7 GENNAIO 1610: Galileo scopre la rivoluzione terrestre e cambia per sempre la nostra visione del mondo

9 01 2010
 
 

 


La pagina autografa degli studi sulle lune di Giove

Proprio in questi giorni, 7 gennaio, si ricordano le osservazioni di Galileo sui satelliti di Giove, fondamentali per dimostrare il moto di rivoluzione dei pianeti del sistema solare terra compresa. E il pensiero va alla mirabile interpretazione di Franco Branciaroli, che ha voluto mettere in scena un Galileo complesso e dalle mille sfaccettature avvalendosi del geniale testo di Bertold Brecht.
Il fondatore della "Nuova Scienza" è semplicemente un uomo comune, che ama la vita comoda e tranquilla, ma che farebbe qualunque cosa pur di continuare a cercare e a rispondere alle mille domande che affollano la sua mente curiosa. In questo viaggio nella conoscenza porta con sè solo un ragazzino, perché solo una mente non falsata dai pregiudizi potrà capire veramente i suoi "Massimi Sistemi".
Galileo non era un eroe, o meglio, non aveva la vocazione del martire.
C’è chi ritiene che la sua scelta di abiurare sia stato un atto di vigliaccheria pagato caro dalla società umana, perché avrebbe arrestato la scienza per un secolo. In realtà Galileo si è comportato da scienziato: i dati parlavano da soli e nessuna ubiura o inquisizione avrebbe potuto cancellarli. C’era solo un modo per smentire le posizioni ideologiche e irrazionali di chi lo condannava: continuare a cercare, inchiodare i suoi giudici alle loro responsabilità eterne verso la storia e vincere di una vittoria così schiacciante che ancora oggi c’è chi si preoccupa di prendere le distanze dal suo pensiero e di trovare attenuanti per la stupidità imperdonabile dei suoi persecutori.
Il Galileo di Brecht, però, è anche un uomo consapevole che le sue scoperte segnano veramente e definitivamente la fine dell’interpretazione simbolica medievale e di quella visione pacificata e unitaria del mondo che appariva ai suoi contemporanei così rassicurante. Galileo sa che la conoscenza non è indolore, che un intero mondo sarà spazzato via. E’ un uomo tormentato, è il padre delle coscienza moderna…


NATO SUL PALCOSCENICO – Un ricordo del grande attore Giulio Bosetti e del suo amore per il teatro

4 01 2010
Dal 12 al 24 gennaio al Teatro Quirino di Roma andrà in scena «Sei personaggi in cerca d’autore» di Luigi Pirandello prodotto dalla Compagnia del Teatro Carcano di Milano per la regia di Giulio Bosetti. Un’occasione per ricordare questo grande attore che ci ha lasciati poco prima di Natale e poter assistere ancora una volta ad una delle sue opere più applaudite degli ultimi anni.
 
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Con Giulio Bosetti scompare un pezzo di storia del teatro italiano e uno dei più grandi interpreti dell’opera di Pirandello di cui, in 60 anni di carriera, aveva messo in scena tutti i titoli più prestigiosi molte volte. Tra i suoi spettacoli più famosi e di recente riproposizione ricordiamo, oltre al già citato «Sei personaggi», «Il berretto a sonagli» e «Così è se vi pare».

Il suo non era un teatro urlato né eccessivamente vistoso o istrionico. Il suo modo di interpretare i testi surreali e paradossali del grande scrittore agrigentino, coinvolgeva lo spettatore nel profondo della coscienza e i drammi diventavano toccanti e forse ancora più incisivi, proprio per quella recitazione quasi sommessa e senza forzature, ma che colpiva le nostre emozioni più segrete. Come nella sua indimenticabile interpretazione del Ciampa del «Berretto a sonagli» di qualche anno fa di cui aveva colto tutte le sfumature: dal triste «uomo in grigio» senza ambizioni al beffardo e cinico conoscitore di una società rigida nelle sue perbenistiche convenzioni; dal marito becco e rassegnato che non rinuncia, però, a quella moglie quasi segregata, alla vigliaccheria del dipendente, al quale, in fondo, va bene che tutto resti com’è sempre stato.
Il suo nome è legato a tutto il teatro classico italiano nel suo complesso, considerando che la sua ultima grande interpretazione è stata il «Sior Todero brontolon» del Goldoni, lasciandoci con l’immagine del vecchio avaro e folle che si crede immortale. «Un po’ come tutti noi» aveva commentato Bosetti in un’intervista, a chi gli chiedeva perché questo personaggio così «selvadego» non riesca ad esserci antipatico, nonostante tutti i suoi macroscopici difetti e le sue patetiche ottusità. Da Moliere a Sartre, da Eliot a Beckett e Kafka, il suo è un repertorio vastissimo.
Del resto, a teatro Bosetti ci è nato:vede la luce, infatti, nel 1930, in una casa situata sopra il Teatro Duse di Bergamo, fatto costruire dal nonno, apprezzato impresario teatrale. In seguito, dopo gli studi all’Accademia «Silvio D’Amico» viene notato da Giorgio Strehler che lo vuole a lavorare con lui al Piccolo Teatro; successivamente recita con Vittorio Gassman nella sua tournèe dedicata all’«Oreste» di Vittorio Alfieri. Collabora poi a lungo con il Teatro Stabile di Trieste mettendo in scena diversi testi di Ionesco che conoscerà anche personalmente. Altri suoi cavalli di battaglia saranno poi le opere di Anton Cechov, prima fa tutte la bellissima «Il gabbiano». Nel frattempo riscuote un grande successo con una serie di sceneggiati televisivi tra i quali ricordiamo il mitico «Malombra» con Marina Malfatti e la «Vita di Leonardo da Vinci» con Philippe Leroy. 
Negli anni ‘70, inoltre, fonda la cooperativa del Teatro Mobile, poi Compagnia Giulio Bosetti, alla quale collaboreranno molte personalità del teatro italiano, come Gabriele Lavia e Marco Sciaccaluga. Negli ultimi anni era stato nominato direttore artistico del Teatro Carcano di Milano, che aveva salvato dalla chiusura, perché, come egli stesso raccontava, il suo destino, altrimenti, sarebbe stato quello di diventare un garage. Tra le sue numerose interpretazioni per il cinema, ricordiamo le più recenti in alcuni film di importanti registi come «Il cuore altrove» di Pupi Avati, «Buongiorno notte» di Marco Bellocchio e «Il divo» di Paolo Sorrentino. Nel maggio scorso stava ancora lavorando ai «Dialoghi con Socrate» , sempre al Carcano.
Il suo era un teatro senza fronzoli né barocchismi che mirava all’essenziale e al concreto. Bosetti faceva suo anche il suggerimento tutto pirandelliano di evitare una recitazione troppo emotiva per spingere, invece, alla riflessione. Un anti-istrione, quindi, che si imponeva in scena con quella sua figura ossuta e quasi ascetica, dall’atteggiamento severo e che non faceva sconti allo spettatore in cerca di facili verità.
Proprio per questo era anche estremamente versatile e poteva interpretare ruoli totalmente diversi del «buono» come del «cattivo». Per lui il teatro era un luogo di amore e di incontro, dove la coscienza non si sentiva più sola, ma accompagnata verso la propria analisi interiore. Se il teatro «non ci fosse saremmo tutti più soli» era solito dire.


SENTIRSI COME VINICIO – Un inizio d’anno senza augurio

2 01 2010
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Sentirsi come Vinicio, in gabbia, scuotendo inutilmente le sbarre, con la maschera da Minotauro in un mondo di altre maschere stupide, fenomeno da baraccone, dietro miriadi di piccole luci elettriche, mordendosi la coda dalla rabbia insensata come in un inutile ballo di san Vito. E la vita non si muove, semplicemente si dibatte sempre uguale a se stessa: gli uomini e le donne come talpe cieche segnano la loro stessa infelicità tra coloro che amano e sono sole, non corrisposte, e coloro che si invaghiscono di donne che non li amano e se le terranno, scegliendo con tutto il cuore di essere per sempre infelici.

Si trova sempre un motivo perché uno dei due respinga l’altro alla fine. E dopo vent’anni si scopre di essere degli estranei.
Molti si chiedono perché nei suoi spettacoli siano evocate tutte queste figure fiabesche e infantili, considerandole inutili orpelli, e invece stanno lì per tentare di esorcizzare la crudeltà del destino. Cerchiamo almeno di sorridere dell’Human pignata, per dimenticare la disperazione impotente di tutte le botte che si sono prese e si prenderanno ancora; sentirsi il Corvo torvo che guarda gli altri vivere in una festa perenne, circondato dal falso divertimento del carnevale e che forse con il suo occhio invidioso porta sfortuna davvero: perché gli altri dovrebbero essere felici se il cuore è stretto in una morsa di fil di ferro? Perché dovresti essere benevolo se a volte ti sembra di respirare chiuso dietro un vetro come il palombaro isolato dal mondo e sul punto di annegare nei tuoi pensieri in apnea? Si sta in apnea dalla paura che un solo respiro possa incrinare quel poco di felicità che sembra di aver conquistato, per poi vederla svanire così come era venuta… Come il volo di una piuma, non più vera di uno scintillare veloce di stella cadente. Tutto finirà tra le ossa umane che costruiscono la casa della Baba Jaga, la Grande Divoratrice di ogni cosa, la quale forse compirà anche la vendetta dei dolori e delle sciocche follie degli uomini stolti…
Ma allora a che cosa sarà servito tutto questo?
 

L’amore inutile. La storia della mia vita..