DOPPIO RIGOLETTO ALLA SCALA – Leo Nucci e Alberto Gazale interpretano il celebre buffone beffato e maledetto

5 02 2010

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E’ andata in scena nei giorni scorsi una delle opere più attese di questa stagione del teatro scaligero: una bella edizione del Rigoletto di Verdi nella riproposizione di un allestimento del 1994 con le sontuose le scene di Ezio Frigerio e gli eleganti costumi di Franca Squarciapino per la regia di Gilbert Deflo.
Il cast di alto livello, ha visto alternarsi nei panni del protagonista Leo Nucci, ormai Rigoletto per antonomasia, visto che ha festeggiato proprio con questa edizione il record assoluto di 440 recite in questo ruolo, e Alberto Gazale, brillante interprete del “gobbo senza nome” anche recentemente a Firenze nell’ambito della manifestazione Recondita Armonia nell’ottobre 2009.

La tragedia del buffone a sua volta beffato dai vili cortigiani del Duca di Mantova, non ha deluso le aspettative di un pubblico da tutto esaurito, per quest’opera che, a ragione, viene considerata una delle più riuscite e significative dell’intero repertorio verdiano.
Un allestimento tradizionale, quasi filologico, ma affascinante, nei costumi e nella scenografia che ha ripreso le più antiche edizioni ottocentesche dell’opera, ambientandola in una corte tardo -rinascimentale e sottolineando la purezza sprovveduta della giovane Gilda con un candido vestito bianco dalla semplice fattura. Se Gilda è apparsa quindi, nei panni di una giovane sposa tradita nel suo sogno d’amore, la falsità crudele della corte e il tema della beffa sono stati sottolineati dal regista fin dall’inizio con l’inserimento di una ironica danza di ballerini mascherati.
La regia ha seguito in linea di massima i suggerimenti contenuti nel libretto, caratterizzando in modo patetico e al contempo maligno la figura del buffone che combatte la sua personale battaglia contro un mondo da cui è continuamente respinto. La sua figura di reietto e girovago costretto a vagare da una corte all’altra senza una meta precisa e a nascondere non solo la propria identità a tutti, figlia compresa, ma anche a dissimulare qualunque dettaglio della propria vita privata, è stata interpretata magnificamente, anche se con connotazioni differenti dai due baritoni protagonisti.
Il Rigoletto di Leo Nucci è una figura segnata negli anni dalla disillusione e dal dolore, vittima di una sorta di rassegnazione alla quale reagisce soltanto per amore dell’unico bene rimastogli, quello della figlia. E’ anche più cinico, sapendo che a corte ognuno gioca il proprio ruolo di maschera e che tutti, anche coloro che oggi risultano vittime, non sono migliori dei loro carnefici e potrebbero tramutarsi in essi all’occorrenza. Per Nucci gli anni sembrano non aver scalfito la notevole potenza vocale e l’impatto emotivo della sua voce estremamente espressiva che rende tutte le sfumature psicologiche del personaggio, dagli accenti beffardi e ironici a quelli patetici e di profondo affetto paterno. La sua interpretazione si è distinta, poi, per la generosità espressiva e vocale che regala sempre al pubblico il brivido di un’eccezionale energia emotiva. Se il suo timbro a volte può non essere perfetto, la sua interpretazione gode di un carisma e di un’autorevolezza che trova ben pochi termini di paragone anche nel passato.
“Cantare bene non basta, quello che conta è aver suscitato vere emozioni” ha commentato al termine della recita del 24 gennaio. Ha spiegato, poi, come si sentisse in forma per affrontare questo Rigoletto, al punto da essersi avventurato nell’acuto finale di “Vendetta” anche in un ardito “la” naturale. Per lui ovazioni e applausi del pubblico che ha a lungo reclamato il bis di “Cortigiani” e di “Vendetta”, ma la richiesta non è stata purtroppo accolta per precise (quanto incomprensibili, a dire il vero) disposizioni della direzione della Scala.


Il Rigoletto di Alberto Gazale (presente in tre delle dieci date in cartellone), d’altra parte, non è stato da meno. “Ho cercato di seguire una via personale e possibilmente originale nel caratterizzare il mio personaggio: per me Rigoletto è soprattutto un folle” ha dichiarato al termine della recita del 29 gennaio. Per il bravissimo interprete sassarese che ha conosciuto la grande notorietà internazionale proprio attraverso questo personaggio, sotto la direzione di Riccardo Muti, Rigoletto è soprattutto un Fool quasi shakespeariano, un matto che per mezzo dello scherzo anche maligno svela l’amara verità sul mondo e sulla corte di nobili ipocriti e corrotti. Viene sottolineato nella sua interpretazione il sentimento che il buffone nutre nei confronti del suo giovane padrone bello e cinico, sfrontato libertino: un complesso miscuglio di invidia, di odio e di malcelata ammirazione per il suo potere. Il buffone di Gazale vorrebbe essere riconosciuto come un essere umano e la sua è una lotta rabbiosa contro il pregiudizio che lo vuole folle perché deforme. Resta, però, indifeso in questa società dove solo le armi contano, siano quelle di un sicario o di una disputa in duello. Si tratta di una società dove, al di là dell’ostentato galateo, è ancora la violenza a farla da padrona. Gazale ha sottolineato, perciò, nella sua interpretazione i passaggi dove il buffone tenta anche solo per poco tempo di sostituirsi al principe sedendosi addirittura sul suo seggio. Poco importa se il coro commenta “Coi fanciulli ed coi dementi spesso giova il simular”: ora il signore è lui perché i diritti di un padre appaiono superiori a tutti i poteri terreni. Poi davanti al sacco consegnatogli da Sparafucile, proclama in modo beffardo e oscuramente trionfante “Ora mi guarda, o mondo!” Il fallimento della sua impresa e la morte della figlia lo tramortiscono, facendolo piombare nella disperazione perché deve infine constatare che a chi è giovane e bello si finisce per perdonare tutto anche le peggiori infedeltà e i delitti più odiosi, tanto che perfino sua figlia ha preferito al suo amore di padre il sentimento falso e fedifrago del Duca. Ci ha colpito l’intensità interpretativa della parte finale dell’opera nella quale il desiderio di vendetta e la rabbia lasciano il posto soltanto al pianto e all’implorazione di un padre disperato. La voce di Alberto Gazale ci è apparsa versatile, dal timbro puro e rotondo, capace di seguire con passione interpretativa i ritmi spezzati e i repentini mutamenti emotivi di Rigoletto, passando dalla rabbia al pianto, dal trionfo alla disperazione. Forse talvolta, soprattutto nelle arie e nei passaggi più celebri, avrebbe potuto osare un po’ di più, ma si tratta di una considerazione marginale a fronte di una bella interpretazione, molto apprezzata e applauditissima. Da sottolineare, tra l’altro, le sue non comuni doti attoriali, che si prestano particolarmente alla resa drammatica e inquieta del personaggio.

Segnaliamo per entrambi i protagonisti la bellissima resa dell’aria “Pari siamo!” nella quale per Gazale prevale la tristezza e la disperazione, in Nucci la rabbia e il sentimento di rivalsa.
A dare voce ai sogni e alla dolcezza ignara di Gilda è stata per tutte e dieci le recite, Elena Mosuc un soprano dai notevoli mezzi vocali e interessanti doti interpretative: voce intensa, abilissima nella coloratura, agile nei virtuosismi tecnici, e piena di suggestioni come nella parte finale di “Caro nome” o in “Tutte le feste al tempio”. Ha espresso efficacemente l’immagine della giovane ingenua, felice e garrula come un uccellino, ignara di ciò che veramente possano riservare le crudeli trappole dell’amore e del destino. La sua ferita sul petto a forma di cuore alla fine dell’ultimo atto ha sottolineato ulteriormente il personaggio della giovane fanciulla dai sogni precocemente infranti che suscita grande commiserazione, archetipo di tutte le donne che amano troppo.
 


 


Discutibili sono state, invece, le interpretazioni dei due tenori che si sono avvicendati nelle diverse serate: la voce di Stefano Secco (che si esibiva nelle recite con Nucci) è apparsa piuttosto fragile, priva di pienezza e talvolta di appoggio, decisamente troppo leggera. Gianluca Terranova, dal canto suo, ha mostrato parecchie incertezze e forzature soprattutto nell’aria iniziale “Questa o quella”, ma non è andata molto meglio neppure nel “Parmi veder le lagrime” In generale, le intonazioni sono apparse precarie e la tenuta delle note difficoltosa.
Il basso Marco Spotti ha sostenuto la parte di Sparafucile con la consueta sicurezza di una voce potente e dal bel timbro scuro, interpretando brillantemente la fredda durezza di un uomo d’armi senza scrupoli, diverso solo nel ceto sociale dai cortigiani “vil razza dannata” della corte.
La Maddalena di Mariana Pentcheva è apparsa molto vitale, giustamente provocante e disincantata e ha interpretato le resistenze di una donna non certo priva di esperienza che però, alla fine, nonostante l’evidenza dell’atteggiamento libertino del Duca non sa resistere al fascino di un bel viso e alle lusinghe dell’amore alle quali tutte, prima o poi, finiscono per cedere. Particolarmente bello il dialogo con il Duca nel quale Maddalena mentre afferma “quanto valga il vostro gioco, mel credete so apprezzar” sta però già cedendo alle diaboliche lusinghe del cinico donnaiolo.
Fra i personaggi minori si è distinto soprattutto il truce Monterone di Ernesto Panariello che ha sfoggiato un’interessante potenza vocale unita all’espressività.
 

Molto discussa la direzione d’orchestra di James Conlon il quale, del resto, non è considerato uno specialista del repertorio verdiano ed era appena reduce, invece, dalla direzione di un intero Ring di Wagner. Inoltre si percepiva spesso uno scollamento tra le voci e l’orchestra. Ci si chiede, quindi, per quale motivo sia stato scelto per dirigere un’opera della levatura del Rigoletto nel più internazionale dei nostri teatri. Misteri della Scala….


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