Don Giovanni l’immortale

2 01 2012

L’apertura della Stagione alla Scala tra stelle in crisi e “trovate” del regista Robert Carsen

Il “Don Giovanni” con il quale la Scala ha aperto la stagione 2012 si annunciava con un primo cast prestigioso: da Peter Mattei a Ildebrando D’Arcangelo (e/o Bryn Terfel), da Barbara Frittoli a Giuseppe Filianoti fino a Anna Netrebko, al punto da far registrare il tutto esaurito già all’apertura delle vendite (con immancabili polemiche annesse e connesse) e code interminabili per aggiudicarsi nei giorni di spettacolo i tradizionali 140 posti di loggione. Anche la regia di Robert Carsen era molto attesa perché presentata come decisamente innovativa e originale, secondo lo stile dell’estroso regista canadese. Perplessità, invece, già dall’inizio sul nome di Barenboim come direttore, notoriamente non molto amato dai loggionisti della Scala se non nel repertorio wagneriano e affini. L’esito finale ha in parte deluso le aspettative, almeno a giudicare dalla recita del 23 dicembre, ma ha anche fornito interessanti conferme e proposto ingegnose novità nell’interpretazione dell’opera.
Protagonista fin troppo invasivo, proprio il regista Carsen con tutte le sue trovate più o meno originali, coadiuvato da Michael Levine per le scene. L’idea di fondo consiste nell’ambientare il personaggio di Don Giovanni e le sue infinite storie di trasgressione in uno spazio metafisico per eccellenza, cioè nel teatro stesso, sottolineato prima da uno specchio che riflette l’interno della Scala, poi rompendo la finzione scenica attraverso le luci di sala accese in diversi momenti dello spettacolo. Le strutture dietro le quinte irrompono spesso sul palcoscenico, per poi ricomporsi in pannelli mobili che riproducono, creando infinite prospettive, il sipario rosso del teatro, volutamente ispirati alla tradizionale copertina dei libretti scaligeri. Ma quale sarebbe il significato di questo strano apparato? Il tentativo di Carsen, in parte riuscito, è stato di dare vita al mito di Don Giovanni piuttosto che raccontare la sua storia. In effetti, questo personaggio va oltre le definizioni di uno o dell’altro scrittore: dalle prime caratterizzazioni dell’”Ateista fulminato” della Commedia dell’arte a “El Burlador de Sevilla” di Tirso de Molina, da Moliere a Mozart fino a Kierkegaard e Camus ognuno ha inventato per l’inguaribile libertino nuove vicende da raccontare, e altrettante interpretazioni; episodi che rappresentassero aspetti diversi della sua personalità ed esemplificassero il giudizio di ogni autore a riguardo, ponendo l’accento, a seconda delle epoche, su svariati elementi.

Così Mozart e Da Ponte, da buoni illuministi, in Don Giovanni criticano soprattutto l’eccesso, la “barbarie”, intesa come incapacità di vivere secondo regole comuni; Moliere, invece, vede in lui un prototipo della corruzione di alcuni profittatori sociali, simile in questo a Tartufo, un affabulatore imbroglione che usa la nuova scienza per scopi nient’affatto scientifici, anzi, del tutto prosaici, e si trincera dietro il privilegio nobiliare. Sta di fatto, però, che Don Giovanni è stato spesso accostato proprio al personaggio di Faust per il comportamento trasgressivo e delinquenziale, quanto irriducibile; in questo senso Don Juan appare privo di redenzione più ancora di Faust anche perché incapace di provare paura perfino di fronte alla morte. Don Giovanni, perciò, da alcuni, come, per esempio, Albert Camus, è stato identificato nel prototipo dell’uomo assurdo, il ribelle, cioè l’emblema della libertà senza limiti, slegata dal futuro, dall’interesse e dalla contingenza. In definitiva egli incarna un vero e proprio superuomo senza speranza che va incontro all’autodistruzione senza rimpianti. E in effetti, il suo mito per quanto esecrato, non solo sopravvive, ma prospera ancora oggi. Questi sono i presupposti da cui è partito Carsen contrapponendo il carpe diem di Don Giovanni e il suo desiderio di assaporare ogni aspetto della vita in tutte le sue forme, ai divieti del potere. Così si spiega la scelta di far comparire nel primo atto il Commendatore dietro gli spettatori del palco reale. Don Giovanni, quindi, continua ad abitare tra noi, amato-odiato dalle donne e ammirato-invidiato dagli uomini, al punto che entrambi i sessi non possono fare a meno di subirne il fascino.

Tutte sono Elvira, Anna o Zerlina, incapaci di resistere alle sue seduzioni, tutti sono un po’ complici, come Leporello che, pur criticandolo, si identifica in lui e lo imita appena può. L’intenzione di Carsen era appunto quella di dimostrare come Don Giovanni non abbia mai smesso di andare in scena: egli è dunque immortale, mentre i suoi detrattori sono solo piccoli uomini come tutti gli altri, destinati ad essere dimenticati dopo la loro breve vita. Questo il senso dell’operazione metateatrale dove il regista suggerisce che i personaggi sulla scena siano consapevoli di stare recitando il Don Giovanni o, addirittura, facciano parte del pubblico stesso dello spettacolo e assistano divertiti all’azione; questo spiega anche le frequenti incursioni in platea e nei palchi circostanti degli interpreti durante la rappresentazione. In definitiva, nonostante le donne e gli uomini di tutte le epoche abbiano sempre demonizzato Don Giovanni, questo personaggio continua ad essere a amato e ricercato come un archetipo del mondo moderno: incarnazione dell’individualismo e del materialismo della società post galileiana e antesignano della relatività soggettiva e scettica della morale. Nello stesso tempo, la sua irriducibilità lo pone proprio in un confronto-scontro di aspirazione e repulsione con l’assoluto: è talmente “anti” da diventare egli stesso un concetto metafisico. In questo senso Carsen ha creato un’elaborazione scenica ingegnosa e con diverse invenzioni interessanti. Il risultato, però, non è molto coeso e coerente, e a volte la macchinosità dell’impianto prende il sopravvento sulla rappresentazione che diventa eccessivamente caotica e invasiva rispetto alla musica e all’azione scenica.


Per quanto riguarda i cantanti, lo spettacolo è stato caratterizzato da luci ed ombre: Peter Mattei è stato un ottimo Don Giovanni sia dal punto di vista vocale sia per l’interpretazione del personaggio, cinico, dandy, temerario quanto basta. Mefistofelicamente attraente, esaltando l’aspetto della vita come gioco vitalistico. Ildebrando D’Arcangelo è stato un Leporello, ancora migliore, comico, divertente, esilarante caricatura del padrone. Le voci di entrambi, solide e di bel timbro, non hanno mostrato difficoltà o incertezze di rilievo. Barbara Frittoli si è distinta per essere una Donna Elvira di carattere, ma innamorata perdutamente di questo protagonista inafferrabile dei sogni femminili; dotata di una sicura tecnica, ben utilizzata nell’interpretazione. Per sottolineare la sua situazione di eterna innamorata-disperata Donna Elvira recita praticamente per tutto lo spettacolo in sottoveste, inizialmente nascosta sotto un impermeabile “da viaggio”: ironia del regista, come versione femminile dell’esibizionismo tradizionalmente maschile. Carsen del resto, immagina che tutte le donne di fronte a Don Giovanni comincino a spogliarsi anche senza volerlo – Donna Anna compresa – con grande scandalo dei puristi, che avrebbero voluto fosse ribadito il tentativo di violenza carnale del protagonista sulla figlia del Commendatore. Ma naturalmente, ciò non era consentito dalla lettura dell’opera data dal regista. A questo riguardo è da segnalare anche la presenza del nudo con la cameriera di Donna Elvira che, dopo aver amoreggiato con Don Giovanni, assistendo alla famosa scena dello scambio con Leporello, si alza dalla sedia e torna indietro, vestita delle sole autoreggenti, per portarsi via il libretto dell’opera.


Purtroppo Anna Netrebko, molto attesa come donna Anna, ha dato forfait alla recita del 23 dicembre come già si era verificato nella precedente. Così, con disappunto, qualche loggionista ironicamente ha commentato: “Insomma praticamente aveva già fatto le valigie”. Delusione del pubblico a cui non ha posto rimedio la sostituzione con Tamar Iveri. La sua performance è apparsa debole, come del resto la voce: l’emissione ha dato una generale impressione di difficoltà, con suoni spesso poco udibili oppure, nei momenti di maggiore impegno, quasi urlati e scarsamente controllati. Giuseppe Filianoti, noto interprete nel repertorio belcantistico è apparso in difficoltà negli acuti e con problemi di intonazione rilevati a volte anche con mormorii inequivocabili del pubblico. Molto applauditi da alcuni Anna Prohaska (Zerlina) e Štefan Kocán (Masetto). In realtà soprattutto Zerlina ci è parsa dotata di una voce veramente esile, poco aggraziata e piuttosto incolore nell’interpretazione. Abbastanza bene Kwangchul Youn nei panni del Commendatore, soprattutto nella parte finale della statua misteriosa e orrifica. La direzione di Barenboim, confermando i timori iniziali, non ha convinto: soprattutto è apparsa priva di brio, piuttosto pesante e lenta, tra l’altro in netto contrasto con le scelte registiche, che, come abbiamo visto, esaltavano l’ironia e l’aspetto giocoso della coppia Don Giovanni-Leporello. Tra il pubblico, c’è stato anche chi non ha digerito un finale controcorrente rispetto alla tradizione, ma non bisogna mai dimenticare che sia Mozart sia soprattutto Da Ponte incarnavano con la loro vita, fatta di genio e sregolatezza, proprio il mito di Don Giovanni, al di là dell’epilogo apparentemente moraleggiante dell’opera.

Rossana Cerretti


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