UNA SECONDA GIOVINEZZA PER WOODY ALLEN -Le contraddizioni e le ridicole follie dell’America nel suo nuovo film

8 10 2009
basta-che-funzioni
Un ritmo di commedia velocissimo e battute esilaranti proprio «alla Woody Allen», come non se ne sentivano da tempo, accompagnano brillantemente il protagonista di «Basta che funzioni», il geniale misantropo Boris Yellnikoff, interpretato da un bravo Larry David. Il riferimento alla freschezza dello stile del regista newyorkese in anni addietro non è peregrino, perché, in effetti, Allen rispolvera per l’occasione una sceneggiatura ideata negli anni ’70, ovviamente riveduta e corretta. Ciò non toglie, comunque, che il risultato sia divertente e intelligente, a cominciare dal personaggio ben delineato di Yellnikoff: un nichilista vagamente leopardiano, che dall’alto del suo genio disprezza il genere umano, mettendo in dubbio la bontà stessa della sua natura e considerando ogni realtà della vita semplicemente nulla. La sua «visione d’insieme», come lui stesso la definisce, gli consente, in effetti, di osservare le insanabili contraddizioni della società americana, le sciocche manie, le fissazioni e i buonismi privi di qualunque fondamento, le irrazionalità e i miti che si fondano sulla sabbia di valori del tutto fasulli. Tra le tante, dominano alcune battute davvero corrosive sull’America «capace di mettere un nero alla Casa bianca quando a NewYork i neri non possono neanche salire su un taxiYellnikoff ha la pretesa di insegnare che cosa sia la vita. In realtà, dall’alto della loro divina incoscienza, saranno proprio la ragazza e sua madre ad impartire una sonora lezione al vecchio «genio», mostrando che tutta la sua conoscenza e il suo spirito critico per vivere non servono poi a un gran che.» o l’altra sfoderata proprio davanti alla statua della Libertà che sottolinea come gli States siano stati in realtà «la più grande colonia di detenzione per immigrati». Allo stesso modo, il protagonista è capace di svelare i comportamenti assurdi e inutili a livello individuale e nel rapporto di coppia. Il problema, però, è che, secondo Allen, queste possono anche essere verità, non ci sono dubbi, ma è altrettanto vero che esse non servono affatto per vivere (ovvero per integrarsi in qualche modo), così come non servono i principi, che ingabbiano in una realtà che ben poco ha a che vedere con le vere esigenze dell’io e con il suo imprevedibile divenire. A far scoprire l’inutilità del sapere al vecchio misantropo, fisico quantistico quasi premio Nobel ed oggi cinico e ipercritico insegnante privato di scacchi, interviene una novità inaspettata: una ex-reginetta di bellezza del Mississipi, oca quanto bella, che è scappata di casa e alla quale
Perché, alla fine, la propria identità individuale qual è? Come già i vari Pirandello, Svevo o Beckett avevano avuto modo di enunciare ampiamente, noi non siamo nulla di preciso: anche quello che crediamo di essere tende a ribaltarsi in fretta, sottoposto al tempo come tutto il resto. In definitiva, è vero che ci distruggiamo ma è anche evidente che non sappiamo neppure quello che diventiamo nel frattempo.
Come un moderno Laudisi di pirandelliana memoria, il protagonista è l’unico consapevole che c’è una recita da tenere e qualcuno guarderà, ma non solo di là dallo schermo, non solo per il pubblico pagante: in generale c’è una recita da fare prima di finire tutti comunque «in una scatola». Il regista padroneggia da maestro questo meccanismo della «rottura della quarta parete» (e quindi della finzione scenica) con alcuni eccezionali monologhi rivolti direttamente al pubblico, tra cui quello iniziale che da solo vale il prezzo del biglietto.
Se ciò che vediamo del genere umano non induce all’ottimismo, il protagonista estendendo le proprie considerazioni, giunge alla conclusione che ciò che governa il mondo è del tutto irrazionale. Alla fine, sono i nostri desideri che ci spingono in direzioni assai diverse rispetto al nostro cervello e dobbiamo con un certo sconforto ammettere che le care vecchie convenzioni per le quali ci si mette insieme e ci si «innamora» (detto tra virgolette perché l’amore non esiste, piuttosto, una relazione «basta che funzioni») resistono a tutti gli attacchi della ragione e, alla fine, le pulsioni sono sempre uguali e i modi di reagire sempre quelli dell’uomo dell’età della pietra o giù di lì. Ciò che ci fa prendere le decisioni fondamentali nella vita non ha nulla di lontanamente razionale. E’ drammatico, ma è così e, per quel che è peggio, anche l’illusione di decidere il proprio destino è assolutamente fuori luogo: le cose accadono in un certo modo tra un milione di probabilità e perché sia così, è impossibile da definire… A questo punto che fare? La risposta di Allen è fin troppo semplice, quanto disillusa: prendere quello che viene, senza molte domande, salutando il pubblico pagante e festeggiando tutti insieme un nuovo anno che in fondo ci rende solo un po’ più vecchi. L’unica saggezza è quella del non pensare e del fare finché si è in tempo.

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