MEDITANDO SULLA VITA, LA MORTE, LA FELICITA’

26 12 2008
2 Novembre 2008
Dedicato ad A. e alla sua relazione sulla felicità inviatami in questi giorni
 
 
«ch’i’ non averei credutoche morte tantan’avesse disfatta. » (Dante, Inf. III)
 
Oggi è un giorno per meditare, e non è mai un giorno facile, perché si entra in contatto più da vicino con la morte. Non solo una morte astratta, ma spesso con la perdita molto concreta delle persone a noi care. Dobbiamo fare i conti con il loro ricordo e con il nostro stesso destino. Ci sono persone che semplicemente non vanno al cimitero, scansano il problema, fanno finta che non esista e continuano a vivere.
Io sono sempre stata dell’idea che non ci sia nulla di umano che possa non riguardarmi e men che meno il nostro destino finale. Sono sempre stata convinta che si debba studiare e capire quello che siamo, quali siano i nostri limiti e se ci sia un modo per superarli, per potersi rapportare anche con la morte, perché la risposta che diamo a questo termine ultimo, di fatto, determina fortemente la nostra esistenza adesso.
Per questo nella mia vita ho sempre cercato di studiare molto, perché la luce della nostra ragione spesso ha già in sé parecchie risposte, e non solo la razionalità, ma anche la coscienza degli uomini del passato ci può aiutare a capire quello che siamo veramente. Ciò che sicuramente, a mio parere, non si deve fare è arrivare alla fine della vita inconsapevoli, senza aver pensato davvero al senso ultimo di questo nascere e morire di noi e di ogni cosa.
Per questa ragione è nata anche la mia passione per i viaggi, per cercare di capire gli esseri umani anche di altri luoghi e scoprire punti di vista differenti. E poi l’arte e la cultura dell’uomo ci parlano costantemente dei suoi sogni, delle sue più alte aspirazioni e di tutto ciò che sembra stridere fortemente con il destino finale dell’annullamento.
 
LA REALTA’ DEL DOLORE
Sicuramente, se si valuta la vita umana nella sua apparenza materialistica si è certi di come andrà a finire: l’uomo nasce con fatica e dolore, il primo vagito è già un pianto e via via che gli anni passano è sottoposto alla malattia e alla vecchiaia e infine alla morte. E forse la morte non è l’aspetto peggiore, considerando che il maggior dolore si prova nella malattia e nella vecchiaia. Ho potuto constatare personalmente entrambi gli aspetti sia quello della malattia (è sufficiente stare una ventina di giorni in un ospedale per capire quanto basta) sia la vecchiaia. Per me quest’ultima si identifica con l’immagine di mia nonna paterna, morta a 99 anni semplicemente di ‘vecchiaia’ appunto, per la naturale decadenza organica: quello che tutti forse vorrebbero augurarsi e in genere si augurano. Nonostante questo, vederla ridotta impotente in un letto, rattrappita dagli anni e con la mente lucidissima, implorare il dono della morte, eppure continuare a combattere per la vita come aveva sempre fatto e fino all’ultimo, mi ha fatto molto riflettere. Questo è il nostro destino materiale, se ci va bene.
 
LA NECESSITA’ DELLA COMPASSIONE
Però sicuramente, gli uomini potrebbero fare qualcosa per se stessi e per gli altri, proprio perché se davvero si prende atto che questo è il limite della natura umana, allora si comprende anche come sia del tutto inutile e dannoso assumere atteggiamenti trionfalistici sull’essere umano e sulle sue ‘magnifiche sorti e progressive’.
Il nostro destino è quello invece, di dover abbandonare tutto a poco a poco ed, inoltre, tutto ci abbandonerà, tutto ciò che c’è in questo mondo è fatto per perire con noi o prima di noi.
Questo dovrebbe farci nascere un forte sentimento di compassione, perché tutti gli esseri umani sono accomunati dallo stesso destino di distacco progressivo dalla vita e da tutto ciò che essa rappresenta, compreso tutto ciò che amiamo e che ci dà piacere.
La pietà potrebbe alleviare le nostre e le altrui sofferenze, perché molti dei mali derivano dal nostro agire nei confronti di noi stessi e degli altri.
E d’altra parte, molte nostre azioni nascono dal desiderio di provare piacere e di possedere, illudendoci che questo possa creare in noi la felicità. Tutte le cose che abbiamo accumulato, invece, se ne andranno, e i piaceri durano solo un attimo e significano ben poco.
Bisogna meditare sul destino dell’essere umano perché non ci colga impreparati. Solo condividere e cercare di alleviare il dolore può avere un senso nella vita degli uomini. Non tentare di appropriarsi di ogni cosa, creandosi l’illusione di una falsa onnipotenza legata alle cose o alle persone che si possiedono. Il nostro mondo non è affatto compassionevole perché si basa sull’illusione che ammassando beni essi possano costituire una diga contro la realtà del destino umano. Ma ciò è del tutto ingannevole.
 
IL DESIDERIO DELL’ETERNO
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite? (Foscolo, dei Sepolcri)
 
Quello che invece l’uomo vorrebbe e non ha è ben altro. Basta conoscere il pensiero dell’uomo di ogni epoca, guardare le sue opere per capire che l’essere umano anela ad una felicità eterna e al di fuori dello spazio e del tempo. Di questo ci parla la voce degli uomini che dal passato ci raggiunge anche oggi. La perfezione dell’essere, l’eternità.
Io personalmente ritengo che, considerando tutto ciò che gli uomini hanno creato e sognato la posizione più razionale e sottolineo razionale, sia quella di credere che ci sia un oltre, un infinito che possa colmare il desiderio che la nostra natura continuamente ci ripropone, anche nella forma del piacere, ma che in realtà richiama sempre il sogno di un soddisfacimento infinito, sebbene rivolto ad un oggetto inadeguato.
Del resto anche un intellettuale illuminista come Diderot (e quindi non certo sospettabile di essere un fautore di una qualche religione) affermò: ‘Esiste solo una passione, la passioneper la felicità‘…..
Blaise Pascal parlava di una ‘scommessa’, di un salto della fede che si deve compiere per uscire dall’empasse della condanna della natura. Per conto mio ritengo che tutto ci parli dell’eternità e soprattutto che questa sia connaturata con la nostra coscienza. Forse, riprendendo l’affermazione di Diderot, siamo fatti solo di quel desiderio, alla fine. Se solo lo sapessimo riconoscere con la mente chiara, allora potremmo anche capire che non si può conseguire senza un ‘tu’ a cui rivolgerci. Ci vuole una condivisione con gli altri se si vuole arrivare, ci vuole la compassione.
 
LA RICERCA DI UN MAESTRO
Ma come fare per perseguirla? Dov’è la strada?
Sono necessari, come in tutte le altre cose lo studio e l’educazione. Tutti capiscono che si deve andare a scuola per imparare a leggere e scrivere, ma spesso non si ritiene che si debba imparare a capire la vita.
Non siamo soli in questo viaggio, c’è molta antica saggezza a cui possiamo attingere. Soprattutto ci sono esempi di vita importanti. In particolare di coloro che hanno esercitato la perfetta compassione, e che quindi hanno già percorso la strada che porta verso la felicità, il luogo verso il quale si è chiamati.
Da questo punto di vista bisogna cercare un Maestro, qualcuno che abbia già percorso la strada e imparare da lui.
Personalmente ritengo che colui che più compiutamente ha incarnato questo esempio sia Cristo, soprattutto per quanto riguarda il nostro mondo occidentale. Di recente ho letto diversi volumi sul Buddhismo e devo dire che mi hanno dato la possibilità di approfondire molto la mia fede e la mia pratica, ma ritengo che l’insegnamento di Cristo sia ancora più compiuto e perfetto.
Considero, comunque, con il massimo rispetto ed ammirazione chi attraverso un’altra religione intraprende la ricerca delle Verità ultime e credo che, se paradossalmente, non esistesse il cristianesimo probabilmente sarei buddhista; anzi, devo dire che proprio con l’aiuto degli insegnamenti del Buddha alcune verità comuni al cristianesimo sono risultate per me più evidenti; però ritengo che la rivelazione che siamo stati amati da Dio dal primo istante della nostra esistenza e fino alla Sua stessa morte non abbia eguali in alcuna altra fede.
Anzitutto perché Cristo ci parla dell’amore di Dio attraverso il suo esempio di dedizione totale a tutta l’umanità, ci mostra come il Padre non sia un’entità staccata dall’uomo, ma ci abbia voluto a sua immagine, al punto tale da generare Lui stesso, il Figlio, Figlio che è anche il Verbo, cioè la Parola attraverso cui tutto ciò che esiste è stato creato.
 
Α Ω
Questa è la grande scoperta nello studio dei testi sacri e delle meditazioni dei teologi: noi siamo fatti a Sua immagine ed è tale immagine che portiamo dentro di noi: noi siamo il tempio di essa, ma dobbiamo assumerne consapevolezza, dobbiamo vivere perseguendola, amandola e rispettandola, meditando sugli insegnamenti di Cristo perché essa diventi sempre più concreta e visibile.
In definitiva, vivere dell’imitazione di Cristo stesso. Solo perseguendo quell’immagine divina dentro di noi potremo conseguire la felicità.
‘Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto’diceva San Paolo; in realtà, credo, noi stessi gemiamo nel partorire la nostra vera natura, perché dobbiamo riconoscerla e perseguirla attraverso la pratica cioè l’azione, la meditazione e la preghiera, e non è sempre facile. Solo se faremo ‘partorire’ la realtà, però, progrediremo nel cammino anche personale. Una collaborazione alla creazione divina che nel Vangelo viene definita con l’espressione ‘lavorare nella vigna del Signore’.
Il nostro essere nel mondo è un viaggio, ‘un pellegrinaggio’ dicevano gli antichi Padri della Chiesa, perché attraverso questa prova noi possiamo imparare ciò che non passa con il tempo e ciò che invece è destinato a finire. Perché possiamo imparare a vedere ciò che è impermanente come il riflesso e la testimonianza di ciò che è eterno e così possiamo amarlo, senza attaccamento.
Siamo qui per tornare da dove siamo venuti, ma con la consapevolezza nuova che è quanto vogliamo veramente.
Tornare alla nostra origine, tornare alla nostra più compiuta Immagine.
Questa è la vera libertà: compiere le azioni per cui siamo stati fatti, cioè volte alla ricerca della felicità, intesa come vero totale appagamento della coscienza. Le azioni che corrispondono alla nostra vera natura, cioè quelle che ci rendono consapevoli di essa, ci faranno tornare alla nostra Origine perché ci faranno appartenere sempre di più ad essa.
‘Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come un bronzo cherisuona o un cembalo che tintinna ‘ scrisse San Paolo, perché la Carità è Dio stesso.
Per questo nella vita presente imitando Cristo e quindi praticando tali azioni, avremo un anticipo della beatitudine, quello che Cristo chiama ‘il centuplo quaggiù’ e, infine, la vita eterna dopo la morte, cioè la compiuta visione di Dio.
Il dolore e la morte sono dunque una prova, ma non sono la parola finale sull’essere umano. Sono un mezzo per vedere con mente più chiara la verità dell’esistenza, un crogiuolo, come lo definisce l’Antico Testamento, dove l’oro si raffina. E se avremo paura ci sarà un Tu, che ha condiviso in tutto le nostre sofferenze umane al quale poter dire: ‘Signore, ho paura…’.
gesù ade2

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