DECAMERON AMORI E SGHIGNAZZI – Per Ugo Chiti, alla seconda prova con il Boccaccio, l’amore è una passione eversiva

6 03 2009
decamerone masetto
E’ di scena in questi giorni al Teatro Sociale di Brescia, il Boccaccio irriverente, carnevalesco, licenzioso, ma che cela sotto l’apparente leggerezza dei toni, la burla e i doppi sensi, la vera realtà del «suo» tardo Medioevo: un’epoca di grandi rivolgimenti, con intellettuali come Giotto o Cavalcanti intenti a ribaltare e ripensare l’uomo nel suo complesso; ma anche una società tenacemente ancorata alle proprie tradizioni obsolete quanto crudeli, alle superstizioni, più che alla religione. Un’epoca in cui si deve finalmente fare i conti con la comparsa della natura: si prende atto che l’uomo è prima di tutto un essere «naturale» frutto in gran parte delle proprie passioni ed istinti che spesso entrano in conflitto con le chiusure e i pregiudizi sociali, con l’autoritarismo e gli interessi di comodo.
Un periodo storico in cui il Boccaccio scrive per le donne esaltandone l’intelligenza e l’avvedutezza, ma nel quale, in realtà, esse non contano nulla: sono merce di scambio familiare, oggetti da mercificare se belle, oppure da rinchiudere in un convento per mantenere intatto il patrimonio della famiglia. C’è anche chi non si prende neppure il disturbo di mandare la protagonista in convento, semplicemente la lascia morire di dolore dopo averle ucciso l’amante.
Così si comportano i fratelli di Lisabetta da Messina, ma nel Decameron questo è solo uno dei diversi casi del genere raccontati dall’autore. L’amore è percepito come una vera e propria minaccia sociale, una forza rivoluzionaria e spesso incontrollabile: mina l’ordine costituito di conventi e famiglie, e soprattutto mette in forse le distinzioni sociale. Così, dall’altra parte ci vogliono i garanti, siano essi padri, fratelli o mariti. Garanti spietati e sprezzanti di ogni sentimento.
Così la bellissima principessa babilonese Alatiel, dopo essere stata «venduta» dal padre al re del Garbo, non giungerà mai a destinazione, ma si ritroverà ad essere preda sessuale di chiunque avrà la ventura di incontrarla – ed è tutt’uno nel suo caso – di rapirla. La giovane riesce a cavarsela anche in mezzo a mille difficoltà, ma il padre la vorrebbe piuttosto morta a causa del disonore, e alla fine, è lei a dover fare penitenza, non i suoi persecutori. Conclusione paradossale, tipica dell’inversione carnevalesca degna del Boccaccio, che mostrando l’insensatezza dell’epilogo finale, spinge alla riflessione sui meccanismi sociali che sottintende. Il mondo "alla rovescia" prende forma in scena già a partire dalla presenza di una porta volutamente sghemba, che domina il centro del palcoscenico.

decamerone chiti

Il regista Ugo Chiti e la sua compagnia, dopo il precedente spettacolo Decameron-Variazioni, hanno scelto questa volta la strada del riso e della comicità popolaresca, del doppiosenso e della burla per parlarci del variegato mondo del Boccaccio facendo della famosa novella di Masetto di Lamporecchio "muto" «sciupafemmine», in un bel convento di monache, la cornice per le altre, anch’esse basate sull’amore inteso, innanzitutto, come passione fisica, prima che mentale. Nondimeno nel Boccaccio, come spesso accade nel pensiero medievale, l’amore è fisico e mentale insieme, tanto da portare non di rado alla rovina gli amanti, vittime della loro passione dirompente ed infelice. Il regista riesce con scelte intelligenti ed audaci che dimostrano una profonda conoscenza della materia del Decameron, ad attuare concretamente, come dicevamo, quell’inversione carnevalesca tipica di molte novelle e a renderla fruibile nel teatro. Si tratta di elevare ciò che in genere è considerato socialmente «basso» o inopportuno, mettendo invece, in ridicolo quanto è tradizionalmente ritenuto simbolo di autorità, potere, ricchezza. Operazione non certo semplice, considerando la complessità del testo. Così, per esempio, la badessa del monastero è interpretata da un uomo con tanto di barba (e viene considerata "miracolosamente" barbuta, per intervento divino!), mentre Masetto è interpretato da un’attrice. Del resto anche la figura di Alibech, sedotta dal giovane eremita, diventa lo specchio onirico dello stesso Masetto. In questo modo le tematiche letterarie vengono sottolineate e, in qualche caso, perfino enfatizzate. Proprio attraverso la messa in ridicolo e la trasposizione scenica esse assumono maggior forza e potere trasgressivo, ma sempre temperato dal sorriso bonario che domina il Decamerone e anche la scena di Chiti. Spesso l’oppressione sociale è sottolineata utilizzando la metafora dell’essere legato: coloro che vivono in uno stato di mancanza di libertà sono tutti uniti con una corda in una sorta di falsa concordia. E la corda è anche il mezzo con cui frustarsi e fare penitenza. Una società e una morale che lega ma che non sa fermare la passionalità e le mille sfaccettature dell’io.

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One response to “DECAMERON AMORI E SGHIGNAZZI – Per Ugo Chiti, alla seconda prova con il Boccaccio, l’amore è una passione eversiva”

7 03 2009
Primaticcio (23:25:39) :

Sulla novella della badessa c’è una bella ballata del poeta quattrocentesco Simone Prudenzani:

«Vuoi saper se ci fu risa / quando vider sue cosciali / sopra il capo con tal guisa / alla badessa monacale!» 🙂