FRANCO BRANCIAROLI E’ DON CHISCIOTTE – La performance del teatro tra Carmelo Bene e Gassman

17 01 2009
  
E adesso che il palco della vita si chiuda!
No, aspettate, permettetemi di raccontarvi ancora un’ultima storia…
 
Alla domanda a proposito del perché fa teatro Branciaroli ha risposto: «Mi verrebbe da dire "Per me stesso": a volte come un sado-masochista salgo sulla scena garantendo professionalità e qualità anche quando ci sono solo venti persone…»
In realtà, almeno da «Finale di partita» in poi, i suoi spettacoli fanno registrare il tutto esaurito, ma la sua risposta investe ugualmente il significato ultimo del suo essere attore ovvero uomo…

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 Una scena del Don Chisciotte

Il progetto di una vita di Franco Branciaroli è finalmente diventato realtà: per una stagione essere Don Chisciotte e Sancho Panza, ovvero la finzione stessa del teatro e la sua verità, essere la sintesi e l’immagine scanzonata di due mostri sacri della prosa italiana della seconda metà del Novecento, Vittorio Gassman e Carmelo Bene. I due mattatori della scena sono interpretati attraverso l’amore tipico di Branciaroli per i profondi significati del teatro classico reinventato con la fantasia, il travestimento e il puro divertimento della recitazione. Dietro un sipario barocco sempre semiaperto, campeggia il bancone di un bar ingombro di bottiglie di superalcolici, forse un’ironia sull’unico spirito dionisiaco rimasto oggi al teatro contemporaneo? Probabilmente sì, ma anche il ricordo delle debolezze dei due grandi miti del nostro teatro. Alcool e sigarette in quantità ad indicare i due poli opposti sui quali si muove spesso il genio, tra altezze e cadute. 
Il gioco della vita si svela sul palcoscenico nella sua complessa e meravigliosa vacuità che rende sempre uniche le opere, rivisitate e interpretate. dall’attore prediletto da Giovanni Testori.
Ieri sera Branciaroli è stato solo il teatro, il suo teatro, la sua carriera e gli spettacoli degli ultimi anni, riassunti sulla scena, con le loro domande sulla verità, l’identità e l’amore, con la forza che solo lui, come essere umano interrogante e pericolosamente in bilico sul nulla, può esprimere.
Uomo tipicamente moderno, drammaticamente affacciato sul labirinto, eppure pensante, in costante ricerca delle ragioni dell’essere e del non essere, dell’atto costitutivo dell’umanità. Ciò è possibile sul palcoscenico quando l’atto della suprema finzione incontra la contraffazione letteraria ovvero Don Chisciotte: il folle della piccola nobiltà, ormai cinquantenne in disarmo che cerca nei libri le risposte alla sua stessa esistenza. Cerca, don Chisciada, di diventare Don Chisciotte della Mancia, cerca uno specchio in cui riconoscersi, qualcuno da imitare per diventare eroico in un mondo di piccoli savi mediocri.
Tra Cartesio e Cervantes Branciaroli non ha dubbi e sceglie Cervantes cioè l’uomo nel labirinto della propria umanità, della propria natura onirica: «Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni», afferma il contemporaneo Shakespeare che morì lo stesso giorno del grande scrittore spagnolo.
Così il personaggio di Don Chisciotte per Branciaroli è colui che ha voluto provare la «verità» della letteratura.
Un viaggiatore della coscienza, dove con l’immaginazione si può costruire un mondo nobile anche in una realtà ignobile. Ora la letteratura guida gli uomini, creando il libro nel libro: cioè una vita di imitazione che è sua volta scritta e narrata, ancora prima che essa si realizzi. Da questo momento non sarà solo la natura a decidere il fato umano, ma anche il romanzo a raccontarne il destino prima ancora della sua conclusione.
Ora sarà la letteratura ad attribuire scopi ed identità. L’identità che viene dal passato: Don Chisciotte si propone di essere un nuovo Amadigi che egli imita come può, alla meglio, come in tutte le epoche di crisi.
Così Branciaroli imita i due grandi ed eterni mattatori del passato, Gassman e Bene, facendo loro il verso, ma allo scopo di celebrare la grandezza del teatro in tutte le sue forme. I due opposti, si rivelano, in realtà, le facce della stessa medaglia, si affrontano in singolar tenzone nella lettura del V canto dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca, per intenderci, creando momenti di intensa e spassosissima performance.
La novità del romanzo di Cervantes è uno spazio vuoto, lo spazio vuoto e labirintico della coscienza moderna, la contraffazione della contraffazione. Che cosa è vero e cosa falso nella realtà tra pubblico e narratore tra personaggio ed autore? E’ una lotta tra la follia e la realtà, dove l’unica verità umana che vale è la prima a discapito della seconda.
Le eterne questioni sull’uomo dal Caligola di Camus al Beckett della dureriana Melanconia di Finale di partita, al Galileo di Brecht, riemergono tutte qui, come la domanda diretta sulla quale Branciaroli ha costruito un intero spettacolo scritto da lui stesso: «Cos’è l’amore?». L’amore vagheggiato per ciò che non si conosce come Madonna Dulcinea, che non si sa, come la «cara beltà» del Leopardi in un famoso idillio. Qualcuno che si vagheggia e si sogna, qualcuno che è ben più alto di qualsiasi donna comune e di cui ci si può innamorare perdutamente perché ci si innamora, nel senso più nobile, dell’amore stesso e del significato profondo di essere uomini.
Franco Branciaroli è riuscito a celebrare l’essenza del teatro: l’imitazione e il richiamo al passato uniti al reinventarsi continuamente nel presente. Nella sua istrionica interpretazione il gusto per l’imitazione vocale, la ricerca di rendere una forma assolutamente contraffatta e a sua volta manieristica come quella di Bene o di Gassman, fa sì che la meditazione e il messaggio risultino ancora più evidenti e forti.
I contenuti risaltano nitidi e intatti, rigenerati dall’invenzione e dalla sua stessa forza e contraffazione astratta.
La mancanza di naturalismo nella recitazione, tipica già del suo rapporto con Testori, diviene qui veicolo privilegiato della riflessione filosofica che non si attua in termini seri e paludati, ma attraverso il travestimento, l’ambivalenza carnevalesca, la finzione-verità.
Il suo teatro parla di noi così come il Don Chisciotte del quale non si può portare in scena la morte, né la negazione della cavalleria, perché egli è l’attore e l’attore starà sempre sul palcoscenico.
Il mito del teatro non può mettere in scena l’anticipazione della propria scomparsa, perché è già archetipo, basato sulla lucida follia di rintracciare nella finzione la verità, nell’indagine letteraria i semi della realtà e della coscienza esemplare.
Per questo il sipario non scende mai del tutto, neppure alla fine.
Per consultare le fonti degli episodi citati nel "Don Chisciotte" di Branciaroli potete consultare questa pagina: http://web.tiscali.it/ut_pictura_poesis/Fontidonchisciotte.htm

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2 responses to “FRANCO BRANCIAROLI E’ DON CHISCIOTTE – La performance del teatro tra Carmelo Bene e Gassman”

18 01 2009
DellaRocca (12:52:07) :

Molto interessante…

Mi sto appassionando a poco a poco al teatro anche io!

Giulio

20 02 2011
anonimo (19:22:13) :

Semplicemente sublime l'interpretazione di Branciroli nel Don Chisciotte al Teatro Duse di Bologna! Ad un certo punto non si ha nemmeno più l'impressione di essere a teatro, tale è il coinvolgimento emotivo trasmesso dalla magia di questa performance, a più voci anche se provengono dal solo protagonista. Sarà anche follia e finzione il testo proposto, ma la lucidità che trasmette è tale sino alla fine, che suona sopratutto come un invito ad un arrivederci.

Piero Paci Bologna