Un Trovator incantò

26 12 2011

L’atteso debutto del tenore Francesco Meli nel ruolo di Manrico alla Fenice di Venezia

Il Trovatore è sempre un evento, per la meravigliosa partitura verdiana e per i ritmi teatrali serrati ed efficacissimi dove si intrecciano e si scontrano amore e guerra, necessità e libertà, potere e anarchia variopinta dei gitani.
Ma a rendere speciale lo spettacolo della Fenice della prima metà di dicembre era anche l’atteso debutto del tenore Francesco Meli nel ruolo del protagonista, il quale, dal canto suo, non ha deluso le aspettative degli appassionati. Meli è stato un Manrico sensibilissimo e lirico, passionale ed eroico, giovane dalle grandi aspirazioni, ma insicuro e incerto sulle sue origini. Cieco, come tutti, e, soprattutto, come l’ignaro fratello, Conte di Luna, di fronte ai molti presagi, alle coincidenze inspiegabili, alle strane e terrificanti rivelazioni della zingara che egli crede sua madre. Il giovane tenore genovese ha conferito all’opera una suggestione unica per la dolcezza virile del timbro, la chiarezza della dizione caratteristica del suo stile e per l’incanto indicibile di alcune arie come il dolcissimo e appassionato “Ah sì ben mio”. Meli ha sostenuto egregiamente l’opera insieme agli altri interpreti principali, creando uno spettacolo che ha emozionato ed entusiasmato il pubblico. Anche la famosa “pira”, la micidiale cabaletta che dovrebbe
terminare con il classico do acuto, peraltro mai scritto da Verdi, ma che fa parte della tradizione operistica, è stata affrontata bene da Meli, con l’esecuzione del da capo – quello sì previsto da Verdi, ma che non sempre viene cantato – terminandolo con l’acuto della tradizione. L’unico momento di leggera difficoltà si è verificato nella parte finale del successivo “All’armi”, che conclude la scena, dove la voce non è sembrata abbastanza potente e sicura. Un’incertezza, che, comunque, non penalizza un’interpretazione di alto livello.


Notevoli anche gli altri protagonisti come la brava Maria José Siri che, pur non avendo un timbro sempre ineccepibile, è dotata di una buona tecnica e ha interpretato una Leonora piena di energia e di coraggio. Franco Vassallo nei panni del Conte di Luna ha dato buona prova di sé anche se non sempre è riuscito a risolvere a livello vocale e interpretativo la complessità del personaggio oscillante tra una passione amorosa immensa quanto disperata e l’odio geloso per il fratello suo mortale nemico. Il Conte è apparso a volte troppo sbilanciato verso questo secondo aspetto, personaggio autoritario e forse poco duttile, privo dei cedimenti emotivi di un uomo innamorato. Veronica Simeoni, che interpretava Azucena, non è dotata delle note gravi e profonde che caratterizzano in genere altre interpreti della misteriosa zingara, le quali, però, finiscono spesso per sacrificare le molte incursioni in zona acuta della partitura. Proprio valorizzando questi tratti la Simeoni ha conferito un personale carattere al personaggio, sottolineando l’aspetto quasi delirante della zingara che corre verso la propria rovina come mossa da una forza che proviene dall’oltretomba, tanto che neppure gli altri gitani amano ascoltarla nelle sue terrificanti rievocazioni. Ella appare divorata da un desiderio di vendetta come un’ossessione incontrollabile che non è neppure sua, ma le viene dalla madre arsa sul rogo, la cui anima perduta continua ad aleggiare e ad apparire di notte agli incauti che osano avventurarsi nell’oscurità.
Efficace anche l’interpretazione di Ferrando da parte del basso Giorgio Giuseppini.
Senza infamia e senza lode la regia e l’allestimento già prodotti dal Regio di Parma per la scorsa edizione del Festival Verdi. Decisamente rigida e troppo veloce la direzione del maestro Frizza al quale sono state tributate sonore e non immotivate contestazioni.
Il Trovatore, comunque, vince sempre nel cuore del pubblico, come dimostrano le ovazioni finali per l’opera forse più bella che Verdi abbia mai scritto.

 


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