FUSER IL FURIBONDO DELLA SIERRA – La rivoluzione cubana raccontata da Steven Soderbergh con gli occhi di Ernesto “Che” Guevara

8 05 2009
che guevaraAvresti detto che tutto avrebbe potuto fare tranne il rivoluzionario latino-americano, quel medico argentino, vittima di terribili attacchi d’asma in mezzo alla giungla, uno che non era mai stato di salute particolarmente solida e che di Cuba sapeva inizialmente ben poco… Ma le parole di Fidel, il suo piglio da comandante nato, lo avevano affascinato e convinto che quella rivoluzione dei paesi dell’America Latina, tanto sognata quanto lontana, era possibile e doverosa. La rivoluzione era il dovere della giustizia contro l’oppressione di chi, essendo ricco, sognava di essere sempre più ricco all’infinito, in una corsa insensata che avrebbe portato verso la guerra e la distruzione dei popoli più deboli.
Così, con una buona dose di follia, Fidel e compagni partono dal Messico su una piccola nave subito intercettata dalle forze di Batista ed è l’inferno. Lo sbarco è tragico e leggendario insieme, alla Carlo Pisacane: di 82 volontari restano in 12, decimati ancora prima di cominciare, tanto che il sogno sembra definitivamente spezzato. Invece, accade il miracolo: la popolazione, anziché finirli a colpi di forcone, si unisce, sia pure lentamente, ai superstiti e nasce così il «Movimento del 26 luglio» fautore della lotta armata contro il governo.
Comincia quasi in sordina la rivoluzione cubana del Che, tra combattimenti sulla Sierra Maestra che si alternano alla sua professione di medico e alla cura dei feriti. Un viaggio senza fine in mezzo alla Cuba profonda, contadina, non raggiunta dal governo filo-americano di Batista, se non per negazione: analfabeti, privi di energia elettrica e di qualunque servizio che possa minimamente ricordare la civiltà. La Cuba dei contadini persi tra le canne da zucchero perché sanno coltivare solo quelle, il prodotto che i colonizzatori hanno loro imposto da generazioni.
E’ qui che Ernesto Guevara capisce perché sta facendo la rivoluzione e di che cosa il popolo ha veramente bisogno. I contadini vivono in povere baracche, privi di tutto perché il 46% delle terre è in mano all’1% dei proprietari. Guevara, inizialmente, sembra defilato rispetto al resto del conflitto, a capo di un reparto di carattere logistico, ma poi, via via si vengono a scoprire le sue qualità: la sua riservatezza quasi timida nasconde un carattere di acciaio, un uomo che è capace di qualsiasi sacrificio per conseguire il suo scopo, l’ideale di tutta una vita.
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Un uomo abituato a lottare prima ancora che con il nemico esterno con i limiti e i disagi della sua asma che non lo abbandona mai. Ma proprio per questo sembra che la sua fragilità lo abbia reso ancora più forte, abbia forgiato il suo carattere. E’ un irriducibile, uno che combatte anche quando le situazioni sembrano impossibili o già perse, non per niente la sua è «la squadra suicida». Uno che si arrampica sui monti nella giungla reggendosi da un albero all’altro anche quando non sta praticamente in piedi per le difficoltà respiratorie.
Un rivoluzionario per il quale ogni vita è preziosa, al punto che si ferma per curare venti feriti, ma che non esita un attimo quando deve giustiziare due traditori che hanno razziato e violato le famiglie dei contadini in nome suo e di Fidel.
Un uomo di azione, che non ti aspetti, riflessivo e dalla calma quasi glaciale, proprio nelle situazioni peggiori, ma non freddo. Solo determinato a tutto, pronto a morire in ogni istante, come una consapevolezza quotidiana e scontata, senza enfasi.
Forse è questo che lo rende capace di creare intorno a sé un tale carisma personale da riuscire a mettere insieme gruppi anche diversissimi uniti per la causa rivoluzionaria comune. Fidel lo sa bene e manda lui, infatti, per cercare di mettere insieme le varie anime del movimento rivoluzionario «di pianura», quando la Sierra Maestra è ormai dei ribelli e il vero scopo diventa L’Avana.
Un uomo dal coraggio inossidabile come dimostra il discorso alle Nazioni Unite del 1964, nel quale sottolineava tutto quello che gli Usa stavano facendo contro l’America Latina. Non tralasciò nulla, non cercò alcun compromesso, difendendo la rivoluzione dei popoli oppressi con una chiarezza senza mezzi termini che impressionò e divise i presenti.
Benicio del toro interpreta Che Guevara
L’Ernesto «Che» Guevara di Soderbergh, brillantemente interpretato da un Benicio Del Toro perfettamente in parte, è un uomo che tenta e riesce nell’impossibile: attaccare senza rinforzi, ma confidando sull’effetto sorpresa, l’ultimo avamposto di Batista, Santa Clara, il paese che separa i rivoluzionari da L’Avana. Lo fa da solo, solo con i suoi «suicidi» senza attendere i rinforzi di Camilo Cienfuegos per non lasciare il tempo a Batista di riorganizzarsi. E’ uno che si batte contro tutte le ultime forze concentrate del vecchio regime, ma è convinto che se c’è la determinazione dei combattenti un esercito diventa semplicemente invincibile, anche se armato solo di bastoni e sassi.
La prima parte del film (che prosegue con il secondo episodio Guerriglia dedicato al fallito tentativo rivoluzionario in Bolivia) si chiude con l’arrivo a Cuba. La narrazione si alterna con le dichiarazioni che il Che rilasciò alla giornalista americana Lisa Howard e a brani del già citato discorso alle Nazioni Unite.
Un Soderbergh documentatissimo, forse anche troppo, per questo film che fa riferimento ad episodi perfino minuti della biografia di Guevara. Unico neo il fatto che talvolta il film tenda a perdere un po’ il ritmo e alluda piuttosto che raccontare i fatti, quasi dando per scontato che siano tutti risaputi. Ma il regista ha impiegato ben sette anni per raccogliere tutta questa documentazione, perciò talvolta non sembra rendersi conto delle effettive conoscenze dei comuni mortali…
Anche seguirlo in questo suo dettagliato racconto resta, in ogni caso, affascinante perché restituisce l’immagine del Che in tutte le sue molteplici e realistiche sfaccettature.

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