SETTANT’ANNI TRA LA VIA EMILIA E IL WEST – La musica e la poesia di Francesco Guccini oggi

30 06 2010

gucUn concerto di Francesco Guccini è sempre un evento, e lo sarà senz’altro anche quello di questa sera nella sua Modena a quindici giorni dai festeggiamenti per i suoi 70 anni.
Ogni concerto del “Maestrone” (così amano chiamarlo confidenzialmente i suoi fan) è un’iniezione di entusiasmo e mostra come quei settant’anni al servizio della musica e dei propri ideali, sempre affermati con grande coerenza, siano diventati un esempio per tutti. Perfino per i suoi colleghi di qualche decennio più giovani come Luciano Ligabue, che gli ha dedicato proprio di recente una lettera-canzone nella quale in qualche modo dichiara di sentirsi in profonda sintonia con lui come un suo seguace o erede.
Le sue ballate con quella musica scarna e quella voce dall’erre moscia che agli esordi era considerata addirittura “antimusicale” e che oggi, invece, è un marchio di fabbrica, sono diventate nel tempo popolarissime, attraversando intere generazioni per giungere ai quattordicenni di oggi. Ai suoi concerti tutti cantano, anche quelli che sono nati venti- trent’anni dopo la pubblicazione di certe canzoni. Il fatto avrebbe del miracoloso se non fosse che nel tempo il pubblico ha circondato Guccini di un affetto crescente, spesso identificandosi con lui, come un esempio, non solo a livello ideologico, ma anche di vita. Quella sua permanenza a Pavana, volutamente fuori da tutti i più evidenti meccanismi discografici, il suo stile di vita semplice da vecchio montanaro, per mantenere il distacco con cui guardare le cose in prospettiva e con i piedi ben piantati a terra e vederle così più chiaramente, hanno fatto di lui un punto di riferimento. L’aspetto più sorprendente di Guccini è che non ha mai voluto raccontare una realtà edulcorata o ideologicamente astratta, ma ha saputo parlare di solitudine, di “male di vivere”, di quell’incompiuto che ogni uomo porta in sé, facendone paradossalmente (o forse, per un leopardiano come lui, non troppo) la sua forza. La “pecora nera” che l’uomo di Pavana dice di essere è tutta lì: nel groviglio di incertezze, dubbi, dolore, malinconia che alla fine portano alla certezza, invece, di dover affermare un nuovo umanesimo, di dover andare e cercare, quasi come una pulsione irrefrenabile, scavata nella coscienza, frutto di mille riflessioni e quindi, infine, ancora più forte e radicata, ancora più vera. Come le “Radici” dei suoi antenati.

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Quando uscì quell’album, molti di noi allora pensarono che tutto sommato fosse anche un po’ di maniera mettersi a dialogare con i propri avi, come se non bastassero gli ideali che già si propugnavano. Invece quel disco oltre ad essere un capolavoro, stabiliva un rapporto diretto con le istanze popolari e con una cultura rurale capace di giudicare il presente con occhi buoni e positivi, non alienati, non ottenebrati dall’idea del profitto fine a se stesso. Basta pensare ad una canzone come “Il vecchio e il bambino” per rendersi conto della lungimiranza di Guccini e della sua modernità costante oppure, ad anni di distanza, alla meravigliosa “Amerigo”, dedicata a tutti gli emigrati di sempre e al loro non appartenere più ad alcun luogo. La vera poesia è centrata sempre al cuore della vicenda umana e come tale non ha mai una data di scadenza.
Quando molti facevano grandi proclami ideologici Guccini ebbe il coraggio di far uscire un disco come “Stanze di vita quotidiana” che invitava, invece, alla riflessione, a scavare sotto la superficie, ricevendo critiche pesantissime da cui nacque poi la famosa “Avvelenata”. Quando, invece, oggi ci si abbandona spesso al più becero revisionismo ecco che Francesco fa uscire una canzone come “Su in collina”, dedicata alla Resistenza oppure un’invettiva durissima come “Il testamento del pagliaccio”. Chissà come gongolerà soddisfatto al pensiero che il buon Bertoncelli , il duro e puro, quello che scrisse che Guccini con “Stanze” si era rifugiato nel riflusso, nel vino e nella vita provinciale, ultimamente ce lo siamo ritrovati a tenere un master alla Cattolica… i giovani di oggi neanche sanno più chi è, e così sia!
Con gli anni le canzoni di Guccini si sono fatte, poi, sempre più epiche, spesso con il pensiero rivolto alle terre d’oltreoceano, a quelle Americhe tanto amate, odiate, sognate; alle sconfinate pianure e alle strade infinite e sempre diritte che sembrano attraversare un continente come nel sogno americano di “100, Pennsylvania Ave.”. C’è il mito del viaggio e del futuro, della scoperta e della comprensione del mondo, ma, come sempre, Guccini non si accontenta di facili risposte: “da tempo e mare non si impara niente” dirà in Gulliver; e poi ci sono Ulisse, Cristoforo Colombo, c’è il Filemazo di “Bisanzio” la vedetta di “Shomér, ma mi-llailah?”. Tutti eroi del viaggio della conoscenza alla fine del quale non si sa cosa si troverà, forse non quello che si sperava, ma probabilmente il senso dell’andare è nel viaggio stesso perché “bisognava volare”.
Eccezionale anche la sua collaborazione con Claudio Lolli del quale ha interpretato alcune straordinarie canzoni come “Keaton” o “Ballando con una sconosciuta”. Nel tempo poi, oltre al suo sodalizio con i Nomadi, si è circondato anche di ottimi strumentisti come quelli attuali – Ellade Bandini (batteria, percussioni), Juan Carlos “Flaco” Biondini (chitarre), Roberto Manuzzi (sax, armonica, fisarmonica, tastiere), Antonio Marangolo (sax, percussioni), Pierluigi Mingotti (basso), Vince Tempera (pianoforte, tastiere) – che hanno conferito alla sua musica una maggiore solidità di impianto e un più intenso afflato interpretativo. Con gli anni la sua vena malinconica è diventata saggezza, ma essendo un vero animale da palcoscenico, non ha mai smesso di intrattenere il pubblico con grande umorismo ed ironia. A volte i suoi commenti e le sue introduzioni parlate sono così spassose e originali che quasi gareggiano con le sue stesse canzoni. Niente di strano, considerando che non per niente il “Maestrone” ha all’attivo anche diversi romanzi di successo, scritti con un linguaggio particolare, ispirato allo stile di Gadda, ma di sua invenzione, impregnato dei termini dialettali e gergali dell’Appennino modenese. Non si deve dimenticare, infatti, che Guccini è anche e soprattutto un maestro della parola. Un vero poeta in musica. Per chi volesse seguirlo nel concerto odierno la scaletta dovrebbe essere ancora quella dei concerti di questi ultimi mesi (ma si sa che vengono sempre introdotte variazioni): oltre alla classica “Canzone per un’amica” troviamo la storica e programmatica “Il tema”, “Canzone delle osterie di fuori porta”, “Noi non ci saremo”, “Vedi cara”, “Canzone quasi d’amore”, “Incontro”, “Ti ricordi quei giorni”, in tal caso i fortunati potranno magari assistere ad una sua esilarante lezione su come gestire gli affari di cuore e soprattutto come “dire e non dire”, per non esporsi troppo ed avere successo Ma ci sarà anche una pausa di profonda riflessione sulle lotte di ieri e quelle che dovrebbero essere combattute oggi con «Su in collina» e «Il testamento del pagliaccio».
Seguono le canzoni che testimoniano la lotta per un ideale, una battaglia che sembra a volte velleitaria fatta di affermazioni, ma anche di battute d’arresto e che pure bisogna combattere con coraggio, da «Don Chisciotte» a «Eskimo», fino a «Cirano», «Il vecchio e il bambino», «Auschwitz». C’è poi la pausa malinconica di «Un altro giorno è andato», per approdare a «Dio è morto» e alla canzone simbolo, «La locomotiva». Qualcuno per l’occasione chiede a gran voce “Piccola città”, ma non si sa ancora se il maestro la eseguirà… sarà una sorpresa.
E’ probabile che in autunno la scaletta cambierà: di sicuro, come è già stato anticipato, ci saranno parecchie variazioni nel concerto di Milano del 10 dicembre 2010. Ma in fondo, poi,“in questo non c’è alcuna differenza”, considerando che le canzoni di Guccini sono tutte molto belle. Soprattutto sono testimonianze ed esperienze di un uomo che ha autenticamente vissuto, del quale abbiamo sempre saputo “che viso avesse”. Una vera finestra di riflessione privilegiata sul mondo e sulla storia di ognuno di noi: è questa l’emozione profonda che ci attraversa ad ogni suo concerto.
Ora davanti ad una vita intera possiamo ben dirlo: non era la povertà, né la rivolta permanente, ma era ed è un modo di vivere, perché l’eskimo innocente, Francesco non se l’è tolto mai…
Ora è diventato anche lui parte delle nostre radici.



I VIDEO DEL CONCERTO DI FRANCESCO GUCCINI A MONTICHIARI – 30 maggio 2010

2 05 2010

Il prologo del concerto: Francesco Guccini e il passaporto per Montciar! 

NOI NON CI SAREMO

FRANCESCO GUCCINI E IL "GABBIANO DA CANZONE"
 

IL TEMA

ESKIMO

CANZONE DELLE OSTERIE DI FUORI PORTA

 

DON CHISCIOTTE

SU IN COLLINA

TI RICORDI QUEI GIORNI

CANZONE QUASI D'AMORE

VEDI CARA

IL TESTAMENTO DEL PAGLIACCIO



CYRANO c’est moi

28 08 2009

Ci sono tanti modi di essere Cyrano, basta essere fuori dalle righe o dal coro. Essere non convenzionale o "diverso": essere di un altro paese oppure avere un lavoro poco brillante o avere, come il protagonista dell’opera di Rostand, qualche difetto fisico. Ma, in fondo, basta anche semplicemente qualche chilo di troppo o una differenza di età, ed ecco che "il pubblico" rumoreggia e ci si ritrova soli sul palcoscenico della vita, contro tutti. Chissà se quelli che cantano questa canzone pensano davvero a che cosa significhi. Probabilmente no.
Così, resta solo la spada del pensiero e della poesia a difendere un io ferito; tutte le Rossane del mondo non comprenderanno mai che quello spirito libero, affascinante e un po’ folle si è creato proprio per far dimenticare quel naso.
Geniale, sì, forse, chissenefrega. Cyrano voleva solo essere amato. 

Ma Moliere era il vero genio e Cristiano era bello…

 

 

La morte di Cirano interpretata dal Laboratorio teatrale del mio Liceo, con il grande Gian Marco Pellecchia come protagonista

Ma cosa ci è stato a fare lui qui in questa galera?

 

Qui giace Cirano di Bergerac che in vita sua fu tutto e non fu niente…



Signor Colonnello, sono Ernesto, il “Che” Guevara mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo

15 05 2009

L’ultima avventura del Comandante in Bolivia in «Guerriglia» di Steven Soderbergh

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I miracoli non si ripetono all’infinito, ma questo avrebbe chiesto al destino Ernesto «Che» Guevara quando decise di partire alla volta della Bolivia dopo aver partecipato senza successo ad azioni di guerriglia nel Congo. Una rivoluzione non gli bastava, sapeva che finché Cuba fosse rimasta la sola repubblica socialista in America latina sarebbe stata sempre in pericolo; inoltre non era d’accordo con i russi che consigliavano di desistere, di evitare altre azioni di lotta armata. Lo tacciarono di trotskismo e forse era anche vero, ma di sicuro era chiaro che se non ci si fosse impegnati per «esportare» la rivoluzione all’estero, anche dove essa si era realizzata avrebbe avuto vita difficile e forse breve. Un pensiero non poi così campato per aria, vista la situazione odierna. Il dilemma è che, d’altra parte, è impossibile esportare una rivoluzione presso un popolo che non l’ha fatta propria: anche se ci sono tutte le condizioni economico-sociali di questo mondo, l’atteggiamento della popolazione appare poi fondamentale. E’ questo l’amaro insegnamento della vicenda boliviana del Che: un manipolo di irriducili non basta quando la gente è sorda e le grandi potenze ti abbandonano.
Nella seconda parte del film di Soderbergh dedicato alla biografia di Che Guevara, vediamo l’eroe della rivoluzione cubana battersi fino all’ultimo con lo stesso disperato coraggio di sempre, in luoghi che, però, non gli appartengono veramente, che non conosce bene, e diventano ancora più estranei quando la gente silenziosamente gli volta le spalle e continua nell’opera lenta, ma costante, di delazione.

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La popolazione boliviana non è quella di Cuba e forse il Guevara aveva anche sottovalutato l’importanza di far partire il tentativo di insurrezione da un territorio più congeniale, magari caratterizzato da una presenza operaia, come la zona delle miniere. I «peones» boliviani, semplicemente, non capiscono come si possa cambiare perché per loro la vita è sempre stata segnata dalla miseria e dalla rassegnazione e, quindi, non esiste alcuna prospettiva di miglioramento possibile né si capisce quale potrebbe mai essere. Il «Che» si scontra con il più terribile di tutti i mali del popolo: l’ignoranza, l’incapacità di autocoscienza della propria situazione. Aver lasciato i contadini abbandonati a se stessi, vittime di suggestioni religiose, analfabeti e completamente arretrati, ha dato brillantemente i suoi frutti per il governo militare e i lontani nipoti dei seguaci di Bolivar sono diventati un gregge timoroso in totale balia degli eventi e della legge del più forte. Tutto qui. L’ostilità del partito comunista locale, certamente sobillato dall’Unione Sovietica, ha sicuramente fatto il resto.
E’ un Ernesto Guevara che difficilmente potremo dimenticare questo mitico Comandante perduto nella foresta, mentre vaga con pochi uomini senza arrendersi mai all’evidenza della sconfitta, un uomo che accetta la sfida del coraggio e della caparbia rivolta contro l’ingiustizia fino alla fine, fino alla lenta morte per fame e per esaurimento delle forze prima ancora che per l’accerchiamento e il numero preponderante dei nemici.
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L’epilogo non lo stupisce, anche se, fino all’ultimo, cerca di convincere il soldato che di notte lo sorveglia a slegarlo e a lasciarlo fuggire… il Comandante Guevara non era tipo da arrendersi: «Siamo realisti: esigiamo l’impossibile» era uno dei suoi motti favoriti.
L’esecuzione è consumata quasi di nascosto da un solo uomo, Mario Teran – volontario, secondo il racconto di Soderbergh, tirato a sorte, dicono altri –  come se ci fosse il timore che un plotone d’esecuzione regolare avrebbe esitato a sparare…
«Lo so che cosa sei venuto a fare, sono pronto. Resterò in piedi per questo. Sappi questo ora: stai per uccidere un uomo!» furono le sue ultime parole.
Una vita e una morte che, avvicinandosi idealmente sempre più al martirio, ha segnato l’immaginario di intere generazioni fino al presente.

*****

Un popolo può liberare se stesso
dalle sue gabbie di animali elettrodomestici
ma all’avanguardia d’America
dobbiamo fare dei sacrifici
verso il cammino lento della piena libertà.

e se il rivoluzionario
non trova altro riposo che la morte,
che rinunci al riposo e sopravviva;
niente o nessuno lo trattenga,
anche per il momento di un bacio
o per qualche calore di pelle o prebenda.

I problemi di coscienza interessano tanto
quanto la piena perfezione di un risultato
lottiamo contro la miseria
ma allo stesso tempo contro la sopraffazione

Lasciate che lo dica
mai l rivoluzionario quando è vero
è guidato da un grande
sentimento d’amore,
ha dei figli che non riescono a chiamarlo,
mogli che fan parte di quel sacrificio,
suoi amici sono "compañeros de revolucion".

Addio vecchi, oggi è il giorno conclusivo;
non lo cerco, ma è già tutto nel mio calcolo.
Addio Fidel, oggi è l’atto conclusivo;
sotto il mio cielo, nella gran patria di Bolìvar
la luna de Higueras è la luna de Playa Giron.
Sono un rivoluzionario cubano.
Sono un rivoluzionario d’America.

Signor Colonnello, sono Ernesto, il "Che" Guevara.
Mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo



O COMPAGNI, CERTO NON SIAMO INESPERTI DI MALI…. – andare nella notte che ti avvolge scrutando delle stelle il tremolare

30 04 2009

Bisogna che lo affermi fortemente che, certo, non appartenevo al mare
anche se gli Dei d’Olimpo e umana gente mi sospinsero un giorno a navigare
e se guardavo l’isola petrosa, ulivi e armenti sopra a ogni collina
c’era il mio cuore al sommo d’ogni cosa, c’era l’anima mia che è contadina,
un’isola d’aratro e di frumento senza le vele, senza pescatori,
il sudore e la terra erano argento, il vino e l’olio erano i miei ori….

Ma se tu guardi un monte che hai di faccia senti che ti sospinge a un altro monte,
un’isola col mare che l’abbraccia ti chiama a un’altra isola di fronte
e diedi un volto a quelle mie chimere, le navi costruii di forma ardita,
concavi navi dalle vele nere e nel mare cambiò quella mia vita…
E il mare trascurato mi travolse, seppi che il mio futuro era sul mare
con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare…

Ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli di presente,
ti esalta l’acqua e al gusto del salato brucia la mente
e ad ogni viaggio reinventarsi un mito a ogni incontro ridisegnare il mondo
e perdersi nel gusto del proibito sempre più in fondo…

E andare in giorni bianchi come arsura, soffio di vento e forza delle braccia,
mano al timone, sguardo nella prua, schiuma che lascia effimera una traccia,
andare nella notte che ti avvolge scrutando delle stelle il tremolare
in alto l’Orsa è un segno che ti volge diritta verso il nord della Polare.
E andare come spinto dal destino verso una guerra, verso l’avventura
e tornare contro ogni vaticino contro gli Dei e contro la paura.

E andare verso isole incantate, verso altri amori, verso forze arcane,
compagni persi e navi naufragate per mesi, anni, o soltanto settimane…
La memoria confonde e dà l’oblio, chi era Nausicaa, e dove le sirene?
Circe e Calypso perse nel brusio di voci che non so legare assieme,
mi sfuggono il timone, vela, remo, la frattura fra inizio ed il finire,
l’urlo dell’accecato Polifemo ed il mio navigare per fuggire…

E fuggendo si muore e la mia morte sento vicina quando tutto tace
sul mare, e maldico la mia sorte, non provo pace,
forse perché sono rimasto solo, ma allora non tremava la mia mano
e i remi mutai in ali al folle volo oltre l’umano…

La via del mare segna false rotte, ingannevole in mare ogni tracciato,
solo leggende perse nella notte perenne di chi un giorno mi ha cantato
donandomi però un’eterna vita racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
dandomi ancora la gioia infinita di entrare in porti sconosciuti prima….



LA TUA LIBERTA’ – Un inedito di francesco Guccini

14 04 2009

Un Guccini d’annata con un inedito del ’71, che non dimostra affatto il tempo passato, ma anzi, risulta ancora attualissimo

Oltre le mura
della città
un orizzonte insegue un orizzonte;
a un’autostrada, un’altra seguirà,
gli spazi sono fatti per andare;
la tua libertà,
se vuoi, la puoi trovare.
E un uomo saggio
regole farà,
una prigione fatta di parole;
i carcerieri
di una società
ti impediranno di cercare il sole;
la tua libertà,
se vuoi, la puoi avere.

Fossi un uccello
alto nel cielo
potrei volare senza aver padroni;
se fossi un fiume
potrei andare
rompendo gli argini nelle mie alluvioni

E boschi e boschi
cerco attorno a me
dov’è la terra che non ha barriere?
dov’è quel vento
che ci spingerà
come le vele o le bandiere;
la tua libertà
se vuoi la puoi avere.
Fossi un uccello
alto nel cielo
potrei volare senza aver padroni;
se fossi un fiume
potrei andare
rompendo gli argini nelle mie alluvioni

Ma sono un uomo
uno fra milioni
e come gli altri ho il peso della vita
e la mia strada
lungo le stagioni
può essere breve, ma può essere infinita;
la tua libertà
cercala, che si è smarrita.
cercala, che si è smarrita