E’ andata in scena in questi giorni al teatro Sociale di Brescia per la regia di Cesare Lievi la tragedia «Ifigenia in Tauride» di W. Goethe, realizzata in coproduzione con il Teatro Biondo Stabile di Palermo e interpretata con efficacia e partecipazione da un affiatato gruppo di giovani attori coadiuvati da una personalità di maggiore esperienza come Gigi Angelillo (Toante).
Chissà perché Cesare Lievi avrà scelto un’opera di Goethe così apparentemente lontana dalla realtà attuale? E’ probabile che, ad una prima impressione superficiale sia stata questa la domanda ricorrente nel pubblico di Ifigenia. Indagando, però, appena sotto la superficie della riproposizione del mito antico, ci si accorge della modernità e della complessità psicologica ed etica dei temi trattati dal grande scrittore tedesco. E si capisce anche perché l’autore combatté strenuamente con i suoi impegni di Stato pur di rielaborare l’opera completamente in una nuova edizione in versi.
Al suo interno, infatti, si agitano molte tematiche di carattere etico-filosofico che si spingono ben oltre il caso in sé e che superano anche il precedente della tragedia di Euripide. Inoltre, la traduzione moderna, curata dallo stesso Cesare Lievi valorizza appieno la portata universale del messaggio e sottolinea l’attualità delle tematiche trattate. Per quanto riguarda l’interpretazione degli attori, Lorenzo Gleijeses si è rivelato un Oreste che sa trasmettere la sua disperata energia al pubblico, avvalendosi anche dell’efficace contrasto offerto dall’amico Pilade (Fabrizio Amicucci). La recitazione di Maria Alberta Navello (Ifigenia) è apparsa talvolta troppo ansiosa e in contraddizione con il carattere misurato della protagonista secondo Goethe; al contrario, Arcade (Sergio Mascherpa), che probabilmente dovrebbe rappresentare il pensiero del popolo della Tauride, è apparso forse fin troppo equilibrato, sebbene giustamente perentorio.
Ifigenia come Lucia?
Nell’opera di Goethe Ifigenia assume le caratteristiche di una creatura salvifica, una sorta di manzoniana Lucia ante litteram: la sua sola presenza ha l’effetto di cancellare i costumi barbarici e sanguinari degli abitanti della Tauride, dove ella è approdata per il volere stesso della dea Diana; ma anche il fratello Oreste viene miracolosamente risanato dal suo intervento, e liberato dalla furia distruttrice delle Erinni che lo perseguitano. Infine, la giovane sacerdotessa di Artemide non vorrà mentire al re Toante, ma partirà con il fratello e con l’inseparabile amico di lui, Pilade, ottenendo la libertà con la sola forza della verità e dell’umanità. Anche Ifigenia stessa, però, alla conclusione della vicenda, avrà compiuto una sua positiva evoluzione, come sottolinea la scenografia, voluta dal regista in forma di tempio dalle alte mura che vengono via via smantellate nel corso della rappresentazione. Il santuario di Artemide, infatti, la protegge dalle brutture del mondo esterno, nonché dalla memoria delle vicende personali e della sua famiglia, ma è anche una sorta di dorata prigione, nella quale si trova in completo isolamento. Ifigenia, insomma, pur di non macchiarsi dei delitti dei suoi avi sembra quasi aver rinunciato a vivere. La salvezza di suo fratello Oreste, però, determinerà anche la sua liberazione, segno che per Goethe la libertà non è mai un fatto individuale o di pura trasgressione, ma piuttosto un evento collettivo, di adesione meditata e responsabile alle leggi della coscienza e del cuore e quindi della divinità.
Questa interpretazione della protagonista è un’originale invenzione dello scrittore tedesco che lo distingue nettamente dalla precedente versione di Euripide, nella quale la giovane, giunta in quella terra lontana, aveva continuato a compiere sacrifici umani in onore di Diana, secondo l’antico costume dei Tauri. Inoltre, anche nella parte finale, Goethe adotterà una significativa variazione rispetto al precedente greco, perché Ifigenia deciderà consapevolmente di non seguire l’inganno di Pilade per non tradire la verità della propria coscienza.
La coscienza al di sopra di tutto
Come viene spiegato all’inizio dell’opera, l’autore, infatti, ha scelto una donna proprio per dimostrare che le vere armi capaci di cambiare in meglio la storia, portando la civiltà contro la barbarie, non sono quelle maschili della guerra, del potere e dell’astuzia, ma quelle della coscienza, della compassione e della purezza della verità. Le ragioni di umanità e verità si difendono da sole, senza armi, per evidenza, al punto che esse trovano posto anche presso i cosiddetti barbari. Anzi, in questo senso, si rivela apertamente la modernità di Goethe che sottolinea come non basti una condizione di progresso o ricchezza per fare di un popolo un esempio di civiltà, ma solo sul piano dell’umanità e dell’ascolto della voce del cuore e della ragione, contro quella del desiderio smodato, del possesso egoistico individuale e della violenza, si può dimostrare la vera superiorità di un mondo su un altro. Se i Greci, infatti, per favorire la loro guerra contro Ilio erano stati disposti a cuor leggero a sacrificare la pura e quasi angelica Ifigenia, non riconoscendone il valore sacrale, i Tauri, da loro disprezzati come esseri quasi bestiali, hanno interrotto la cruenta pratica dei sacrifici umani degli stranieri appena Ifigenia è giunta alle loro rive, riconoscendone immediatamente la valenza salvifica e respingendo così l’antica violenza. Hanno saputo vedere, cioè, quella grazia che il suo stesso popolo non era stato in grado di riconoscere in lei. Lo straniero, dunque, solo per l’umanità e la civiltà deve essere giudicato.
La forza del perdono sconfigge il karma degli antenati
A questo tema se ne intreccia un altro, volto, anche qui a sfatare il pregiudizio, dimostrando che le responsabilità sono individuali e che, nonostante tutti i precedenti negativi, un essere umano risponde soltanto di se stesso e del proprio valore. Stiamo parlando della maledizione che grava sulla famiglia dei discendenti di Tantalo, cioè gli Atridi, i quali sono perseguitati dai loro continui efferati delitti tra consanguinei. L’arrivo di Oreste che le rivela la tragica fine di Agamennone e la traumatica vendetta che egli stesso ha dovuto compiere, fanno sprofondare Ifigenia quasi nella disperazione, tanto più che sua madre ha ucciso il marito proprio perché ella lo riteneva reo di aver sacrificato la sua primogenita alla dea Artemide. Anche il suo sacrificio mancato, quindi, è rientrato a pieno titolo nella catena di delitti che sembra inarrestabile, e che rischia di continuare anche in Tauride, visto che il re Toante ha deciso di ripristinare i sacrifici umani degli stranieri per la dea proprio quando Oreste è arrivato nella sua terra insieme all’inseparabile Pilade. Toante, infatti si è invaghito di Ifigenia e vuole a tutti i costi sposarla, ma la ragazza, con il suo rifiuto, ha scatenato l’ira del re il quale ha pronunciato allora il terribile decreto.
Dal canto suo, Oreste, con un procedimento tipico dell’antichità, non vuole credere di avere di fronte sua sorella, non vuole credere che l’unica donna pura della sua casa, l’unica erede onorata della sua famiglia dovrà macchiarsi a sua volta di un fratricidio, ritornando così nel circolo vizioso di quelle orribili nefandezze che lo hanno fatto piombare nella disperazione. Ma l’arma usata da Ifigenia nei confronti del misero fratello – il quale invoca la morte dalla sorella stessa pur di liberarsi dalla follia del rimorso che lo attanaglia – è quella, davvero miracolosa, del perdono: ella, pur avendo appreso che egli è l’uccisore di sua madre, non lo chiama assassino, ma «infelice», mostrando prima di tutto la compassione e la solidarietà verso lo sventurato in preda a terribili sofferenze. La compassione vincerà, infine su tutto: dopo l’abbraccio di Ifigenia, infatti, Oreste in una simbolica discesa agli inferi sarà capace di scorgere tutti i suoi avi pacificati, completamente dimentichi degli orrori commessi e dell’odio, di quella incapacità di perdono degli uni verso gli altri che li ha spinti a perpetuare l’infinita catena di delitti. Solo Tantalo è ancora nel Tartaro a sopportare pene orribili, perché il dolore delle scelte di sangue è insopprimibile nella natura umana e, alla fine, bisogna accettarlo con rassegnata fermezza.
La vittoria finale della verità sul potere e il pregiudizio
La purezza di Ifigenia salva il fratello, ma come potrà preservarlo dall’arroganza del potere?
Quest’opera di Goethe, tra l’altro, individua in modo emblematico i diversi atteggiamenti umani nei confronti della vita e del potere: se Ifigenia, infatti, segue prima di tutto le ragioni della coscienza comune a tutti gli essere umani in quanto tali, Pilade sembra incarnare la visione illuminista della preminenza del necessario e dell’utile, mentre Oreste fa ancora riferimento all’etica degli antichi eroi omerici, dettata dal valore e dal coraggio. Toante, invece, mostra come il potere assoluto, anche esercitato da un uomo giusto, susciti sempre la tentazione di essere usato per il soddisfacimento delle proprie passioni; Arcade, infine, il messaggero, rappresenta la voce popolare, spesso esprimendo un attaccamento quasi irrazionale alle antiche tradizioni.
In questa complessa situazione, Ifigenia dopo aver inizialmente seguito i consigli di Pilade che ha ordito un ingegnoso inganno «per necessità», visto che Toante non vuol sentire ragioni, decide, comunque, di dire al re la verità e lasciare la terra dei Tauri in pace con tutti. Incredibilmente, il re Toante, colpito ancora una volta dalla purezza e dalla coraggiosa sincerità della ragazza li lascerà andare perché, come afferma la giovane in un significativo passo dell’opera, l’umanità e il vero «li sente ognuno, sotto il cielo, se dentro il petto fluisce tersa e libera la sorgente della vita». La voce dell’umanità parla sempre agli uomini, ma è una brezza leggera che non deve essere sovrastata dalla tempesta dei desideri e delle passioni egoistiche. Questo perciò è il messaggio finale che Goethe lascia a tutti gli uomini: per ascoltare, la vera voce del cuore, quella che ci accomuna agli altri esseri umani, se si vuole arrivare al centro del nostro essere, si devono far tacere le passioni. Solo allora si potrà scorgere anche un barlume di felicità.
Il giovane poeta, che nel Werther aveva ipotizzato il suicidio per amore di una donna, trova qui ragioni più alte per continuare a vivere, ascoltando il messaggio universale dell’umanità e della coscienza e battendosi per la compassione e la fratellanza tra tutti gli esseri umani senza distinzione.