«Sono nata il 21 a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta»

2 11 2009

Si è spenta a Milano, all’età di 78 anni, Alda Merini una delle voci più ispirate ed autentiche della nostra poesia contemporanea

 

 

 

TERRA SANTA

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello di Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.

 

Alda se n’è andata, forse dove aveva sempre voluto: diceva, infatti, di non aver paura della morte, perché in essa era contenuto il senso ultimo dell’esistenza, come «una riviera musicale, il seno curvo della donna amata». Nata il 21 marzo 1931, il primo giorno di primavera, come spesso amava sottolineare, non ebbe certo una vita facile, segnata dall’incomprensione della scuola e della famiglia e da frequenti internamenti in ospedale psichiatrico dei quali il più lungo tra il 1961 e il ’72. Nonostante tutto, con il carattere coraggioso e appassionato che sempre la contraddistinse, la Merini visse intensamente dal punto di vista sentimentale, avendo anche quattro figli, che però spesso le venivano sottratti a causa delle sue condizioni di salute. La sua attività poetica fu decisamente precoce: infatti, cominciò a scrivere a 16 anni e venne in contatto con gli ambienti letterari del dopoguerra, intrattenendo rapporti di collaborazione e amicizia, tra gli altri, con Salvatore Quasimodo.

 

 

Tra le sue opere più importanti ricordiamo «La Terra Santa» (1984), dedicato alla sua esperienza in manicomio e «L’altra verità. Diario di una diversa» (1985). Nel ’91 scrisse poi «Le parole di Alda Merini» per giungere agli «Aforismi» e al volume «Reato di vita, autobiografia e poesia» del 1994. Tra le ultime opere ricordiamo «La clinica dell’abbandono» pubblicata nel 2004. Le sue poesie hanno ispirato anche diversi musicisti e cantanti come Giovanni Nuti, Roberto Vecchioni, Milva. Negli ultimi anni il suo valore poetico è stato riconosciuto anche attraverso numerosi premi e onorificenze, come il Librex-Guggenheim "Eugenio Montale" per la Poesia che nel ’92 l’ha consacrata tra i grandi letterati italiani, la nomina a Commendatore della Repubblica nel 2002 e la laurea honoris causa in Scienze della Formazione all’Università di Messina (2007).

Forse la poesia confina sempre con la follia. Così è stato per il grande poeta tedesco Holderlin, che, per la cocente delusione dell’unico amore della sua vita, si fece rinchiudere volontariamente in una torre e ne uscì solo dopo la morte. Il nostro geniale Dino Campana non resistette agli incubi della sua mente e finì i suoi giorni in manicomio; né sapeva sopportare l’esistenza Torquato Tasso, il quale – a detta dei suoi contemporanei – intratteneva lunghi dialoghi con un suo «genio familiare» che soltanto lui vedeva. Il latino Lucrezio morì suicida perché – si diceva – impazzito dopo aver bevuto un filtro d’amore. In realtà, forse, l’unico vero filtro amoroso del poeta è la poesia stessa, perché «i poeti non si redimono, vanno lasciati volare tra gli alberi come usignoli pronti a morire» scrisse Alda Merini. Così è stato certamente per lei che alla vita ha dato tutta se stessa, senza remore, senza riserve, in un’apertura «nuda» che effettivamente soltanto un puro folle alla Parsifal avrebbe potuto concepire, perché «l’anima e soprattutto la follia vanno oltre le cose reali, immaginano una verità vera non contraffatta dal caso». Come l’antico mistico cavaliere del Graal anche lei fu costretta a passare lunghi anni nella «terra desolata», mentre il genio poetico le scavava dentro le parole che neppure il suo stesso io conosceva. «Oh bambina che sei dentro di me senza una casa. Bambina che vedi crescere una donna senza un amore», scrisse di se stessa. La sua terra desolata fu il manicomio, perché non c’è nulla di più dirompente della verità al di là delle apparenze, al di là della vita convenzionale. 

 

 

Alda Merini fu una vittima delle leggi che rifiutavano qualunque tipo di diversità psichica, e, sebbene il suo genio poetico fosse stato precocemente riconosciuto, ciò non valse a salvarla dall’orrore. Eppure quelle sofferenze furono per lei il «vestito incandescente» che creò la parola poetica, quello che cambia la percezione della realtà, per giungere alla «limpida meraviglia di un delirante fermento», come scrisse un poeta a lei molto vicino, Giuseppe Ungaretti. Anche la Merini, infatti, concepiva la sua poesia come un atto di illuminazione, qualcosa che sorge dalle profondità dell’essere proprio nel momento in cui si crede di toccare il fondo dell’umana sofferenza e disperazione. «Il poeta non è mai solo – amava dire – è sempre accompagnato dalla meraviglia del suo pensiero» Uno stupore che le permetteva di trasformare quella realtà di miseria e di dolore in un itinerario verso la profonda comprensione del mondo e dell’uomo. Un cammino mistico e dionisiaco insieme in cui la poetessa era quasi incosciente e le parole sgorgavano dalle profondità dello spirito in un impulso nativo, in un attimo di vita iniziale, venuto da chissà dove, come una divina Sibilla. E proprio alla divinità spesso si rivolgevano le sue poesie, al profondo senso del divino che la animava e alla sua consapevolezza intuitiva di esserne quasi la voce, per quel suo dono speciale di cui ignorava l’origine. Il suo Cristo era quello degli ultimi, degli emarginati; la sua fede, vissuta nella carne ancor prima che nella coscienza, con l’adesione e l’abbandono di chi vede nella figura del crocifisso l’immagine della condivisione delle sue stesse sofferenze e il fulcro, il senso profondo della realtà e del suo svelarsi.  

 

 

Alda Merini era sempre innamorata, e non poteva essere che così, abbandonata totalmente al suo spirito appassionato che la spingeva dove gli altri non avevano il coraggio di giungere, portatrice di quell’amore che confinava con la follia, ma metteva in contatto profondo con se stessi e con la realtà. La follia – diceva Alda – era un modo, l’unico forse, di vedere chiaramente. Era una forza dirompente e rivoluzionaria. «Le più belle poesie Si scrivono sopra le pietre Coi ginocchi piagati», prostrati a terra, eppure innamorati di quello strazio meraviglioso, di un «tu» che forse superava anche l’interlocutore di quel momento e l’uomo a cui la poetessa si riferiva. Il «tu» svelato dalla percezione stessa del mondo, nella visione di una superiore bellezza vagheggiata come la «cara beltà» del Leopardi.

 

Per Alda Merini la poesia fu una discesa agli inferi per risorgere dopo aver incontrato i propri demoni e aver strappato loro, incurante delle ferite, l’illuminazione delle verità dell’anima. Così oggi che non è più nelle apparenze, ma solo nella grande testimonianza delle sue parole, potrà finalmente abitare solo con gli angeli.

 



LA STRAORDINARIA MODERNITA’ DELL’ARIOSTO – Note a margine dell’Orlando Furioso

19 01 2009
Presunto ritratto di Ludovico Ariosto di Tiziano
Visto che siamo in argomento con il Don Chisciotte, resto in ambito cavalleresco, perché anche di recente la lettura dell’Orlando Furioso mi ha suggerito diverse considerazioni sulla sua attualità.
Mi ha sempre colpito la capacità del poeta ferrarese di osservare il mondo con il disincanto, il distacco e la superiore saggezza degni di un filosofo antico. I suoi giudizi sull’uomo e sulla società non sono mai scontati e, soprattutto, dimostrano una notevole tolleranza; un fatto veramente sorprendente, considerando che ci troviamo agli inizi del Cinquecento e che talvolta molti dei suoi punti di vista appaiono progressisti ancora oggi.
Tutto ciò ci spinge a riflettere: non saremmo noi uomini del XXI secolo ad essere tornati indietro a grandi passi?

Ruggiero salva Angelca di Jean_Auguste_Dominique_Ingres
LA TOLLERANZA PER IL DIVERSO
Innanzitutto, si nota la tolleranza e la stima di cui nell’Orlando Furioso godono parecchi i musulmani i quali, lungi dall’essere considerati dei nemici in quanto tali, ricoprono ruoli di grande rilievo nell’opera al punto che alla famiglia estense viene attribuito come antenato Ruggiero che è appunto di religione islamica(e quindi al servizio di Agramante) . E’ vero che nel poema il valoroso cavaliere risulta di origine troiana (con un riferimento quindi alla materia virgiliana) e che si fa battezzare per sposare Bradamante, ma la vicenda potrebbe essere anche letta come un elemento di celebrazione della corte estense, dove convivono Oriente ed Occidente, la nostra cultura con le altre.
Inoltre, un atto di valore tra i più patetici e disinteressati del poema è compiuto da due «mori» – come li definisce il poeta – cioè Cloridano e Medoro. L’episodio, pur basandosi sul IX libro dell’Eneide, presenta delle significative varianti, soprattutto per il fatto che l’uscita dal campo non è dovuta al desiderio di raggiungere Enea né tantomeno di uccidere i nemici in un’imboscata come nel caso di Eurialo e Niso e di portare via il bottino, ma Medoro desidera, invece, dare adeguata sepoltura al proprio re morto in battaglia e rimasto insepolto fuori dal campo
Un atto di valore e di virgiliana pietas che non viene attribuito ai cristiani, bensì ai pagani.
E’ interessante notare anche che poiché il tono dell’opera è quasi sempre leggero, quando l’Ariosto inserisce degli elementi patetici o tragici essi risultano ancora più forti e significativi, colmi di quella malinconia rassegnata e potente, di compianto, che solo i grandi poeti sanno esprimere..
 
Il palazzo di Atlante
L’IMMAGINE DEL NEMICO
Spesso quando si tratta di descrivere un nemico la saggezza dell’Ariosto ci sorprende ancora, smentendo le apparenze: anche l’avversario, visto da vicino, spesso è molto diverso da come potremmo immaginarcelo. Per esempio, nel caso di Atlante: durante il duello con Bradamante la donna guerriera, sorella di Rinaldo, si aspetta, alla fine, di trovare un essere forte, fiero e sprezzante, invece compare un vecchio disperato preoccupato di perdere l’unico bene rimasto nella sua esistenza. Perciò anche il nemico è ben diverso da come lo si dipinge e spesso le sue ragioni sono degne di pietà e rispetto. Tra l’altro, anche i cristiani non sono sempre figure positive o con comportamenti degni della loro fede, come, per esempio, colui che sferra il colpo di lancia contro il povero Medoro. Per non parlare dello stesso Orlando con la sua follia, o, ancora, all’inizio del poema, della puerile diatriba tra Rinaldo e Orlando per il possesso di Angelica, quasi fosse una merce.
 
Bradamante
IL VELATO PACIFISMO
Nel poema si respira un’atmosfera di velato «pacifismo», anche nell’ambientazione: buona parte si svolge in ambito agreste a contatto con la natura. Nella foresta l’uomo può ritornare semplicemente un essere naturale, dimenticando la guerra e le contese, sentirsi semplicemente un essere umano. E’ singolare che questo coincida anche con il pensiero degli Estensi a quel tempo, visto che con l’Addizione Erculea avevano voluto inglobare all’interno delle mura cittadine una cospicua parte della campagna circostante costituendo una città davvero originale dotata ancora oggi di un enorme polmone verde. Vengono in mente, poi, i passatempi cavallereschi di palazzo Schifanoia, sempre a Ferrara, e anche la moda dell’Arcadia che in più di un’occasione sembra di riconoscere, soprattutto quando Angelica si traveste da pastorella, e così abbigliata incontrerà Medoro. Inoltre, il pensiero dell’Ariosto schierato apertamente contro la violenza, è testimoniato anche dall’episodio, sempre nell’Orlando Furioso, dell’archibugio, considerato un’arma infernale, che viene gettato nelle profondità del mare e il poeta commenta: “Mai più si vanti il rio per te valer”.
 
Angelica e Medoro di Sebastiano Ricci
LA «VENDETTA» DI AMORE SU ANGELICA
Inoltre, sempre a proposito dei musulmani, proprio di uno di questi si innamora la donna più ambita, Angelica, cioè di quell’unico uomo sulla terra allora conosciuta che non sa chi lei sia veramente.
L’oggetto del desiderio di tutti sposerà un soldato semplice e pagano. Un’ironia evidente sulla più bella donna del mondo, ma anche il prevalere della convinzione (la quale ovviamente, porta acqua al mulino dell’Ariosto) che non bastino mille qualità e fortune per essere amati, ma a volte sia più importante un cuore generoso.
Del resto la bella principessa del Catai viene vissuta da tutti più come un oggetto del desiderio da possedere che come una persona da amare e per questo sfugge sempre, semplicemente perché l’Angelica che tutti sognano è una donna che non esiste. Quando si sente pressata diventa opportunista, bugiarda e indecifrabile, viscida come un’anguilla, una nuova Elena, insomma. Lo scrittore ferrarese dimostra, perciò, una notevole conoscenza dell’animo femminile che ben poco si lascia addomesticare anche se fa mostra di essere sottomesso.
 
Pazzia di Orlando di Arnold Böcklin
LA FOLLIA DEL MIGLIORE DEGLI UOMINI
Patetica appare, poi, la figura di Orlando, il quale, convinto com’è di essere il migliore, non prende neppure in considerazione l’idea di una sconfitta e quando apprende dell’amore di Angelica per Medoro, prova «il dolor che tutti gli altri passa», non lo accetta, semplicemente non può tollerare che qualcuno possa non essere in suo potere, tantomeno l’amata. L’Ariosto punisce la presunzione di chi, baciato dai doni della fortuna, credendosi il migliore, vuole sempre primeggiare: una sottile vendetta da parte del poeta, per il quale fu così difficile far riconoscere il proprio valore nelle corti in cui si trovò ad operare. E il poeta punisce anche Angelica perché colei che aveva tutti ai suoi piedi, Rinaldo compreso, viene colpita da Amore per mezzo di questo giovane di oscuri natali.
 
Zerbino ferito in duello muore tra le braccia di Isabella di F. Bartolozzi
 
L’AMORE PIAGA E TRAGEDIA
E che dire dell’amore? Le più acute analisi su questo sentimento spesso evanescente e allo stesso tempo fortissimo, le dobbiamo proprio all’Ariosto.
Sia il castello che il palazzo di Atlante sono creati basandosi sull’inganno amoroso e il secondo, soprattutto, è particolarmente simbolico, dal momento che un’unica ombra viene vista da ognuno con le sembianze della persona amata, pur non essendolo affatto. Tutti rincorrono qualcuno che rincorre qualcun altro e così via e quasi mai si cerca la stessa persona, ma in un girotondo senza fine ognuno è sempre innamorato di chi fugge.
Il gioco dell’illusione umana è qui portato alle estreme conseguenze.
E’ lo stesso per le fontane dell’odio e dell’amore, le quali si alternano in modo tale che i due amanti non siano mai innamorati l’uno dell’altra nello stesso momento.
Struggenti sono alcune storie d’amore come quella di Isabella e Zerbino, tanto da ricordare alcune novelle del Decamerone, per la tragicità degli eventi. Zerbino è ucciso da Matricardo e spira tra le braccia di Isabella, la quale, poi, a sua volta sarà uccisa da Rodomonte, uno dei «cattivi» della storia…
Anche la vicenda di Brandimarte ferito mortalmente da Gradasso e di Fiordiligi che si fa seppellire viva con lui, sembra uscita dalla quarta giornata del Decamerone, per la forza della passione che porta alla rovina.
Un altro tipo di amore, quello tra un padre e un figlio, sia pure adottivo, risulta così struggente che il mago Atlante muore di crepacuore per la perdita di Ruggiero.
 
Astolfo sulla Luna alla ricerca del senno di Orlando di G. Doré
LA LUNA DELLE ILLUSIONI
E veniamo alla luna, tema sempre caro all’Ariosto e che qui torna con maggiore forza: se già nelle Satire era il simbolo dell’illusione, nel Furioso è il luogo dove finiscono tutte le umane vanità e passioni, le adulazioni, le lusinghe femminili, i favori dei potenti.
L’unica cosa che gli uomini dovrebbero tenere con loro e che invece viene dimenticata lì è la saggezza, la quale finisce sulla luna perché labile, come tutte le cose che gli uomini facilmente perdono dopo averle acquistate. Anche il senno va insieme ai pensieri e agli acquisti fallaci degli uomini, perché è malsicuro e negletto: gli uomini non si curano affatto di dove sia né di perderlo per correre dietro a qualunque sciocchezza.
Anche Astolfo, dopo aver preso l’ampolla di Orlando e anche la propria, la perderà nuovamente nei Cinque canti che l’Ariosto scriverà in seguito (oggi inseriti in appendice al poema) e naturalmente sempre per ragioni di carattere amoroso.
In effetti, questo riferimento alla follia d’amore è ben presente nell’opera del poeta ferrarese se pensiamo che anche fin dall’inizio al posto della Musa egli evoca la sua donna dicendo che scriverà se la passione per lei, che l’ha fatto quasi uscire di senno, glielo consentirà.
Si noti, tra l’altro, che l’immagine dell’ampolla contenente il senno, potrebbe essere intesa come una velata critica agli alchimisti e alla loro pretesa di giungere ad una superiore conoscenza del mondo attraverso l’unione degli elementi lunari e solari per ottenere la pietra filosofale. Un’idea che non coinvolgeva solo la pratica della reazione degli elementi tra loro, ma aveva la pretesa di basarsi su un vero e proprio sistema filosofico. Possiamo quindi immaginare il sorriso disincanto dell’Ariosto a riguardo.
ruota della fortuna
IL LABIRINTO DELLA VITA
Tutto l’Orlando Furioso è costruito come un labirinto del caso, dove talvolta incontri e scontri si susseguono involontariamente. Tutto diventa imprevedibile, e tutto ciò che oggi per noi è assolutamente certo, domani scorrerà via con il tempo. Spesso l’itinerario dell’uomo si riduce ad un vagare senza meta per tornare dove era partito. Come nell’esemplare caso di Ferraù all’inizio del poema, il quale vagando per la foresta si ritrova nella stessa radura da dove era partito. Ancora una volta, per l’Ariosto, la vita dell’universo e quindi dell’uomo è circolare e torna sempre al suo inizio, come la ruota di Fortuna la cui immagine così spesso domina nel poema… 


CONCERTO DI FINE ANNO – Carl Orff – Carmina Burana

26 12 2008

20 Dicembre 2008

Bellissimo concerto ieri, venerdì 19 dicembre, al Teatro Grande con i Carmina Burana

Carl Orff – Carmina Burana

 Dies, nox et omnia
michi sunt contraria;
virginum colloquia
me fay planszer,
oy suvenz suspirer,
plu me fay temer.
O sodales, ludite,
vos qui scitis dicite
michi mesto parcite,
grand ey dolur
attamen consulite
per voster honur.
Tua pulchra facies
me fey planszer milies,
pectus habet glacies.
A remender
statim vivus fierem
per un baser.



ODE AN DIE FREUDE – INNO ALLA GIOIA- Leonard Bernstein performs Beethoven’s Ode to Joy

26 12 2008

15 Dicembre 2008

Che emozione ascoltare oggi con i miei studenti l’Inno alla Gioia!

INNO ALLA GIOIA

O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.

Gioia, bella scintilla divina,
figlia degli Elisei,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
La tua magia ricongiunge
ciò che la moda ha rigidamente diviso,
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove la tua ala soave freme.

L’uomo a cui la sorte benevola,
concesse di essere amico di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, – chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c’è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
tutti i buoni, tutti i malvagi
seguono la sua traccia di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!

Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero Fratelli,
sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.

Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!

(F. Schiller)



LA NIKE SENZ’ALI – Miti e immagini dannunziane della Vittoria

26 12 2008

8 Dicembre 2008

Vittoria del Piave

L’articolo ora è pubblicato nel mio sito http://web.tiscali.it/ut_pictura_poesis/NIKE1/INDEX1.htm



Loreena McKennitt- Lullaby

26 12 2008

5 Dicembre 2008

Tragica e bellissima…

 Loreena McKennitt- Lullaby

 

O for a voice like thunder, and a tongue
To drown the throat of war! – When the senses
Are shaken, and the soul is driven to madness,
Who can stand? When the souls of the oppressed
Fight in the troubled air that rages, who can stand?
When the whirlwind of fury comes from the
Throne of God, when the frowns of his countenance
Drive the nations together, who can stand?
When Sin claps his broad wings over the battle,
And sails rejoicing in the flood of Death;
When souls are torn to everlasting fire,
And fiends of Hell rejoice upon the slain,
O who can stand? O who hath caused this?
O who can answer at the throne of God?
The Kings and Nobles of the Land have done it!
Hear it not, Heaven, thy Ministers have done it!

Poem by William Blake (1757-1827)
Music by Loreena McKennitt
From: Elemental (1985)

O avessi voce come tuono e favella
tale da soffocare la gola della guerra! Quando i sensi
sono scossi e l’anima è spinta verso la follia,
chi può restare in piedi? Quando le anime degli oppressi
combattono nell’aria turbata che infuria, chi può restare in piedi?
Quando il turbine del furore giunge
dal trono di Dio, quando il corrugarsi del suo volto
fa cozzare insieme le nazioni, chi può restare in piedi?
Quando il Peccato sbatte le sue grandi ali sulla battaglia
e veleggia rallegrandosi nel diluvio della Morte;
quando le anime sono lacerate da un fuoco senza fine
e demoni dell’Inferno si rallegrano della strage,
chi può restare in piedi? Chi ha causato questo?
Chi può rispondere davanti al trono di Dio?
I re e i nobili della Terra hanno fatto questo!
Che lo ascolti o no, Cielo, i tuoi ministri han fatto questo!

 

http://www.youtube.com/watch?v=-xBLYMSgxCE



TONINO GUERRA – LE FARFALLE E LE LUCCIOLE

26 12 2008
29 Novembre 2008
TONINO GUERRA

LE FARFALLE E LE LUCCIOLE

Biblioteca dell’Accademia di Brera
12 novembre – 20 dicembre 2008
tonino guerra3
Gli scarabocchi

Questo è il muro
questi gli scarabocchi
che facevo col gesso da bambino
quando ho imparato
a seguire il braccio
per fare una riga lunga e qualche svolazzo.

Questo qua è il muro
questi gli scarabocchi.

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Le lucciole
A maggio le lucciole

sono piccole stelle
che cadono
Tonino Guerra 5

«Da un momento all’altro dovrò pur dire a qualcuno che non sto cercando soltanto la mia infanzia ma addirittura l’infanzia del mondo»

tonino guerra

«Dobbiamo avere rispetto per la piccola luce: è già una cosa. Non guardiamo soltanto il sole, ma anche la lucciola, la candela, la luce negli occhi di una donna.»
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«Un tempo avevo un sentimento di sudditanza per l’arte. Adesso, con l’età, soltanto vedere la pioggia che cade o guardare la neve già mi commuove…»
tonino guerra2
«Mi piace se piove o anche quando la nebbia copre completamente la valle del piccolo affluente del Marecchia, il Messa, e io ho l’impressione di vivere con me stesso. »



UNA VENEZIA SENZA CANALI – dedicato a Dino

26 12 2008
25 Settembre 2008
Genova da Santa Maria di Castello
Sotto le volte di San Lorenzo risuonano i passi di tutti coloro che ci hanno preceduto, come sempre, in questa città, che è un porto dove vanno a finire ‘i rumori di fondo’ dell’esistenza e forse della storia.
Genova vive del suo caos quasi primordiale, da sempre, credo, faticosa e a volte impervia come i suoi saliscendi, senza un nesso. Forse è stata una dispettosa divinità a creare a caso l’intrico del labirinto, tanto da non abbandonarlo neppure nelle zone nuove, gremite quanto le antiche.
Una strana Venezia senza canali, dove i ricordi non sono ammantati di romanticismo e spesso dai vicoli non si scorge neanche la luna.
Una città paludata, ma che in fondo non recita troppo neanche per se stessa, con i nobili in pompa magna che, però, non avevano la pretesa di ingannare la nera signora nei loro palazzi della via Aurea. A parte Andrea Doria, e per questo lo odiarono.
Lo sanno bene quelli che vivono sul mare: tutto può accadere in un attimo e l’uomo può fare solo da spettatore. E’ lo spirito di noi liguri, non abbiamo bisogno di fingere ciò che non siamo e non sarà, ci basterebbe morire in salita con l’ultimo respiro speso a testa alta, per arrivare, non importa dove. Per arrivare e basta. C’è sempre una strada da percorrere e forse il senso del cammino è la via stessa, il nostro andare che ci avvicina al moto di tutte le cose.
Genova città vecchia
In questa città, dove tutto si incontra e si scontra, come accade a realtà diverse e opposte, così si può amare e odiare con la stessa forza e nel medesimo istante, come l’attrazione e repulsione che rende tragicamente bella la vita. La nostra bella malattia che ci ucciderà. Ma non importa, adesso, possiamo ancora sederci al Caffè degli Specchi e dall’invetriata guardare la gente che sale in fretta con gli occhi bassi per non inciampare, seguendo il filo dei propri pensieri. Un giorno qui un poeta sorrise alla giovinezza sui tuoi seni bianchi di popolana, viaggiò lontano sognando le luci di Montevideo e scrisse ancora inni alla vita.