VITA E MORTE DI UN GLADIATORE DEI POVERI – Mickey Rourke interpreta se stesso in «The Wrestler»

20 04 2009
the_wrestler_mickey_rourke«The Wrestler» è un film intenso, potentemente segnato dalla forza autobiografica dell’interpretazione di Mickey Rourke, attore geniale e folle, circondato, giustamente, dall’aura del «maledetto», alternativamente nella polvere e sugli altari dei media e della critica.
Il film di Darren Aronofsky non racconta di un «buono» messo da parte dalla società, ma di un uomo pieno di contraddizioni, che in qualche modo si è anche autoescluso dalla vita comune e che prova a risalire la china, procedendo per tentativi difficili e stentati, cercando risposte dove risposte non ci sono più. Segnato da quella solitudine che egli stesso si è scelto, è animato da un’ansia autodistruttiva che neanche lui sa da dove provenga, da quale parte nascosta del suo essere derivi. Il suo desiderio evidente di autopunizione gli fa il vuoto intorno e crea il deserto anche dentro di lui. La sua unica famiglia, votata al massacro, è quella dei lottatori, di coloro che, come lui, cercano una sorta di riscatto nella battaglia all’ultimo sangue davanti ad un pubblico. Si tratta di una sindrome del gladiatore vecchia maniera, perché, al di là della possibilità di mettersi d’accordo sui colpi e le mosse con gli amici- rivali di sempre, poi sul ring il massacro è assicurato in ogni caso, e le botte, le violenze gratuite, le follie sanguinarie, alla fine, sono sufficientemente vere da provocare danni fisici gravi e permanenti.
Sono le ferite indelebili di un uomo che ha rinunciato a tutto per il boato della folla, che sa solo essere un guerriero e che non può, non sa fare altro. Un guerriero dei poveri, i quali lo guardano come se fosse l’espressione del loro desiderio di rivincita, visto che non deve faticare tutti i giorni dietro un bancone per vivere; in realtà è un uomo prigioniero del mito che insegue, della sua autolesionistica, personale ribellione. Tutti i tentativi di cambiare vita si infrangono contro quel desiderio irrefrenabile ed inconscio di autodistruzione. Così le ferite che anche gli altri si portano dentro finiscono per prevalere, i loro mondi già così fragili vanno in mille pezzi contro quel muro di corde e botte, di ovazioni e fischi, di sangue e dolore che resta incomunicabile ai più e che continua a divampare nella vita di questi lottatori estremi: molti, ormai, sono su una sedia a rotelle, deformi e sciancati, ma sembra che a loro non importi. Alla fine non si sa resistere a quel richiamo, come ad un istinto ancestrale da uomini primitivi, come se la lotta e la violenza fossero l’unica dimensione di libertà in un mondo avvilente. «Come la Passione di Cristo» di Mel Gibson commenterà ad un certo punto la spogliarellista che vive una tormentata relazione con il protagonista.
Le ferite di Randy prima ancora che esteriori sono tutte interiori, e si materializzano in quella casa vuota, in quella specie di roulotte prefabbricato che talvolta non ha neppure i soldi per pagarsi ed è costretto a dormire in macchina.
Tutto sembra cambiare, ma tutto diventa scivoloso, come un’insormontabile montagna di sapone… e alla fine l’unica cosa reale di una vita passata a combattere resta quel ring: vita e morte dell’ultimo vero gladiatore.

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2 responses to “VITA E MORTE DI UN GLADIATORE DEI POVERI – Mickey Rourke interpreta se stesso in «The Wrestler»”

26 04 2009
monacozen (09:13:33) :

che bella questa indicazione. non so nulla di cinema nè di attori, per una sorta di, ultraventennale..quasi trentennale auto-esclusione (restando sulla falsariga della descrizione filmica) a tutela (cioè risparmio) della mia precaria e continuamente aggredita salute mentale ma…

ma… quando qualche anno m’è capitato di collazionare cinque o sette film nello spazio di un mese, uno dei temi che titolava la rassegna era “dura violenza di strada” come diceva felicemente. genialmente e ironicamente daniele, parlando di “noi” con il plurale maiestatis, e che di professione faceva il verduraio, con un banchetto al mercato di Rialto. Il buon Daniele, oltre ad avere la faccia di un bimbo (ed il sorriso e lo sguardo di un neonato), parlava di sè come di un “duro ragazzo di strada” non trascurando il fatto, ma da questo facendo sorgere la sua affermazione, che è nato e vive a S.Erasmo, un’isola di orti in mezzo alla laguna, dove si coltivano soprattutto carciofi: i famosi carciofi viola di S. Erasmo per l’appunto.

Ed è un isola che avrà forse 900 abitanti, la maggior parte ultrasettantenni, che per tutta la vita non hanno fatto altro che piantare i carciofi. E la strada è vero che c’è, ed è un’unica carrareccia che contorna tutta l’isola,e fino a qualche anno fa ci giravano le auto non solo senza assicurazione ma persino senza targa, non solo perchè non c’erano nè vigili urbani nè carabinieri ma soprattutto perchè per sbarcare (o portare via) un’automobile dall’isola ci voleva un barcone con una gru, che la depositasse sull’arenile.

Da lì, la scarsa possibilità di automobili “pirata”, ancorchè sprovviste di targhe, sedili posteriori o vetri.

(la mancanza di sedili posteriori era da ascriversi alle cassette di carciofi, più che a presunte velleità rallystiche o spericolate.)

Ecco, a S.Erasmo (oltre che nei miei film) albergava la “dura violenza di strada…” di cui eravamo fervidi cultori.

Grazie perciò dell’indicazione.

Una proposta di ritorno, ma si tratta di pura teoria, perchè la pellicola è scomparsa dalla reperibilità -e darei qualsiasi cifra per averne un doppione, da conservare in cassaforte, come reliquia- è “Giochi di morte”, l’apoteosi della violenza gladiatrice.

Un sorriso

29 04 2009
rossanec (22:42:50) :

Grazie per i tuoi racconti veneziani, hanno sempre il fascino del ricordo in un momento imprecisato nel tempo, come sospeso. Sanno sempre di giovinezza e di vita vera, di un mondo lontano e semplice, come quando, parecchio tempo fa, hai postato le foto della tua Venezia con l’acqua alta. Qualcosa che non appartiene a noi poveri turisti, ma solo a te e a questo popolo dalle molte isole e dalle molte vie.

Grazie ancora…