SENTIRSI COME VINICIO – Un inizio d’anno senza augurio

2 01 2010
vinicio-minotauro2

Sentirsi come Vinicio, in gabbia, scuotendo inutilmente le sbarre, con la maschera da Minotauro in un mondo di altre maschere stupide, fenomeno da baraccone, dietro miriadi di piccole luci elettriche, mordendosi la coda dalla rabbia insensata come in un inutile ballo di san Vito. E la vita non si muove, semplicemente si dibatte sempre uguale a se stessa: gli uomini e le donne come talpe cieche segnano la loro stessa infelicità tra coloro che amano e sono sole, non corrisposte, e coloro che si invaghiscono di donne che non li amano e se le terranno, scegliendo con tutto il cuore di essere per sempre infelici.

Si trova sempre un motivo perché uno dei due respinga l’altro alla fine. E dopo vent’anni si scopre di essere degli estranei.
Molti si chiedono perché nei suoi spettacoli siano evocate tutte queste figure fiabesche e infantili, considerandole inutili orpelli, e invece stanno lì per tentare di esorcizzare la crudeltà del destino. Cerchiamo almeno di sorridere dell’Human pignata, per dimenticare la disperazione impotente di tutte le botte che si sono prese e si prenderanno ancora; sentirsi il Corvo torvo che guarda gli altri vivere in una festa perenne, circondato dal falso divertimento del carnevale e che forse con il suo occhio invidioso porta sfortuna davvero: perché gli altri dovrebbero essere felici se il cuore è stretto in una morsa di fil di ferro? Perché dovresti essere benevolo se a volte ti sembra di respirare chiuso dietro un vetro come il palombaro isolato dal mondo e sul punto di annegare nei tuoi pensieri in apnea? Si sta in apnea dalla paura che un solo respiro possa incrinare quel poco di felicità che sembra di aver conquistato, per poi vederla svanire così come era venuta… Come il volo di una piuma, non più vera di uno scintillare veloce di stella cadente. Tutto finirà tra le ossa umane che costruiscono la casa della Baba Jaga, la Grande Divoratrice di ogni cosa, la quale forse compirà anche la vendetta dei dolori e delle sciocche follie degli uomini stolti…
Ma allora a che cosa sarà servito tutto questo?
 

L’amore inutile. La storia della mia vita..



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5 responses to “SENTIRSI COME VINICIO – Un inizio d’anno senza augurio”

5 01 2010
daylight (14:12:23) :

 Un altro grande se ne è andato. Ma chi rimpiazzerà questi personaggi? Da chi avremo le stesse emozioni?

9 01 2010
Primaticcio (00:25:13) :

Rossanec,
e se avessi davvero ragione tu, se le maschere e le figure fiabesche di Capossela fossero lì per esorcizzare il destino cinico e baro (soprattutto baro, direi)? In fondo a me le maschere non sono mai piaciute (da piccolo odiavo il circo, i clown in particolare, e un po’ più grandicello pensavo che la parola d’ordine per la redenzione del mondo fosse “smascheramento”) ma ultimamente – che Nietzsche mi perdoni! – le sto rivalutando, almeno coprono lo schifo che ci sta sotto!
Per il resto forse bisognerebbe chiederlo alla guardarobiera nera e al suo romanzo rosa, ma se nemmeno Roland Barthes nei suoi cavillosi “Frammenti di un discorso amoroso” parla di utilità a proposito dell’amore, un motivo ci sarà, eh! 🙂 (forse perché l’amore si misura non sui risultati ma sui significati che dà, ma qui il terreno si fa scivoloso e non vorrei cadere in apoftegmi marzulliani).

Ciao e (anche se ho letto il titolo del tuo post…) buon anno!!!

9 01 2010
rossanec (15:48:25) :

Caro Paolo,
Tanti cari auguri di buon anno anche a te! Ricordo che un po’ di tempo fa avevi scritto un interessante intervento sul Simposio di Platone, chiedendoti "che coss’è l’amor"… Sai io credo che sia proprio il demone di cui parlava Diotima… La potenza e la condanna di tutti coloro che cercano; il demone è immortale, ma nello stesso tempo, infelice, incompiuto e lo sarà per sempre, per sempre lacero, povero e pellegrino… E così è l’amor! Ma senza il suo desiderio forse non saremmo nulla… Quindi è vero che non è mai inutile, ma che disperazione a volte…
Vedi? Un’altra immagine mitica per poter almeno sorridere e forse in qualche modo esorcizzare il fato…
Un caro saluto, è sempre un grande piacere leggerti

Ora mi par piú facile parlarne nell’ordine che tenne allora la straniera (Diotima), interrogandomi. Perché anch’io le dicevo quasi le stesse cose che ora Agatone sosteneva con me, che cioè Amore è un gran dio e ama le cose belle. Lei allora mi provava, con gli stessi argomenti che ho tenuto ora contro di lui, che Amore, secondo il mio stesso discorso, non era bello né buono…. Ma cosa sarebbe allora, esclamai, questo Amore? un mortale?”. “Niente affatto”. “Ma allora cos’altro è?”. “Come nel caso di prima, qualcosa di mezzo fra mortale e immortale”. “Che è dunque, o Diotima?”. “Un demone grande, o Socrate. E difatti ogni essere [e] demonico sta in mezzo fra il dio e il mortale”. “E qual è la sua funzione?” domandai. “Di interpretare e di trasmettere agli dèi qualunque cosa degli uomini, e agli uomini qualunque cosa degli dèi; e di quelli cioè reca le preghiere e i sacrifici, di questi invece i voleri e i premi per i sacrifici. In mezzo fra i due, colma l’intervallo sicché il tutto risulti seco stesso unito. Attraverso di lui passa tutta la mantica, e l’arte sacerdotale concernente i sacrifici, le [203 a] iniziazioni e gli incantesimi e ogni specie di divinazione e di magia. Gli dèi non si mischiano con l’uomo, ma per mezzo di Amore è loro possibile ogni comunione e colloquio con gli uomini, in veglia o in sonno. E chi è dotto di queste arti, è un uomo demonico, ma chi è conoscitore di altre tecniche o mestieri non è che un generico. Ora, questi demoni sono molti e vari: uno di questi è anche Amore”. “E suo padre e sua madre, domandai, chi sono?”. “È cosa un po’ lunga da raccontare, rispose, ma a te la dirò. [b] Quando nacque Afrodite gli dèi tennero un banchetto, e fra gli altri anche Poro (Espediente) figlio di Metidea (Sagacia). Ora, quando ebbero finito, arrivò Penia (Povertà), siccome era stata gran festa, per mendicare qualcosa; e si teneva vicino alla porta. Poro intanto, ubriaco di nettare (il vino non esisteva ancora), inoltratosi nel giardino di Giove, schiantato dal bere si addormentò. Allora Penia, meditando se, contro le sue miserie, le riuscisse d’avere un figlio da Poro, gli si sdraiò accanto e rimase incinta di [c] Amore. Proprio cosí Amore divenne compagno e seguace di Afrodite, perché fu concepito il giorno della sua nascita, ed ecco perché di natura è amante del bello, in quanto anche Afrodite è bella. Dunque, come figlio di Poro e di Penia, ad Amore è capitato questo destino: innanzitutto è sempre povero, ed è molto lontano dall’essere [d] delicato e bello, come pensano in molti, ma anzi è duro, squallido, scalzo, peregrino, uso a dormire nudo e frusto per terra, sulle soglie delle case e per le strade, le notti all’addiaccio; perché conforme alla natura della madre, ha sempre la miseria in casa. Ma da parte del padre è insidiatore dei belli e dei nobili, coraggioso, audace e risoluto, cacciatore tremendo, sempre a escogitar machiavelli d’ogni tipo e curiosissimo di intendere, ricco di trappole, intento tutta la vita a filosofare, e terribile ciurmatore, stregone e sofista. E sortí una natura né immortale né mortale, ma a [e] volte, se gli va dritta, fiorisce e vive nello stesso giorno, a volte invece muore e poi risuscita, grazie alla natura del padre; ciò che acquista sempre gli scorre via dalle mani, cosí che Amore non è mai né povero né ricco. Anche fra [204 a] sapienza e ignoranza si trova a mezza strada, e per questa ragione nessuno degli dèi è filosofo, o desidera diventare sapiente (ché lo è già), né chi è già sapiente s’applica alla filosofia. D’altra parte, neppure gli ignoranti si danno a filosofare né aspirano a diventare saggi, ché proprio per questo l’ignoranza è terribile, che chi non è né nobile né saggio crede d’aver tutto a sufficienza; e naturalmente chi non avverte d’essere in difetto non aspira a ciò di cui non crede d’aver bisogno”. “Chi sono allora, o Diotima” replicai “quelli che s’applicano alla filosofia, se escludi i sapienti e gli ignoranti?”. “Ma lo vedrebbe anche un [b] bambino, rispose, che sono quelli a mezza strada fra i due, e che Amore è uno di questi. Poiché appunto la sapienza lo è delle cose piú belle ed Amore è amore del bello, ne consegue necessariamente che Amore è filosofo, e in quanto tale sta in mezzo fra il sapiente e l’ignorante. Anche di questo la causa è nella sua nascita: è di padre sapiente e ingegnoso, ma la madre è incolta e sprovveduta. E questa è proprio, o Socrate, la natura di quel demone. [c] Quanto alla tua rappresentazione di Amore, non c’è da meravigliarsi; perché tu credevi, per quanto posso dedurre dalle tue parole, che Amore fosse l’amato, non l’amante; e per questo, penso, Amore ti appariva bellissimo. E in realtà ciò che ispira amore è bello, delicato, perfetto e beato; ma l’amante ha un’altra natura, come t’ho spiegato”.

9 01 2010
rossanec (20:56:27) :

Per daylight:
penso che tu ti riferisca a Bosetti… Hai ragione, è una grande perdita, ma ci sarebbero tanti giovani meritevoli che spesso non emergono un po’ per l’immobilismo delle istituzioni teatrali e soprattutto per la mancanza di finanziamenti adeguati….

10 01 2010
Primaticcio (21:58:12) :

Cara Rossanec,
grazie per aver pubblicato il bel discorso di Diotima (tra l’altro è una versione leggermente diversa da quella di Giorgio Colli che ho). Nelle intenzioni di Socrate che lo cita, il discorso vorrebbe spiegare i segreti ultimi dell’amore, ma per me si fa sempre più misterioso ogni volta che lo leggo!
Spero davvero che l’Eros di cui tu scrivi, infelice ed inquieto figlio di Poros e Penia legato ad un fato da esorcizzare, possa essere presto sostituito dal più appagato Eros figlio di Afrodite. Anche perché personalmente, in quel po’ po’ di simposio a casa di Agatone, parteggiavo per il buon reazionario Aristofane con il suo amore come ricongiungimento: un dio che trova più che un demone che cerca.
E con questo, che Diotima non me ne voglia e non mandi a me l’epidemia che ha risparmiato agli ateniesi! 🙂

Un caro saluto anche a te e buona settimana