La Giara: dal teatro al cinema – Un Pirandello “siciliano” ed enigmatico
13 12 2009Categories : Senza categoria
Prima di tutto, per provocare la «sospensione dell’incredulità» Vinicio evoca «Il gigante e il mago», uno dei pezzi più significativi del suo ultimo cd «Da solo», nel quale racconta come, proprio quando ci si sente abbandonati da tutti, l’incantesimo della poesia ci possa salvare. Il gigante e il mago nascondono probabilmente le personalità del poeta Vincenzo Costantino Chinaski e dello stesso Capossela, raffigurati, in uno dei più significativi disegni dedicati allo spettacolo, come i «real twins», i due veri gemelli siamesi, uniti fantasiosamente in uno stesso corpo. Nel mondo del musicista e del poeta, con l’ausilio di una minuscola tastiera, possiamo inseguire la dolce immagine dei calzini spaiati e del loro paradiso in cui, alla fine, ritroveranno i compagni perduti o forse no, ma non importa perché allora non ci sarà più pena anche «se non sei con me». Una metaforica ninna nanna, per raccontare le domande di sempre: che cos’è l’amore? perché l’amore se ne va? e dove vanno tutti quei sentimenti finiti quando spariscono dalla nostra vita? Si ritroveranno tutti in quel cielo di note di un pianoforte giocattolo, perché, come afferma il cantautore in un’altra sua bellissima canzone, se tutto è nascosto nel cielo, al cielo io ritornerò»
«Posso solo dire di trovarmi d’accordo con Céline, quando diceva che l’emozione è tutto nella vita e quando siete morti è finita» Anche per Capossela, come per Celine la parola deve essere soprattutto evocativa, con l’intento di suscitare l’adesione alla magia di una sensazione, piuttosto che una comprensione intellettuale. I sentimenti per Capossela sono apparizioni bellissime che però non durano a lungo, contemplate con lo stupore triste dell’attimo in cui si guarda il palloncino della fiera sfuggito ad una manina distratta, allontanarsi lassù nel cielo. Gli uomini e le donne continuano ad intrecciare le loro costole come esseri ciechi che non sanno trovare riposo e infine si lasciano reciprocamente soli sulla «nuda nuda terra a cercare», come accade nella canzone «La faccia della terra», tratta dai «Racconti dell’Ohio» di Sherwood Anderson; una sorta di Spoon River dell’amor perduto dove l’andamento della ballata popolare accompagna l’eterno replicarsi della passione..
L’uomo vivo di Capossela è un coraggioso, perché oggi si vive «In clandestinità» e la libertà fa soprattutto paura. La clandestinità è l’incapacità di mostrarsi per quello che si è pur di fingere un’integrazione sociale e di lasciare tutto come sta. Si cancella la propria personalità, si annullano i desideri o si vivono di nascosto, «nella notte» piuttosto che venire allo scoperto. E’ un’esistenza vissuta da soli, senza dare e senza prendere, come i due protagonisti della canzone Mr. Mall e Mr. Pall (altri due alter ego di Capossela e di Chinaski) che si possono incontrare solo di notte e sognano il giorno in cui potranno vedere finalmente insieme l’alba, perché allora vorrà dire che saranno liberi. Per Capossela, che cita in questo caso lo stesso Chinaski: «Ognuno ha le sue prigioni, ognuno ci convive, ma quando le pareti cominciano a restringersi le facce diventano anonime… il sapore della libertà è la paura, solo chi ha paura della libertà ha il coraggio di inseguirla»
Un tipo di società falsamente aperta al «diverso» è quella americana alla quale Capossela durante il concerto dedica due bellissime canzoni come «Dove siamo rimasti a terra Nutless», ispirata a «C’era una volta in America» di Sergio Leone, e «Vetri appannati d’America» con riferimento alla vita ai margini di molti statunitensi, i quali, pur essendo ben lontani dai modelli di riferimento della società d’oltreoceano, con spirito di appartenenza al loro Paese, accettano anche l’idea di essere messi da parte. Non sono mancati, però, anche pezzi più giocosi come «Tanco del Murazzo» e «Corvo Torvo», eseguito con un eccezionale arrangiamento jazz. A questo punto, il pubblico numerosissimo ha cominciato ad accompagnare prima con il battere delle mani poi anche ballando il ritmo trascinante della musica in un crescendo di entusiasmo. Dopo la parentesi meditativa dell’emozionante «Santissima. dei naufragati», ispirata alle canzoni popolari siciliane dell’Ottocento, che ha chiuso la prima parte, l’atmosfera si è fatta decisamente più circense e ludica, aperta da uno svolazzare di ali di pipistrello nell’«Accolita dei Rancorosi» per entrare poi nel vivo della performance: «Come fosse una galleria di cose straordinarie, come fosse un sideshow di quelli che si trovano ad Austin, dove c’è un imbonitore che ti chiama e ti invita ad entrare nel suo mondo di attrazioni assurde» ha spiegato Capossela, riferendosi al suo recente viaggio negli Stati Uniti.
«Questo, signore e signori, – spiega ancora l’istrionico cantautore – non è uno spettacolo, è una trasfigurazione», un modo per darsi una tregua con la vita, per farci assaltare dall’interno, da noi stessi, nel momento in cui chiudiamo gli occhi. Capossela si presenta allora come uno «storyfaced man», l’uomo con la faccia deturpata di storie. Il palcoscenico si popola degli strani animali dai significati simbolici che vivono nel nostro inconscio: prima la scimmia in gabbia per cantare «Gymnastica» nella versione originale russa del grande cantautore Vladimir Vyssotski, poi, con la stessa maschera interpreta «Marajà»,dedicata, come è noto, a Berlusconi, e non risparmiando battute ironiche sulla politica odierna, come nell’introduzione a «Sante Nicola»: «Prima c’era san Nicola, poi è arrivato Babbo Natale e adesso il suo posto è stato preso dal Presidente del Consiglio». Ulteriore riferimento ironico ai rituali natalizi è l’altra new entry nella scaletta del Solo Show: il classico «Santa Claus is coming to town», nella sua originale traduzione «Santo Nicola è arrivato in città».
Ma le fiabesche processioni del ritorno della luce non si fermano e allora eccolo cantare con la maschera da Minotauro – che deforma in modo oscuro anche la voce – il suo celebre «Ballo di San Vito», indiavolata tarantella dei tarantolati pugliesi e chiara metafora sessuale. Reminiscenza delle maschere comiche della commedia latina e delle cosiddette atellane delle antiche popolazioni italiche.
Nel mondo della magia, però, si possono fare anche brutti incontri come la strega Baba Jaga della tradizione russa, la quale divora tutto ciò che trova, come la morte o l’inferno. Per provare, dunque, ad incantarla ecco un’inedita versione della «Danza degli zufoli» dallo «Schiaccianoci» di Tchaikovskij sulla quale far danzare la sua casa, mentre viene ironicamente ipnotizzata una gallina.