quasi primordiale, da sempre, credo, faticosa e a volte impervia come i suoi saliscendi, senza un nesso. Forse è stata una dispettosa divinità a creare a caso l’intrico del labirinto, tanto da non abbandonarlo neppure nelle zone nuove, gremite quanto le antiche.
Una strana Venezia senza canali, dove i ricordi non sono ammantati di romanticismo e spesso dai vicoli non si scorge neanche la luna.
Una città paludata, ma che in fondo non recita troppo neanche per se stessa, con i nobili in pompa magna che, però, non avevano la pretesa di ingannare la nera signora nei loro palazzi della via Aurea. A parte Andrea Doria, e per questo lo odiarono.
Lo sanno bene quelli che vivono sul mare: tutto può accadere in un attimo e l’uomo può fare solo da spettatore. E’ lo spirito di noi liguri, non abbiamo bisogno di fingere ciò che non siamo e non sarà, ci basterebbe morire in salita con l’ultimo respiro speso a testa alta, per arrivare, non importa dove. Per arrivare e basta. C’è sempre una strada da percorrere e forse il senso del cammino è la via stessa, il nostro andare che ci avvicina al moto di tutte le cose.
Genova città vecchia
In questa città, dove tutto si incontra e si scontra, come accade a realtà diverse e opposte, così si può amare e odiare con la stessa forza e nel medesimo istante, come l’attrazione e repulsione che rende tragicamente bella la vita. La nostra bella malattia che ci ucciderà. Ma non importa, adesso, possiamo ancora sederci al Caffè degli Specchi e dall’invetriata guardare la gente che sale in fretta con gli occhi bassi per non inciampare, seguendo il filo dei propri pensieri. Un giorno qui un poeta sorrise alla giovinezza sui tuoi seni bianchi di popolana, viaggiò lontano sognando le luci di Montevideo e scrisse ancora inni alla vita.


IMPRESSIONI DI MAREA – Ricordi di Bretagna

26 12 2008

2 Settembre 2008

Bassa marea in Bretagna

Giorni di bassa marea, barche arenate, legate a inutili boe adagiate sulla sabbia. Odore di alghe abbandonate sotto il sole, tra rivoli d’acqua dimenticati, marciscono e si confondono con la terra, mentre granchi obliqui cercano piccole carogne sul lido. Il lavoro lento, incessante della morte. Dicono che Camelot fosse qui, oggi ci sono solo case di pescatori e scafi senza memoria alla deriva tra mille sfumature di sabbie che nascondono creature marine intrappolate.
Si deve solo aspettare, un giorno il mare tornerà, come sa fare, giungerà sulle sue piccole onde costanti che si sommano le une alle altre come un eterno ritorno e laverà le cose morte, le rapirà al largo e qualcosa di loro continuerà a vivere in nuove vite.



MEMORIA DI OMAHA BEACH – Viaggiando in Normandia

26 12 2008

14 Agosto 2008

Omaha Beach

Cadevamo uno sull’altro a Omaha la rossa, sotto quel cielo implacabile e la costa dipinta da un dio impressionista, ma tagliata con un colpo d’ascia che aveva reso quelle rocce un baluardo inespugnabile. La natura ignara aveva forgiato quella fortezza nei secoli contro i venti del Nord e la protervia triste delle maree le quali adesso trascinavano via i cadaveri che galleggiavano gonfi. Omaha la rossa, quelle sabbie hanno bevuto sangue, anche se non sono ancora rosse, come la nostra terra del Sud.
Oggi sulla spiaggia c’è solo qualche turista a prendere il sole tra i pochi relitti rimasti.
Lassù in cima allo strapiombo qualcuno ci osservava morire, trecento contro novemila: la terribile vendetta degli spartani, rinchiusi nei loro bunker di acciaio e cemento armato.
Ora le campane suonano "God Bless America" ad intervalli regolari e un Cristo Schwarzenegger veglia sulle vite galleggianti nelle acque di Omaha la rossa. Ghirlande perenni di ninfee gialle. File di croci bianche che si prestano alle prospettive in grandangolo di cineprese e macchine fotografiche. Il paradiso dei vari Spielberg, spettacolari anche senza volerlo.
C’è sempre un’epica da rispettare.
Non capiranno mai.
Non sono bastati questi morti, né i più di mille dell’Iraq, né l’Afghanistan, non l’orrore bestiale del Vietnam, non la Corea.
God Bless America.

Cimitero americano presso Omaha Beach