FINO AD ESSERE INSIEME PERDUTI

31 03 2009

   


tramonto foto Mauro Lasca

SOLO LASCIARMI PENSARE

 

È noto all’universo
che tu sei la fonte del mio cantare:


la tua Assenza mi fa disperato
la Presenza mi incenerisce:


e se voglio raggiungerti, devo
liberarmi dalla volontà di cercarti:


andare oltre la stessa mente,
solo lasciarmi pensare.

 

 

Pure il male dunque è un bene.

 

 

Bisogna che la mente scompaia:
allora avverrà l’incontro
e né tu né io saremo


E mentre io sempre più disperavo
di afferrarti, sentivo
che eri tu ad assorbirmi:


fino ad essere insieme perduti.

 

Turoldo

 

Ho letto questa poesia nel blog di Monaco Zen

 e non ho resistito…

merita di riecheggiare sui nostri fogli virtuali come nel nostro cuore, ancora e ancora…

http://monacozen.splinder.com/post/20204649



LA MERAVIGLIA DIVINA DI MEISTER ECKHART

18 02 2009
 creazione Adamo
LA CREAZIONE E’ SEMPRE OGGI
"Pronuncia la parola, esprimila, producila, genera la parola!". È una cosa meravigliosa che rimanga all’interno qualcosa che fluisce all’esterno. Che la parola fluisca all’esterno e tuttavia permanga all’interno, è davvero straordinario. Che tutte le creature fluiscano all’esterno e permangano tuttavia all’interno, è davvero straordinario (…) Dio è in tutte le cose. Più è dentro le cose, e più ne è fuori; più è all’interno, e più è all’esterno. Ho già detto altre volte che Dio crea questo intero mondo assolutamente in questo ora. Tutto quello che Dio ha creato seimila e più anni or sono, quando fece il mondo, Dio lo crea ora tutto quanto.

battistero di firenze genesi
DIO DICE SEMPRE SOLO UNA COSA
IL VERBO RISUONA NELL’UOMO
Il Padre genera il Figlio nella parte più intima dell’anima, e genera te come non inferiore al Figlio suo unigenito. Se devo essere figlio, devo esserlo in quello stesso essere in cui egli è Figlio, ed in nessun altro. Se devo essere uomo, non posso esserlo nell’essere di un animale, ma devo esserlo nell’essere di un uomo. Se poi devo essere quest’uomo, devo esserlo in questo essere di quest’uomo. San Giovanni ora dice: "Voi siete figli di Dio".
"Parla la parola, pronunciala, esprimila, producila, genera la parola!". "Pronunciala". Ciò che è detto dall’esterno, è grossolano; ma quella parola è pronunciata interiormente. "Pronunciala!", significa che devi diventare interiore di ciò che è in te. Il profeta dice: "Dio disse una cosa, e io ne intesi due". Questo è vero: Dio dice sempre e soltanto una cosa. Il suo dire è uno soltanto. In questo unico dire, egli dice suo Figlio, ed insieme lo Spirito santo e tutte le creature, e vi è soltanto un solo dire in Dio. Ma il profeta dice: "Udii due cose", il che significa: ho inteso Dio e la creatura. Là dove Dio la pronuncia, essa è Dio, ma qui è creatura. La gente si immagina che Dio sia diventato uomo solo laggiù. Non è così, perché Dio è diventato uomo altrettanto qui quanto là, ed è diventato uomo per poterti generare come suo Figlio unigenito, e niente di meno.
 
 
Cupoletta di Sa Marco a Venezia con La genesi
DIO E’ IN TUTTE LE COSE
Cogli Dio in tutte le cose, perché Dio è in tutte le cose. Sant’Agostino dice: Dio ha creato tutte le cose, non che le abbia fatte divenire e poi abbia proseguito il suo cammino, ma è rimasto in esse. La gente immagina di avere di più, se ha le cose insieme a Dio, di quanto avrebbe con Dio senza le cose. Questo è sbagliato, perché tutte le cose insieme a Dio non sono di più di Dio solo;(…)
Prendi perciò Dio in tutte le cose, e questo è un segno del fatto che egli ti ha generato come figlio unigenito, e niente di meno.

Creazione animali San Marco cupoletta della Genesi


CRISTO E IL DEMONE INTELLIGENTE – L’inutilità del sapere fine a se stesso

1 02 2009
Cristo scaccia il demone«Gesù, entrato di sabato nella sinagoga [a Cafàrnao] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: "Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!". E Gesù gli ordinò severamente: "Taci! Esci da lui!". E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Un insegnaménto nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!". La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.»
 
Cristo scaccia i demoni

Questo episodio del Vangelo secondo Marco (1, 26-38), illustra il curioso rapporto tra Cristo e i demoni nei Vangeli. E’ particolarmente significativo, infatti, che il demone sappia chi sia Cristo e lo riconosca chiaramente, però, invece di adorarlo, cerchi di evitarlo, come se non sapesse barattare il proprio ego con la grandezza che si trova di fronte.
Cristo viene percepito come un concorrente sgradito, eppure il demone sa che esiste il bene, ma non vi aderisce, non vuole ammettere che ci sia qualcosa di più alto oltre il proprio io, sa tutto, ma non ha il coraggio di rinnegare se stesso.
La lotta si scatena perché Cristo insegna con autorità e quindi sta diffondendo una nuova dottrina. «Sei venuto per rovinarci» afferma il demone, perché d’ora in avanti l’uomo non potrà più pensare di essere indegno di Dio e lontano da Lui, visto che Dio si è fatto uomo.
«Rovinarci» perché viene affermata la divinità dell’uomo e la sua possibilità di essere perfetto, così i demoni del dubbio, dello scetticismo e della disperazione non potranno più insinuarsi in lui. Egli si sentirà forte e capace di giungere al bene poiché è consapevole di portarlo in se stesso. Inoltre Cristo con il suo estremo sacrificio, con l’atto di più alta compassione nei confronti del genere umano batterà la morte stessa, incluso il demonio. Viene sconfitto il demone del dubbio sulla bontà della natura umana e dello scetticismo sul valore dell’esistenza: infatti il credente, in genere, è un uomo che in qualche modo crede in se stesso e nella vita, magari inizialmente anche come avversario di Dio (come, per esempio, San Paolo), ma ci crede.
Ecco cosa significa «Sei venuto a rovinarci», perché Cristo è la testimonianza diretta che esiste una via alla verità: la verità nuova sull’uomo fa scattare il demone.
E’ lo scontro tra colui che ha appena ricevuto lo Spirito Santo durante il battesimo impartitogli da Giovanni il Battista – e che ha rifiutato Satana tre volte nel deserto – e l’angelo caduto che cerca il male attaccato alle illusioni della carne (tanto che strazia l’uomo andandosene), raggomitolato e chiuso in un sé-centrismo che non gli fa vedere altro che il proprio lamento e la rabbia. Un essere che non sa rinunciare a se stesso e alla propria miseria, pur vedendo la grandezza di Dio.
Lo comprende con l’intelletto, ma non aderisce con la volontà; situazione incredibile per una «sostanza separata»: un essere che sarebbe una diretta emanazione di Dio stesso (costituito da puro intelletto, secondo San Tommaso) non sa poi aderire alla divinità che pure egli vede con maggiore chiarezza di qualsiasi uomo…
La novità del messaggio, però, lo colpisce: nulla sarà più come prima perché Cristo è venuto a testimoniare la divinità della natura umana.
Come sottolinea Dante nel XXXIII canto del Paradiso:
 
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo.

All’interno dei tre cerchi che rappresentano la natura stessa di Dio egli scorge l’effigie dell’uomo nella sua più autentica e profonda realtà…
 
 
 

 



UN ARCOBALENO NELLA NOTTE

26 12 2008
25 Dicembre 2008
In una notte come le altre, i pastori di Betlemme vegliavano all’aperto nelle campagne sotto la luce della luna, e così non fecero molto caso a quei ragazzini che si stavano dirigendo verso di loro: erano vestiti di bianco e sembravano sfiorare l’erba a piedi scalzi nelle loro semplici tuniche che parevano illuminarsi sotto i raggi argentei. I pastori li osservarono curiosi e videro che uno era biondo con gli occhi chiarissimi del colore dell’acqua, il secondo dalla carnagione scura era moro dallo sguardo profondo e il terzo aveva i capelli neri lisci e gli occhi a mandorla. Il loro visi si aprivano in un sorriso che illuminava la notte come fossero stelle.
«Che fate? Voi che vegliate, tra gli uomini, sappiate che un bambino è appena nato qui vicino in una mangiatoia perché sua madre e suo padre non hanno trovato posto nell’albergo. Ha bisogno di tutto, piange perché ha freddo e i genitori non sanno come scaldarlo; non hanno né cibo né acqua…»
Allora i poveri pastori presero chi un panno, chi un po’ di latte o di formaggio, chi un agnellino, perché in quel momento non aveva altro; era poco, ma era tutto quello che avevano, e si diressero verso quella specie di grotta dove a volte si ricoveravano nel freddo inverno con i loro animali. 
Là videro un piccolo bambino che piangeva di freddo, eppure dalla sua culla improvvisata si sprigionava una specie di fiamma come se la paglia stesse prendendo fuoco.

Correggio Natività

Allora i tre ragazzi che li avevano accompagnati si misero dietro di lui e i loro visi parvero ardere, intorno a ognuno di loro sembrava di vedere delle ali, tre paia di ali luminose dei colori dell’arcobaleno. Essi si avvicinarono e lo coprirono con tutti i loro colori lasciando visibile soltanto il viso e avvolgendolo con la loro luce dal rosso all’indaco. Così i pastori capirono che i serafini, i custodi del trono di Dio, stavano vegliando l’Emmanuele… e felici deposero i loro doni accanto a lui.

magi
Nove mesi prima, nel cuore dell’Asia tre saggi matematici, filosofi e astronomi stavano osservando il cielo per interpretare i suoi segni: «Guarda, Melchior, la congiunzione di Giove e Saturno: un re nascerà!»
E l’altro disse: «Sì Balthassar, e vedi il trigono di quel pianeta? Sarà chiamato Signore della compassione e il suo dominio sarà universale»
«Amici, – disse Caspar – Questa è solo la prima delle tre congiunzioni che si verificheranno in questo anno nel segno del nuovo equinozio: si apre una nuova era, colui che aspettavamo sta nascendo, là ad Occidente!»
«Prepariamo i bagagli: dobbiamo andare a onorarlo con i doni dei re e dei sacerdoti: egli sarà Signore dei cieli e della terra perché sarà capace di offrire la sua stessa vita per ogni essere.»
E così si incamminarono seguendo quella stella verso Ovest…


Loreena McKennitt- Lullaby

26 12 2008

5 Dicembre 2008

Tragica e bellissima…

 Loreena McKennitt- Lullaby

 

O for a voice like thunder, and a tongue
To drown the throat of war! – When the senses
Are shaken, and the soul is driven to madness,
Who can stand? When the souls of the oppressed
Fight in the troubled air that rages, who can stand?
When the whirlwind of fury comes from the
Throne of God, when the frowns of his countenance
Drive the nations together, who can stand?
When Sin claps his broad wings over the battle,
And sails rejoicing in the flood of Death;
When souls are torn to everlasting fire,
And fiends of Hell rejoice upon the slain,
O who can stand? O who hath caused this?
O who can answer at the throne of God?
The Kings and Nobles of the Land have done it!
Hear it not, Heaven, thy Ministers have done it!

Poem by William Blake (1757-1827)
Music by Loreena McKennitt
From: Elemental (1985)

O avessi voce come tuono e favella
tale da soffocare la gola della guerra! Quando i sensi
sono scossi e l’anima è spinta verso la follia,
chi può restare in piedi? Quando le anime degli oppressi
combattono nell’aria turbata che infuria, chi può restare in piedi?
Quando il turbine del furore giunge
dal trono di Dio, quando il corrugarsi del suo volto
fa cozzare insieme le nazioni, chi può restare in piedi?
Quando il Peccato sbatte le sue grandi ali sulla battaglia
e veleggia rallegrandosi nel diluvio della Morte;
quando le anime sono lacerate da un fuoco senza fine
e demoni dell’Inferno si rallegrano della strage,
chi può restare in piedi? Chi ha causato questo?
Chi può rispondere davanti al trono di Dio?
I re e i nobili della Terra hanno fatto questo!
Che lo ascolti o no, Cielo, i tuoi ministri han fatto questo!

 

http://www.youtube.com/watch?v=-xBLYMSgxCE



Fa’ un’isola di te stesso, opera celermente, sii saggio – Della felicità e delle passioni

26 12 2008
5 Dicembre 2008
Edvard Munch Sun
Nasce l’uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
 Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato…

Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L’ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s’affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.

Esiste probabilmente un unico modo per evitare che la vita sia questo insensato abisso di dolore descritto così bene dal Leopardi: lasciare quel fascio di tutto ciò che ci «appartiene» e ci pesa addosso, di tutto il nostro «amor proprio» (che non è autentico «amore a sé», cioè al nostro destino di felicità) e fermare la corsa. La corsa dei desideri che ci fanno precipitare e ci lacerano ovunque senza lasciarci pensare davvero a chi siamo e a dove stiamo andando. Fermare la corsa.
«L’antidoto», per usare un’espressione cara al Dalai Lama, è appunto far «girare la ruota del Dharma» cioè andare in senso opposto e, come dice il Beato «uscire dalla foresta» degli attaccamenti e dell’odio e diventare invisibili agli occhi di «Mara». Questo si intende per liberazione a beneficio non solo personale, ma di tutti gli esseri.
Di sicuro quel fascio dobbiamo cercare di lasciarlo e, soprattutto, non dobbiamo crearne un altro con le nostre azioni.
Non è una deduzione razionale tipica soltanto del Buddhismo, ma a questa conclusione sono arrivati anche molti artisti, filosofi o religiosi occidentali.
Per esempio l’Ariosto, con la sua consueta leggerezza ci propone una «allegoria» molto realistica, sui desideri degli uomini e sulla loro fine.

Nel tempo ch’era nuovo il mondo ancora
e che inesperta era la gente prima
e non eran l’astuzie che sono ora,
a piè d’un alto monte, la cui cima
parea toccassi il cielo, un popul, quale
non so mostrar, vivea ne la val ima;
che più volte osservando la inequale
luna, or con corna or senza, or piena or scema,
girar il cielo al corso naturale;
e credendo poter da la suprema
parte del monte giungervi, e vederla
come si accresca e come in sé si prema;
chi con canestro e chi con sacco per la
montagna cominciar correr in su,
ingordi tutti a gara di volerla.
Vedendo poi non esser giunti più
vicini a lei, cadeano a terra lassi,
bramando in van d’esser rimasi giù.
Quei ch’alti li vedean dai poggi bassi,
credendo che toccassero la luna,
dietro venian con frettolosi passi.
Questo monte è la ruota di Fortuna,
ne la cui cima il volgo ignaro pensa
ch’ogni quïete sia, né ve n’è alcuna.

Insomma, gli uomini tendono sempre a correre dietro le loro illusioni pensando che siano reali, ma più corrono e più non si avvicinano neanche di un passo alla felicità, così come non si può catturare la luna dentro un canestro…

Preziosi consigli su come vivere ci vengono dagli antichi. Seneca, ad esempio, ha meditato a lungo sulla felicità e sulla possibilità dell’uomo di essere felice. In particolare osserva: «I mali che fuggi sono in te», E poiché è conscio dell’impermanenza delle cose arriva a questa conclusione: «Non esiste alcun bene duraturo all’infuori di quello che l’animo trova dentro di sé.».
Dove si trova quindi la possibilità della stabilità dell’animo e quindi, della felicità? A questa domanda Seneca risponde che la felicità sta in ciò che è consono all’uomo cioè alla sua aspirazione al bene vale a dire la virtù ovvero l’abitudine al bene e quindi: « Non si compie un’azione virtuosa in vista di un premio, il premio sta nell’averla compiuta.». Solo così si acquista la libertà che è «l’affrancamento dalle passioni». Così anche altri pensatori antichi, come per esempio Cicerone, hanno affermato a riguardo concetti molto simili. Se ci rivolgiamo ai grandi filosofi greci come Socrate e Platone essi considerano la felicità come frutto della ‘temperanza’ e come libertà dai desideri e dagli impulsi.

Nei Vangeli, poi, Cristo è piuttosto deciso sul fatto di dover rinunciare ai propri attaccamenti se si vuole ottenere un vero progresso spirituale – «la vita» – e consiglia senza mezzi termini: «Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco. »
Dove, come si sa, il fuoco, più che essere un concetto esterno all’uomo è qualcosa che brucia dentro di lui «dannandolo», poiché l’uomo ha alla fine quello che ha cercato e rincorso per tutta la vita, quindi si deve pensare bene a quello che si cerca.
E ancora racconta il Vangelo di Matteo:
«Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: ‘Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti’. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: ‘Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?’. Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: ‘Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre’.»
Si potrebbe continuare a lungo in questa rassegna da Cartesio a Spinoza, da Pascal a Schopenhauer, sulla ricerca della felicità, il perseguimento della virtù e il controllo delle passioni, poiché l’attaccamento eccessivo a ciò che è fuggevole ed impermanente porta fatalmente all’infelicità.
Però mi fermo qui. E permettetemi di raccontarvi una storia… (ma le citazioni dagli antichi testi sono autentiche!)

Un giorno un anziano disse ad un suo giovane discepolo:
«Molti dicono: ‘Cavalchiamo la tigre e dominiamola.’ Ma io ti dico coloro che così faranno presto dovranno fare i conti con i denti della tigre che li divorerà. Può l’uomo ammansire la tigre? Forse con la frusta in mano può farlo e con sbarre di ferro, ma, anche se può, quanti altri dovranno morire perché uno solo riesca? E ha poi così senso sfidarla volontariamente, non è forse un atto di inutile superbia? Quanti divorati dalla tigre saranno in futuro come lei?
E altri dicono ‘Cavalchiamo l’onda’, seguendo, a loro dire, il sentiero di Diamante, ma il Beato stesso disse:
‘Colui che ha una visione errata, le cui trentasei correnti
scorrono impetuose verso il piacere,
i suoi pensieri fondati sull’attaccamento come onde
lo trascinano via’
Shakyamuni affermò e questo ricordalo, se vuoi andare ‘al di là’ del fiume:
‘Avendo ucciso madre, padre e due re di casta guerriera,
avendo distrutto un regno con i suoi sudditi,
il brahmano se ne va senza tremare.
Avendo ucciso madre, padre e due re di casta sacerdotale,
e una tigre come quinto,
il brahmano se ne va senza tremare’
cioè sconfiggendo gli attaccamenti della nascita, del potere, del piacere e del dubbio, allora si fermerà la rinascita.
E disse ancora Shakyamuni:
‘Di ciò che potrebbe fare un odiatore ad un odiatore, un nemico ad un nemico, molto più male fa [all’uomo stesso] il [suo] pensiero falsamente diretto.’
Perché l’uomo che non saprà custodire se stesso sarà il proprio peggiore nemico…
Non credere che si possa accorciare la Via né che basti dire di essere arrivato perché la meta del tuo viaggio compaia davanti a te, ma sii umile. Perciò io ti dico: segui la via certa delle Quattro Nobili Verità e dell’Ottuplice Sentiero e non cercare nelle illusioni risposte che non ti daranno, ma più ti avvolgeranno nelle loro catene. Non fare come colui che avendo tagliato il sottobosco si inoltra di nuovo nella foresta… Medita in cuor tuo sulla radice del dolore e se così farai ti convincerai che è necessario tagliarla così come esorta il Beato. Ma se di questo non ti convincerai da solo non sarà un’imposizione che potrà cambiare la tua mente. E non ti avvolgere nell’ignoranza, ma medita sulle testimonianze e le parole immortali del Beato: in esse è racchiuso il Dharma, l’insegnamento e la natura profonda della realtà. Così apprenderai che non per te da solo puoi andare al di là del fiume, ma per tutti gli esseri senzienti perché solo apparentemente siamo divisi, ma finché non proverai gioia nella pratica del Dharma, non sarai arrivato davvero a comprenderla…
C’è una storia nel Sutra del Loto che voglio raccontarti:
«Supponiamo, figli di nobile schiatta, che vi sia un certo medico, colto, saggio, intelligente, abile nell’eliminare ogni malanno. Costui ha molti figli, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta o cento. Ma un giorno il medico va all’estero e tutti i suoi figli si ammalano per un’intossicazione o avvelenamento e in seguito a ciò sono tormentati da sensazioni dolorose e si rotolano per terra dal bruciore. Il medico, loro padre, ritorna dal viaggio mentre i suoi figli sono tormentati da quelle sensa­zioni dolorose in seguito all’intossicazione o avvelenamento. Alcuni di loro hanno idee sbagliate, altri idee giuste, ma tutti soffrono dello stesso dolore. Vedendo il padre lo salutano con gioia e gli dicono: ‘È un bene, padre, che tu sia tornato sano e salvo perché devi liberarci da questa calamità, intossicazione o avvelenamento che sia. Caro padre, facci vivere’. Allora il medico, nel vedere i suoi figli in preda al dolore e tormentati dalle sensa­zioni dolorose mentre si rotolano per terra dal bruciore, prepara un potente rimedio dal colore, odore, sapore appropriato, lo pesta col mortaio, e lo dà da bere ai suoi figli con queste parole: ‘Bevete, figli, questo potente ri­medio dal colore, odore, sapore appropriato. Bevendolo sarete subito liberi, l’intossicazione o l’avvelenamento saranno eliminati e vi sentirete bene e in salute’. I figli del medico dalle idee giuste, vedendo il colore, sentendo l’odore e assaggiando il sapore del rimedio, lo prendono in fretta e si sentono subito sollevati. Ma i figli del medico dalle idee sbagliate, dando il benvenuto al padre, dicono: ‘È un bene, padre, che tu sia tornato in salute e in buona forma perché devi curarci’. Ma costoro, pur par­lando in tal modo, non bevono il rimedio offerto. Per quale ragione? Di idee sbagliate, a costoro non piace il colore del rimedio, non piace il suo odore e, il suo sapore. Allora il medico riflette: ‘Questi figli hanno delle idee sbagliate per via dell’intossicazione o avvelenamento e non bevono il potente rimedio né lo accettano. Pertanto io dovrò indurli a bere questo rimedio con un abile mezzo’. Così il medico desiderando che i figli bevano il rimedio, con un abile mezzo dice loro: ‘Figli d i nobile schiatta, io sono vecchio, avanti negli anni, sono arrivato al termine della mia vita. Ma non dispiacetevene, figli, non sentitevi depressi. Ho preparato questo potente rimedio, se lo desiderate potete berlo’. Ammoniti i figli con questo abile mezzo, egli parte per un altro paese e fa annunciare ai figli esausti la sua morte. In quel momento essi si affliggono e lo piangono moltissimo. ‘Invero costui che èstato nostro padre, guida, genitore amorevole, è morto. Oggi noi siamo rimasti senza protettore.’ Consapevoli di essere senza una protezione e senza un rifugio, si sentono costantemente afflitti dal dolore, ma proprio per questo continuo dolore e afflizione le loro idee sbagliate vengono soppiantate da quelle giuste. Si rendono così conto che il colore, l’odore e il sapore del rimedio è quello appropriato e pertanto prendono subito il rimedio e vengono liberati dall’infermità. Allora il medico, venuto a sapere che i suoi figli sono liberi dal dolore, ritorna.»

Dunque procura di essere tra coloro che hanno pensieri giusti per non perdere inutilmente il tempo, non è necessario che il Buddha scompaia perché tu debba desiderare di cercarlo e vederlo dentro di te…



SIA LODE, LODE ALL’INVIOLATO

26 12 2008

9 Novembre 2008

"Non capisco perché, in ambito culturale, la condizione di ‘maudit’, maledetto, è considerata scontata, normale e universalmente accettata. Se viceversa un artista concentra la sua attenzione sull’esatto opposto, cioè il misticismo, lo studio dei valori dell’esistenza, il problema del divino, viene invece considerato un eccentrico o un originale e a volte perfino un matto".  (Franco Battiato)

http://www.youtube.com/watch?v=pYXEBjlHAws

Ne abbiamo attraversate di tempeste
e quante prove antiche e dure
ed un aiuto chiaro da un’invisibile carezza
di un custode.

Degna é la vita di colui che é sveglio
ma ancor di più di chi diventa saggio
e alla Sua gioia poi si ricongiunge
sia Lode, Lode all’Inviolato.

E quanti personaggi inutili ho indossato
io e la mia persona quanti ne ha subiti
arido é l’inferno
sterile la sua via.

Quanti miracoli, disegni e ispirazioni…
E poi la sofferenza che ti rende cieco
nelle cadute c’é il perché della Sua Assenza
le nuvole non possono annientare il Sole
e lo sapeva bene Paganini
che il diavolo é mancino e subdolo
e suona il violino.



MEDITANDO SULLA VITA, LA MORTE, LA FELICITA’

26 12 2008
2 Novembre 2008
Dedicato ad A. e alla sua relazione sulla felicità inviatami in questi giorni
 
 
«ch’i’ non averei credutoche morte tantan’avesse disfatta. » (Dante, Inf. III)
 
Oggi è un giorno per meditare, e non è mai un giorno facile, perché si entra in contatto più da vicino con la morte. Non solo una morte astratta, ma spesso con la perdita molto concreta delle persone a noi care. Dobbiamo fare i conti con il loro ricordo e con il nostro stesso destino. Ci sono persone che semplicemente non vanno al cimitero, scansano il problema, fanno finta che non esista e continuano a vivere.
Io sono sempre stata dell’idea che non ci sia nulla di umano che possa non riguardarmi e men che meno il nostro destino finale. Sono sempre stata convinta che si debba studiare e capire quello che siamo, quali siano i nostri limiti e se ci sia un modo per superarli, per potersi rapportare anche con la morte, perché la risposta che diamo a questo termine ultimo, di fatto, determina fortemente la nostra esistenza adesso.
Per questo nella mia vita ho sempre cercato di studiare molto, perché la luce della nostra ragione spesso ha già in sé parecchie risposte, e non solo la razionalità, ma anche la coscienza degli uomini del passato ci può aiutare a capire quello che siamo veramente. Ciò che sicuramente, a mio parere, non si deve fare è arrivare alla fine della vita inconsapevoli, senza aver pensato davvero al senso ultimo di questo nascere e morire di noi e di ogni cosa.
Per questa ragione è nata anche la mia passione per i viaggi, per cercare di capire gli esseri umani anche di altri luoghi e scoprire punti di vista differenti. E poi l’arte e la cultura dell’uomo ci parlano costantemente dei suoi sogni, delle sue più alte aspirazioni e di tutto ciò che sembra stridere fortemente con il destino finale dell’annullamento.
 
LA REALTA’ DEL DOLORE
Sicuramente, se si valuta la vita umana nella sua apparenza materialistica si è certi di come andrà a finire: l’uomo nasce con fatica e dolore, il primo vagito è già un pianto e via via che gli anni passano è sottoposto alla malattia e alla vecchiaia e infine alla morte. E forse la morte non è l’aspetto peggiore, considerando che il maggior dolore si prova nella malattia e nella vecchiaia. Ho potuto constatare personalmente entrambi gli aspetti sia quello della malattia (è sufficiente stare una ventina di giorni in un ospedale per capire quanto basta) sia la vecchiaia. Per me quest’ultima si identifica con l’immagine di mia nonna paterna, morta a 99 anni semplicemente di ‘vecchiaia’ appunto, per la naturale decadenza organica: quello che tutti forse vorrebbero augurarsi e in genere si augurano. Nonostante questo, vederla ridotta impotente in un letto, rattrappita dagli anni e con la mente lucidissima, implorare il dono della morte, eppure continuare a combattere per la vita come aveva sempre fatto e fino all’ultimo, mi ha fatto molto riflettere. Questo è il nostro destino materiale, se ci va bene.
 
LA NECESSITA’ DELLA COMPASSIONE
Però sicuramente, gli uomini potrebbero fare qualcosa per se stessi e per gli altri, proprio perché se davvero si prende atto che questo è il limite della natura umana, allora si comprende anche come sia del tutto inutile e dannoso assumere atteggiamenti trionfalistici sull’essere umano e sulle sue ‘magnifiche sorti e progressive’.
Il nostro destino è quello invece, di dover abbandonare tutto a poco a poco ed, inoltre, tutto ci abbandonerà, tutto ciò che c’è in questo mondo è fatto per perire con noi o prima di noi.
Questo dovrebbe farci nascere un forte sentimento di compassione, perché tutti gli esseri umani sono accomunati dallo stesso destino di distacco progressivo dalla vita e da tutto ciò che essa rappresenta, compreso tutto ciò che amiamo e che ci dà piacere.
La pietà potrebbe alleviare le nostre e le altrui sofferenze, perché molti dei mali derivano dal nostro agire nei confronti di noi stessi e degli altri.
E d’altra parte, molte nostre azioni nascono dal desiderio di provare piacere e di possedere, illudendoci che questo possa creare in noi la felicità. Tutte le cose che abbiamo accumulato, invece, se ne andranno, e i piaceri durano solo un attimo e significano ben poco.
Bisogna meditare sul destino dell’essere umano perché non ci colga impreparati. Solo condividere e cercare di alleviare il dolore può avere un senso nella vita degli uomini. Non tentare di appropriarsi di ogni cosa, creandosi l’illusione di una falsa onnipotenza legata alle cose o alle persone che si possiedono. Il nostro mondo non è affatto compassionevole perché si basa sull’illusione che ammassando beni essi possano costituire una diga contro la realtà del destino umano. Ma ciò è del tutto ingannevole.
 
IL DESIDERIO DELL’ETERNO
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite? (Foscolo, dei Sepolcri)
 
Quello che invece l’uomo vorrebbe e non ha è ben altro. Basta conoscere il pensiero dell’uomo di ogni epoca, guardare le sue opere per capire che l’essere umano anela ad una felicità eterna e al di fuori dello spazio e del tempo. Di questo ci parla la voce degli uomini che dal passato ci raggiunge anche oggi. La perfezione dell’essere, l’eternità.
Io personalmente ritengo che, considerando tutto ciò che gli uomini hanno creato e sognato la posizione più razionale e sottolineo razionale, sia quella di credere che ci sia un oltre, un infinito che possa colmare il desiderio che la nostra natura continuamente ci ripropone, anche nella forma del piacere, ma che in realtà richiama sempre il sogno di un soddisfacimento infinito, sebbene rivolto ad un oggetto inadeguato.
Del resto anche un intellettuale illuminista come Diderot (e quindi non certo sospettabile di essere un fautore di una qualche religione) affermò: ‘Esiste solo una passione, la passioneper la felicità‘…..
Blaise Pascal parlava di una ‘scommessa’, di un salto della fede che si deve compiere per uscire dall’empasse della condanna della natura. Per conto mio ritengo che tutto ci parli dell’eternità e soprattutto che questa sia connaturata con la nostra coscienza. Forse, riprendendo l’affermazione di Diderot, siamo fatti solo di quel desiderio, alla fine. Se solo lo sapessimo riconoscere con la mente chiara, allora potremmo anche capire che non si può conseguire senza un ‘tu’ a cui rivolgerci. Ci vuole una condivisione con gli altri se si vuole arrivare, ci vuole la compassione.
 
LA RICERCA DI UN MAESTRO
Ma come fare per perseguirla? Dov’è la strada?
Sono necessari, come in tutte le altre cose lo studio e l’educazione. Tutti capiscono che si deve andare a scuola per imparare a leggere e scrivere, ma spesso non si ritiene che si debba imparare a capire la vita.
Non siamo soli in questo viaggio, c’è molta antica saggezza a cui possiamo attingere. Soprattutto ci sono esempi di vita importanti. In particolare di coloro che hanno esercitato la perfetta compassione, e che quindi hanno già percorso la strada che porta verso la felicità, il luogo verso il quale si è chiamati.
Da questo punto di vista bisogna cercare un Maestro, qualcuno che abbia già percorso la strada e imparare da lui.
Personalmente ritengo che colui che più compiutamente ha incarnato questo esempio sia Cristo, soprattutto per quanto riguarda il nostro mondo occidentale. Di recente ho letto diversi volumi sul Buddhismo e devo dire che mi hanno dato la possibilità di approfondire molto la mia fede e la mia pratica, ma ritengo che l’insegnamento di Cristo sia ancora più compiuto e perfetto.
Considero, comunque, con il massimo rispetto ed ammirazione chi attraverso un’altra religione intraprende la ricerca delle Verità ultime e credo che, se paradossalmente, non esistesse il cristianesimo probabilmente sarei buddhista; anzi, devo dire che proprio con l’aiuto degli insegnamenti del Buddha alcune verità comuni al cristianesimo sono risultate per me più evidenti; però ritengo che la rivelazione che siamo stati amati da Dio dal primo istante della nostra esistenza e fino alla Sua stessa morte non abbia eguali in alcuna altra fede.
Anzitutto perché Cristo ci parla dell’amore di Dio attraverso il suo esempio di dedizione totale a tutta l’umanità, ci mostra come il Padre non sia un’entità staccata dall’uomo, ma ci abbia voluto a sua immagine, al punto tale da generare Lui stesso, il Figlio, Figlio che è anche il Verbo, cioè la Parola attraverso cui tutto ciò che esiste è stato creato.
 
Α Ω
Questa è la grande scoperta nello studio dei testi sacri e delle meditazioni dei teologi: noi siamo fatti a Sua immagine ed è tale immagine che portiamo dentro di noi: noi siamo il tempio di essa, ma dobbiamo assumerne consapevolezza, dobbiamo vivere perseguendola, amandola e rispettandola, meditando sugli insegnamenti di Cristo perché essa diventi sempre più concreta e visibile.
In definitiva, vivere dell’imitazione di Cristo stesso. Solo perseguendo quell’immagine divina dentro di noi potremo conseguire la felicità.
‘Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto’diceva San Paolo; in realtà, credo, noi stessi gemiamo nel partorire la nostra vera natura, perché dobbiamo riconoscerla e perseguirla attraverso la pratica cioè l’azione, la meditazione e la preghiera, e non è sempre facile. Solo se faremo ‘partorire’ la realtà, però, progrediremo nel cammino anche personale. Una collaborazione alla creazione divina che nel Vangelo viene definita con l’espressione ‘lavorare nella vigna del Signore’.
Il nostro essere nel mondo è un viaggio, ‘un pellegrinaggio’ dicevano gli antichi Padri della Chiesa, perché attraverso questa prova noi possiamo imparare ciò che non passa con il tempo e ciò che invece è destinato a finire. Perché possiamo imparare a vedere ciò che è impermanente come il riflesso e la testimonianza di ciò che è eterno e così possiamo amarlo, senza attaccamento.
Siamo qui per tornare da dove siamo venuti, ma con la consapevolezza nuova che è quanto vogliamo veramente.
Tornare alla nostra origine, tornare alla nostra più compiuta Immagine.
Questa è la vera libertà: compiere le azioni per cui siamo stati fatti, cioè volte alla ricerca della felicità, intesa come vero totale appagamento della coscienza. Le azioni che corrispondono alla nostra vera natura, cioè quelle che ci rendono consapevoli di essa, ci faranno tornare alla nostra Origine perché ci faranno appartenere sempre di più ad essa.
‘Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come un bronzo cherisuona o un cembalo che tintinna ‘ scrisse San Paolo, perché la Carità è Dio stesso.
Per questo nella vita presente imitando Cristo e quindi praticando tali azioni, avremo un anticipo della beatitudine, quello che Cristo chiama ‘il centuplo quaggiù’ e, infine, la vita eterna dopo la morte, cioè la compiuta visione di Dio.
Il dolore e la morte sono dunque una prova, ma non sono la parola finale sull’essere umano. Sono un mezzo per vedere con mente più chiara la verità dell’esistenza, un crogiuolo, come lo definisce l’Antico Testamento, dove l’oro si raffina. E se avremo paura ci sarà un Tu, che ha condiviso in tutto le nostre sofferenze umane al quale poter dire: ‘Signore, ho paura…’.
gesù ade2


PERCHE’ NON V’ERA NOTTE ALLORA…

26 12 2008

11 Ottobre 2008

Torno a cantare il bene e gli splendori
dei sempre più lontani tempi d’oro
quando noi vivevamo in attenzione
perché non c’era posto per il sonno
perché non v’era notte allora.
Beati nel dominio della preesistenza
fedeli al regno che era nei Cieli
prima della caduta sulla Terra
prima della rivolta nel dolore.
Tu volavi lieve
sui giardini della preeternità
poi ti allungavi
sopra i gelsomini.
Ho visto dei cavalli in mezzo all’erba
seduti come lo sono spesso i cani
e senza tregua vedo buio intorno
voglio di nuovo gioia nel mio cuore
un tempo in alto e pieno di allegria.

 http://www.youtube.com/watch?v=EF3Cs5lq6HU



PERCHE’ NON V’ERA NOTTE ALLORA…

26 12 2008

11 Ottobre 2008

Torno a cantare il bene e gli splendori
dei sempre più lontani tempi d’oro
quando noi vivevamo in attenzione
perché non c’era posto per il sonno
perché non v’era notte allora.
Beati nel dominio della preesistenza
fedeli al regno che era nei Cieli
prima della caduta sulla Terra
prima della rivolta nel dolore.
Tu volavi lieve
sui giardini della preeternità
poi ti allungavi
sopra i gelsomini.
Ho visto dei cavalli in mezzo all’erba
seduti come lo sono spesso i cani
e senza tregua vedo buio intorno
voglio di nuovo gioia nel mio cuore
un tempo in alto e pieno di allegria.

 http://www.youtube.com/watch?v=EF3Cs5lq6HU