ISRAELE – DIARIO DI VIAGGIO – 8. Mai più Masada cadrà – La fortezza di Erode il Grande, simbolo della libertà del popolo ebreo

20 08 2012

E oggi ci attende Masada, la grande fortezza che domina il deserto di Giuda, costruita su uno sperone roccioso come la prua di una nave a tre gradoni da Erode il Grande (dal 37 al 31 a.C.), quando, durante le sue guerre contro i Parti, contro Antioco e le controversie contro i Romani e Cleopatra non fidandosi più di nessuno, si asserragliò in questo luogo in diverse occasioni; inoltre vi lasciò i propri familiari quando andò a Roma per ottenere aiuti militari e per chiedere la corona della Giudea. Un uomo abile e spietato che sospettando della moglie Mariamne, non esitò ad ucciderla come poi fece anche i suoi due figli, ultimi discendenti della stirpe degli Asmonei (un ramo dei Maccabei) e per questo ritenuti estremamente pericolosi per il suo regno. Abbiamo già incontrato esempi della sua intraprendenza a Cesarea, dove fece costruire il suo sfarzoso palazzo di fronte al mare e il porto che tanta fortuna avrebbe avuto fino al Medioevo. Ma è qui a Masada che Erode mise in campo i suoi architetti e ingegneri migliori forse anche per sfoggiare di fronte agli ospiti la sua potenza e la pressoché illimitata autonomia della fortezza. Essa, infatti, era dotata di un sistema di cisterne così ingegnoso e vasto da permettere di resistere ad un assedio per cinque anni. Inoltre, vi erano enormi magazzini stipati di grano, altri cereali e datteri, che, dato il clima secco, si conservavano perfettamente per lunghissimi periodi. Secondo Giuseppe Flavio quando gli Zeloti si asserragliarono qui (dopo il 70 d. C.) sotto la guida di Eleazar Ben Yair; erano ancora rimaste le provviste accumulate da Erode con grandi quantità di cereali e datteri, tanto che durante gli oltre due anni di assedio dei Romani non ebbero alcun problema legato ai viveri (la fortezza cadde nella primavera del 73 d. C.). Inoltre gli assediati potevano anche cibarsi costantemente di carne e uova visto che c’erano due colombai utilizzati per l’allevamento degli uccelli i quali non venivano chiusi dentro ma erano liberi di volare dove volevano tanto sarebbero sempre tornati alla base a causa dell’impossibilità di trovare cibo e acqua in altri luoghi.
Un caso eclatante della capacità di questi magazzini di mantenere inalterate le provviste a distanza di tempo è legato ai datteri di palma che qui sono enormi, buonissimi e si chiamano medjoul, una vera squisitezza con una lunghissima vita, perché possono essere consumati senza deteriorarsi dopo anni ed anni, e, addirittura, un seme di duemila anni fa, ritrovato a Masada, nel 2005 è stato fatto germogliare nuovamente. L’unico problema, ci spiegava la nostra guida, è che poiché la palma da dattero è una specie dioica, che presenta cioè esemplari con gameti femminili e altri con gameti maschili, la pianta in questione non potrà più essere riprodotta in sé e per sé, mantenendo la sua antichità, a meno che non si riesca a far germogliare un altro seme altrettanto antico che dia origine ad una palma dell’altro sesso. In ogni caso la scoperta ha fatto giustamente notizia, anche per il suo valore simbolico: il luogo dove morirono gli ultimi difensori della libertà degli Ebrei ha generato dalle sue ceneri una nuova vita..
Avvistiamo l’alto sperone roccioso dal profilo inconfondibile, e il terribile sentiero del Serpente, così chiamato anche da Giuseppe Flavio che lo descrisse come pericoloso e pieno di insidie e burroni. E’ praticabile fino alle 10 del mattino, poi date le alte temperature, non è più consentito salire a piedi. Noi però non abbiamo alcuna intenzione di fare gli eroi, e poi forse, a questo punto, sarebbe meglio passare direttamente dal sentiero romano dall’altra parte del monte, più ripido, ma molto più corto. Però, alla fine, la funivia è così panoramica!
In breve tempo, dominando la vastissima distesa del deserto, arriviamo sulla grande spianata della fortezza, cinta ancora da 21 delle 35 torri ricordate da Giuseppe Flavio e ferita nella cinta muraria dalla breccia romana dalla quale passarono gli uomini della X legio Fretensis guidata da Flavio Silva. Sulla nostra destra vediamo le mura del palazzo dedicato all’amministrazione e i magazzini e poi le grandi terme che suscitavano l’incredulità degli ospiti, visto che si trovavano in pieno deserto. Il palazzo privato dell’imperatore era diviso in tre piani proprio nella parte più inespugnabile della montagna, lungo l’immaginaria prua rocciosa. L’edificio era sontuoso con tre grandi corpi di fabbrica affacciati sulla desolata pianura, con colonne in un unico pezzo e pareti affrescate e decorate con mosaici. Nel piano mediano si poteva ammirare anche una rotonda con colonnato. Questo palazzo venne costruito per ultimo, quando Erode aveva preso definitivamente il potere, mentre il palazzo occidentale e quello dell’amministrazione sarebbero stati edificati durante le precedenti guerre di Erode per la conquista del potere. Quando gli Zeloti si ritirarono qui utilizzarono alcuni ambienti del palazzo e edificarono sopra i mosaici delle rudimentali costruzioni, compreso un mikve’ rituale, vicino alla sinagoga. Quest’ultima ha un significato particolare per gli ebrei perché viene considerata la più antica di Israele, essendo contemporanea al Tempio. In essa vediamo dei sedili in pietra aggiunti dagli Zeloti; inoltre sotto il pavimento dell’angolo nord-ovest sono stati ritrovati frammenti del Libro di Ezechiele e del Deuteronomio. In un ambiente lì accanto scopriamo un copista in piena attività vestito con il tallit di preghiera e la kippah. L’emozione è forte: qui c’è il cuore di questo popolo perennemente oppresso e vilipeso, ma sempre risorto dalle proprie ceneri con un eroismo che lascia senza parole.
Qui vicino, nelle stanze dei Rotoli sono stati scoperti frammenti di manoscritti tra i quali quelli dei Canti della santificazione del Sabato, noti dai rotoli ritrovati a Qumran, altri frammenti rinvenuti riproducono brani del Libro dei Salmi, del Levitico e del Libro della Saggezza di Ben Sira, noto a noi come Ecclesiaste; per questo motivo e per la presenza di due bagni rituali nel sito, si è pensato che anche alcuni Esseni si fossero alla fine ritirati qui, poiché, secondo Giuseppe Flavio, vennero anch’essi perseguitati crudelmente dai Romani.
Ci sono poi alcuni dettagli importanti sui quali è necessario concentrare l’attenzione: tra i papiri ritrovati nella zona della sinagoga è stato rinvenuto (in una stanza dietro l’Aaron ha-Kodesh, la nicchia dove si conservava la Torah) anche un frammento riferito alla profezia delle ossa aride di Ezechiele (37, 1-14) alla quale ho fatto riferimento nel mio diario di viaggio nella tappa successiva dedicata a Gerusalemme. Insieme ad esso è stato ritrovato anche un frammento riferito a Deuteronomio 33-34 con la benedizione pronunciata da Mosé prima di morire per tutte le tribù di Israele. Sembra cioè che gli zeloti che avevano ristrutturato la sinagoga inserendo i gradoni in muratura abbiano voluto lasciare il loro testamento spirituale in questa stanza. Diventa ancora più suggestivo il riferimento alle ossa aride che riprendono vita riferito al ritorno degli Ebrei in Palestina. Inoltre viene spontaneo collegare la profezia di Ezechiele con il discorso che Giuseppe Flavio attribuisce a Eleazar prima della morte: egli infatti si sofferma lungamente sul valore dell’anima, sulla sua immortalità e sulla sua supremazia rispetto al corpo “Tutto ciò che è toccato dall’anima vive e fiorisce, tutto ciò da cui essa si diparte avvizzisce e muore: così grande è la sua carica d’immortalità!” Non credo che questo collegamento sia casuale e forse si dovrebbe ipotizzare un’influenza della dottrina degli Esseni sugli Zeloti visto il riferimento così insistito all’immortalità dell’anima, caposaldo delle dottrine di questo gruppo di religiosi.
Il ritrovamento all’interno della spianata della fortezza di molte monete coniate dagli indipendentisti conferma l’orgogliosa rivendicazione della propria identità e dell’esistenza dello stato ebraico rispetto ai Romani invasori.
Tornando alla struttura originaria della fortezza, poiché Erode era affetto da manie di persecuzione fino alla paranoia, nella sua residenza privata non poteva mettere piede nessuno, perciò gli ospiti erano alloggiati nel palazzo occidentale, dove c’erano anche la sala del trono e la corte ufficiale.
Durante il nostro lungo giro tra le rovine arriviamo alla “Porta dell’acqua” dove giungevano i condotti dalle alture circostanti del deserto, con lo stesso principio già utilizzato a Qumran, ma ancora più ingegnoso e complesso, l’acqua veniva incanalata attraverso piccoli condotti all’aperto e per caduta risaliva i fianchi della fortezza fino alle imboccature delle diverse cisterne che ancora oggi sono visibili sotto di noi. Ai piedi della ripida altura scorgiamo ancora i segni molto ben visibili degli accampamenti romani che si trovavano tutt’intorno alla fortezza ed erano collegati con un muro in modo da impedire qualunque tentativo di fuga da parte degli assediati. Poco più avanti ci troviamo proprio di fronte alla breccia da cui passarono i soldati di Flavio Silva . Qui i romani per raggiungere le mura della fortezza costruirono un’opera ciclopica: sul pendio naturale, che però era troppo ripido e molto più basso, edificarono con l’aiuto di grandi tronchi legati insieme e riempiti negli interstizi con sabbia e pietrisco, una rampa artificiale che arrivasse fino alle mura e attraverso la quale si potessero trasportare le macchine da guerra e, in particolare, un ariete. Così riuscirono a praticare una breccia nel muro, ma, nel frattempo, gli Zeloti ne avevano costruito un altro fatto di sacchi di sabbia e tronchi d’albero che resisteva ai colpi di ariete. Silva, però, non si perse d’animo e visto che questo bastione era formato per la maggior parte di legno, ordinò di incendiarlo. Come racconta Giuseppe Flavio, per un certo tempo il fuoco si rivolse contro i Romani stessi, poi cambiò direzione e Eleazar e i suoi 960 compagni seppero che ormai tutto era perduto, tanto più che interpretarono l’accaduto come un segno divino. Inspiegabilmente i Romani, sempre secondo Giuseppe Flavio, non attaccarono subito, ma attesero la mattina successiva; alle prime luci dell’alba la scena che si presentò davanti agli occhi dei vincitori fu impressionante: tutti gli Zeloti con le loro famiglie si erano suicidati. Gli unici sopravvissuti erano cinque bambini e due donne che si erano nascosti nelle cisterne. Nessuno dei Romani ebbe il coraggio di esultare, ma la fortezza resto immersa in un tetro silenzio. Leggendario è rimasto il discorso con cui Eleazar esortò i compagni a compiere il folle e coraggioso gesto:
“Da gran tempo noi avevamo deciso, o miei valorosi, di non riconoscere come nostri padroni né i
romani né alcun altro all’infuori del Dio, perché egli solo è il vero e giusto signore degli uomini; ed ecco che ora è arrivato il momento di confermare con i fatti quei propositi. In tale momento badiamo a non coprirci di vergogna, noi che prima non ci siamo piegati nemmeno a una servitù che non comportava pericoli, e che ora assieme alla schiavitù ci attireremo i più terribili castighi se cadremo vivi nelle mani dei romani. Siamo stati i primi, infatti, a ribellarci a loro e gli ultimi a deporre le armi. Credo poi che sia una grazia concessaci dal Dio questa di poter morire con onore e in libertà, mentre ciò non fu possibile ad altri, che furono vinti inaspettatamente.
Per noi invece è certo che domani cadremo in mano al nemico, e possiamo liberamente scegliere
di fare una morte onorata insieme con le persone che più ci sono care. Né possono impedirlo i nemici, che pur vorrebbero a qualunque costo prenderci vivi, né possiamo noi ormai superarli in battaglia. (…) Muoiano le nostre mogli senza conoscere il disonore e i nostri figli senza provare la schiavitù, e dopo la loro fine scambiamoci un generoso servigio preservando la libertà per farne la nostra veste sepolcrale. Ma prima distruggiamo col fuoco e i nostri averi e la fortezza; resteranno male i romani, lo so bene, quando non potranno impadronirsi delle nostre persone e vedranno sfumare il bottino.
Risparmiamo soltanto i viveri, che dopo la nostra morte resteranno a testimoniare che non per
fame siamo caduti, ma per aver preferito la morte alla schiavitù, fedeli alla scelta che abbiamo fatta fin dal principio”.
Ancora oggi infatti, l’aviazione israeliana porta come proprio simbolo la fortezza di Masada vista dall’alto con il motto “Mai più Masada cadrà” (in ebraico: Metzadà shenìt lo tippòl).
A livello di rilevanze archeologiche, però, sussistono parecchie perplessità da parte degli archeologi che di recente hanno esaminato la documentazione in merito al suicidio di massa (vedi: Ben-Yehuda, Nachman. Sacrificing Truth: Archaeology and the Myth of Masada, Humanity Books, 2002): anzitutto perché non si capisce come possano essere scomparsi così 929 cadaveri, visto che ne sono stati trovati solo 28 ai piedi della salita alla fortezza e forse romani piuttosto che di ebrei (sepolti insieme a ossa di maiale), mentre sulla spianata sono stati rinvenuti solo tre corpi di una donna, un uomo e forse un bambino (ma potrebbe trattarsi anche di un altro adulto). A livello di resti umani nient’altro, un po’ troppo poco anche se dovessimo ritenere che siano stati consumati dal fuoco appiccato dagli Zeloti stessi. Inoltre mentre Giuseppe Flavio dice che volutamente i rivoltosi non appiccarono il fuoco alle provviste per mostrare che non era per questo che si erano uccisi, è stato trovato uno spesso strato di cenere anche nei magazzini. Ci sono poi i 12 ostraka che secondo Yigael Yadin (l’archeologo che scavò Masada negli anni ’60), avrebbero potuto essere quelli di coloro che erano stati tirati a sorte per uccidere tutti gli altri, perché vi aveva riconosciuto il nome Ben Yair (in realtà per Giuseppe Flavio sarebbero stati 10); essi, però, non sono affatto diversi dagli altri 700 ritrovati nella fortezza e probabilmente servivano per il sistema di distribuzione dei viveri nei magazzini. Altro elemento che ha lasciato perplessi gli storici riguarda il motivo per cui i Romani avrebbero atteso un’intera notte per entrare nella fortezza, una volta che essa era ormai espugnata, esponendosi al rischio di qualche nuova contromossa degli Zeloti. In ogni caso, l’eroica resistenza di Masada resta una delle pagine di storia più commoventi e significative per il popolo ebraico e per chiunque ami la libertà, indipendentemente dal gesto estremo dei suoi ultimi difensori.

Lasciata Masada, giungiamo nell’antichissima oasi di En Gedi dove si trovano le sorgenti di Davide, che formano pozze d’acqua e cascate, e dove, all’interno di un grande palmeto, si possono ammirare i piccoli stambecchi selvatici tipici della zona. La nostra guida ci mostra un frutto caratteristico di queste parti: la mela di Sodoma, della grandezza di una piccola mela, verde, ma cava all’interno, dove si trovano dei filamenti bianchi velenosi.
La zona, ricca di grotte abitate fin dall’Età del Rame, raggiunse un notevole sviluppo a partire dal VII secolo a.C. quando fu messo a punto un ingegnoso sistema di irrigazione che permetteva di coltivare anche le viti. Durante la seconda guerra giudaica (135 d. C.) il sito divenne un’importante base strategica. Nelle grotte è stato trovato molto vasellame e estesi frammenti papiracei con passi dell’Antico Testamento, che hanno fatto ipotizzare un trasferimento degli Esseni di Qumran in questa zona dopo la distruzione del 68 d. C..
Intanto le famigliole di stambecchi continuano spostarsi sotto le palme, quasi per niente intimoriti dalla nostra presenza, comunicandoci un senso di dolcezza e allegria…


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