Signor Colonnello, sono Ernesto, il “Che” Guevara mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo
15 05 2009I miracoli non si ripetono all’infinito, ma questo avrebbe chiesto al destino Ernesto «Che» Guevara quando decise di partire alla volta della Bolivia dopo aver partecipato senza successo ad azioni di guerriglia nel Congo. Una rivoluzione non gli bastava, sapeva che finché Cuba fosse rimasta la sola repubblica socialista in America latina sarebbe stata sempre in pericolo; inoltre non era d’accordo con i russi che consigliavano di desistere, di evitare altre azioni di lotta armata. Lo tacciarono di trotskismo e forse era anche vero, ma di sicuro era chiaro che se non ci si fosse impegnati per «esportare» la rivoluzione all’estero, anche dove essa si era realizzata avrebbe avuto vita difficile e forse breve. Un pensiero non poi così campato per aria, vista la situazione odierna. Il dilemma è che, d’altra parte, è impossibile esportare una rivoluzione presso un popolo che non l’ha fatta propria: anche se ci sono tutte le condizioni economico-sociali di questo mondo, l’atteggiamento della popolazione appare poi fondamentale. E’ questo l’amaro insegnamento della vicenda boliviana del Che: un manipolo di irriducili non basta quando la gente è sorda e le grandi potenze ti abbandonano.
La popolazione boliviana non è quella di Cuba e forse il Guevara aveva anche sottovalutato l’importanza di far partire il tentativo di insurrezione da un territorio più congeniale, magari caratterizzato da una presenza operaia, come la zona delle miniere. I «peones» boliviani, semplicemente, non capiscono come si possa cambiare perché per loro la vita è sempre stata segnata dalla miseria e dalla rassegnazione e, quindi, non esiste alcuna prospettiva di miglioramento possibile né si capisce quale potrebbe mai essere. Il «Che» si scontra con il più terribile di tutti i mali del popolo: l’ignoranza, l’incapacità di autocoscienza della propria situazione. Aver lasciato i contadini abbandonati a se stessi, vittime di suggestioni religiose, analfabeti e completamente arretrati, ha dato brillantemente i suoi frutti per il governo militare e i lontani nipoti dei seguaci di Bolivar sono diventati un gregge timoroso in totale balia degli eventi e della legge del più forte. Tutto qui. L’ostilità del partito comunista locale, certamente sobillato dall’Unione Sovietica, ha sicuramente fatto il resto.
L’epilogo non lo stupisce, anche se, fino all’ultimo, cerca di convincere il soldato che di notte lo sorveglia a slegarlo e a lasciarlo fuggire… il Comandante Guevara non era tipo da arrendersi: «Siamo realisti: esigiamo l’impossibile» era uno dei suoi motti favoriti.
Un popolo può liberare se stesso
dalle sue gabbie di animali elettrodomestici
ma all’avanguardia d’America
dobbiamo fare dei sacrifici
verso il cammino lento della piena libertà.
e se il rivoluzionario
non trova altro riposo che la morte,
che rinunci al riposo e sopravviva;
niente o nessuno lo trattenga,
anche per il momento di un bacio
o per qualche calore di pelle o prebenda.
I problemi di coscienza interessano tanto
quanto la piena perfezione di un risultato
lottiamo contro la miseria
ma allo stesso tempo contro la sopraffazione
Lasciate che lo dica
mai l rivoluzionario quando è vero
è guidato da un grande
sentimento d’amore,
ha dei figli che non riescono a chiamarlo,
mogli che fan parte di quel sacrificio,
suoi amici sono "compañeros de revolucion".
Addio vecchi, oggi è il giorno conclusivo;
non lo cerco, ma è già tutto nel mio calcolo.
Addio Fidel, oggi è l’atto conclusivo;
sotto il mio cielo, nella gran patria di Bolìvar
la luna de Higueras è la luna de Playa Giron.
Sono un rivoluzionario cubano.
Sono un rivoluzionario d’America.
Signor Colonnello, sono Ernesto, il "Che" Guevara.
Mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo
Bellissima canzone di un grande cantautore!!
E grandissimo uomo, poeta e rivoluzionario d'America..il che..