IL GOSSIP DI “COSì E’ SE VI PARE” – Il dramma dell’io e la fiera delle vanità secondo Massimo Castri

9 01 2009
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Va in scena in questi giorni al Teatro Sociale di Brescia un classico del teatro italiano: Così è se vi pare di Luigi Pirandello rivisitato per la terza volta in 28 anni dal regista Massimo Castri, autorevole e sensibile interprete dello scrittore siciliano,  in un’inedita e graffiante messa in scena.

LA MASCHERA, LA STORIA E LA FINZIONE
Uno spettacolo dai ritmi veloci, con grandi scene corali, dirette magistralmente, dove il «pubblico giudicante» sul palcoscenico è formato da maschere grottesche (di carattere infantile da personaggi dei cartoon) immerse in una festa carnevalesca senza fine, da paese dei balocchi.
Senza maschera si presentano, invece, i tre protagonisti, così come accade nei Sei personaggi in cerca d’autore, loro sì autentici, ma vittime delle proprie insanabili contraddizioni, segnati da traumi così profondi da aver bisogno di raccontarsi una verità contraddittoria e assolutamente antitetica per poter in qualche modo restare insieme. La loro unione si basa in fondo, su un assurdo logico, perché l’uomo quello vero, è un nodo che non si scioglie, definito da una narrazione di sé e degli altri segnata dall’incomunicabilità e dalla solitudine.
Ognuno ha bisogno di raccontare se stesso e elaborare le vicende degli altri per costruire un’interpretazione plausibile, una soluzione che consenta almeno in parte di accettare il reale, di far «quadrare» i conti.
Ma è una battaglia persa perché come sempre nella vita – almeno secondo Pirandello – i conti non tornano mai. Lo svelamento di questa visione relativistica e scettica, del non senso insito nella realtà, stordisce i componenti di questa «giuria» da baraccone, formata da alcuni esponenti della buona borghesia di provincia. Li sconvolge perché non possono accettare che non ci sia un bandolo della matassa e quindi una verità certa. Non si tratta, infatti, solo di un episodio, ma di una vicenda esemplare: ognuno vi percepisce la precarietà del nostro vivere quotidiano, travolto insieme alle nostre «infallibili» certezze. Ma sconvolge altrettanto, se non di più, gli astanti la scoperta che dentro questa famiglia esiste un trauma celato e inconfessabile che deve rimanere tale affinché il nucleo di affetti possa comunque sopravvivere.
E’ l’implicita ammissione che il modello di famiglia borghese è destinato di per sé al fallimento, perché vi si respira un’estraneità incolmabile di fondo: forse ci si ama, ma non ci si capisce affatto e si è comunque isolati seppure insieme nell’impossibilità di vivere davvero uniti.
Qui sta tutta la modernità dell’interpretazione di Massimo Castri il quale ha coinvolto in questo elaborato e difficile progetto registico un gruppo di brillanti giovani attori.

LE COSTANTI NELL’OPERA
All’interno del testo si possono rintracciare alcune costanti dell’arte e della poetica pirandelliana, rese ancor più evidenti dall’allestimento odierno. Per esempio, il ricorso palese alla maschera richiama, un’altra opera «in costume» cioè l’Enrico IV: in essa, infatti, oltre al fallimento del matrimonio, troviamo anche la presenza di due donne una più giovane ed una più vecchia che non dovrebbero mai stare insieme alla presenza del protagonista, perché il loro incontro è foriero di sventura.
In quel caso si tratta di madre e figlia e anche qui il personaggio principale, se nutre un affetto legato al passato per Matilde, in Frida si riconosce psicologicamente.
Anche in Così è se vi pare come in Enrico IV tutto resta «tranquillo» finché qualcuno, in questo caso Enrico stesso, accetta di essere considerato pazzo, ma solo per celare il vero trauma iniziale, cioè la scoperta da parte del protagonista di un tentato omicidio ai suoi danni e la successiva presa di coscienza che il suo assassino, se da un lato ha fallito, dall’altro gli ha davvero sottratto la vita.
I muri che il signor Ponza impone alle due donne della sua famiglia e a se stesso sono, in realtà, i recinti di un sé inconsistente che per esistere deve autoimporsi dei limiti e creare una «storia» accettabile che gli fornisca delle radici in cui riconoscersi.
Qualcosa che non è verità, è solo una forma di sé la quale nel momento in cui viene pensata e indossata va già stretta e mostra tutti i suoi limiti e le sue aporie.
castri01gIntorno maschere dai tratti animaleschi, ispirate alle caricature che lo stesso Pirandello spesso fornisce dei suoi personaggi: infatti, nelle sue novelle soprattutto, è facile riconoscere tratti somatici enfatizzati e vagamente ferini. Così Castri ribalta la situazione: l’uomo vero è colui che è privo di soluzione, gli altri sono le maschere, gli attori, concetto già espresso nei Sei personaggi.
E’ un’edizione di Così è se vi pare degna dell’epoca del gossip di cui facciamo parte, dove la gente mostra il suo morboso desiderio di sapere, di violare la privacy, di conoscere e scavare nelle pieghe della vita privata altrui… ma non c’è soluzione, non c’è verità e chi vive sulla propria pelle un dramma lo sa bene.
Quante interpretazioni si possono dare di un solo fatto traumatico della nostra esistenza – su motivazioni e reazioni, sentimenti e azioni – anche solo per esorcizzarlo! Ma chi è maschera, chi davvero recita solo una parte vuota di significato, ma piena solo del proprio ruolo sociale, vuole sapere, si ciba delle vite degli altri.

IPOTESI AUTOBIOGRAFICHE
Ci si domanda allora quale «trauma» possa nascondersi dietro la vicenda della signora Frola e del signor Ponza.
La risposta, forse ci viene dalle altre opere dell’autore e dalle testimonianze sulla sua vita privata, alcune, a quanto pare, scottanti, visto che risultano ancora oggi inedite per volontà degli eredi.
Nei testi pirandelliani la figura maschile spesso è violenta e tende a segregare o opprimere le donne presenti nell’opera; è il caso, ad esempio, de L’uomo la bestia e la virtù, ma anche nel Berretto a sonagli la giovane moglie viene schiacciata dal meccanismo che lei stessa ha messo in moto, per via del tradimento del marito. Anche nel Gioco delle parti alla fine, la pretesa libertà della protagonista si rivela fallimentare e porterà all’uccisione del suo amante, con notevole soddisfazione del marito di lei.
Nei Sei personaggi in cerca d’autore, poi, tutta la vicenda è determinata dall’insensata gelosia del padre il quale abbandona la madre credendola innamorata di un suo collega di lavoro.
pirandello1Emerge, quindi, anche la tematica della gelosia e della pretesa tutta pirandelliana di esaurire in un abbraccio mortale tutta la vita della moglie o compagna, disegnando così un profilo psicologico di carattere sado-masochistico latente.
Una visione ossessiva dell’amore che appare ben svelata dalla sua relazione con Marta Abba che l’autore quasi perseguitava con l’assiduità delle sue lettere e le sue profferte amorose.
Inoltre la vicenda narrata in Così è se vi pare apre molti dubbi sull’effettiva identità della signora Ponza, perché appunto, ella potrebbe essere sì la figlia della signora Frola, ma sicuramente quest’ultima non è la suocera di lui. Piuttosto, da come entrambi si comportano, potrebbe essere la madre del signor Ponza, se non addirittura la sua prima moglie. Nel primo caso si tratterebbe, quindi, di un incesto tra fratello e sorella, nel secondo, invece, tra padre e figlia. In effetti è noto dai documenti che Antonietta, moglie di Pirandello, nutriva una forte avversione, dettata dalla gelosia, per sua figlia Lietta, al punto da sostenere che quel rapporto privilegiato padre-figlia fosse tutt’altro che innocente. Così è se vi pare potrebbe far riferimento, quindi ad una vicenda almeno parzialmente autobiografica. Ipotesi da non sottovalutare visto che anche nell’Enrico IV e nei Sei personaggi si nota la presenza di tematiche simili dal momento che nel primo caso il protagonista si invaghisce della figlia della donna amata in passato, mentre nel secondo, rischia di avere un rapporto sessuale con lei.
 
La «verità», insomma, aveva portato probabilmente la famiglia dell’autore alla distruzione e per questo nella sua opera troviamo l’elogio delle «pietose bugie» dette, ripetute affabulate pur di rimanere insieme, bugie alle quali molto probabilmente lo stesso Pirandello si era abituato…
 

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2 responses to “IL GOSSIP DI “COSì E’ SE VI PARE” – Il dramma dell’io e la fiera delle vanità secondo Massimo Castri”

28 01 2009
rossanec (20:12:39) :

Un mio alunno particolarmente promettente mi ha inviato proprio adesso una recensione dello spettacolo di Massimo Castri. La posto qui a commento della precedente.

*****

Una famiglia anomala trasferita in un piccolo paese, la curiosità morbosa della buona borghesia locale, la ricerca ossessiva di una verità impalpabile: questi sono in sintesi gli ingredienti di un classico del teatro, “Così è se vi pare” di Luigi Pirandello.

L’opera si fonda su una serie inesauribile di intrighi, equivoci, dubbi, che dimostrano, nell’idea dell’autore, l’impossibilità di definire una verità esatta e oggettiva. Attraverso le (assurde) vicende della signora Frola e del signor Ponza, che continuano ostinatamente a smentirsi pur di celare un dramma sconosciuto e inconfessabile, Pirandello presenta la sua concezione dell’uomo come essere poliedrico, ma incapace di comunicare efficacemente con i propri simili e quindi destinato alla solitudine. Per sopravvivere a questa solitudine e per essere accettati in qualche modo dagli altri, gli uomini mentono, a se stessi e al mondo, creando un’immagine fasulla del proprio io, inevitabilmente eclissato e nascosto.

Anche i legami affettivi tra gli individui sono dunque instabili, perchè vincolati alle menzogne che ognuno racconta all’altro cercando di costruirsi una identità plausibile. Così accade che persone completamente diverse, come i tre protagonisti dell’opera, stiano insieme per un caso fortuito , senza assolutamente capirsi.

In fondo, però, stare assieme è una necessità di tutti, anche se il cemento di un legame è qualcosa che non si può rivelare, per difendersi da un mondo esterno curioso e spietato, che giudica secondo i rigidi canoni borghesi le sorti altrui.

In quest’opera il “mondo” è rappresentato da una serie di squinternati esponenti del ceto medio di provincia, che come “maschere” della commedia dell’arte recitano nulla più di un ruolo loro assegnato e, nel nome della giustizia, non esitano a “mettere alla berlina” chi prova a far breccia nel loro mondo di cartapesta, fatto di ipocrisia e finzione.

Il guaio della famiglia Ponza è proprio quello di essere uomini in un mondo di “maschere”, presentando tutti i problemi e le contraddizioni della quotidianità a delle macchiette che agiscono come in un grande gioco di ruolo.

Proprio per accentuare l’aspetto teatrale e falso di questi borghesi l’allestimento del regista Massimo Castri insiste su due elementi fortemente simbolici: i costumi grotteschi e la musica, che assume un ruolo chiave.

Il fatto di mascherare letteralmente alcuni attori ha un forte impatto visivo sullo spettatore, che immediatamente distingue i tre protagonisti, assorti nei loro drammi, dalle figure caricaturali, incapaci di vedere il dolore altrui e di provarne umana pietà. Ci si identifica fin da subito nei tre protagonisti, gli unici che sono costretti in qualche modo a calare la maschera, senza però mai svelare quel loro segreto inconfessabile, alla base, secondo Pirandello, di un modello familiare destinato a fallire.

La musica, poi, rappresenta la voce della coscienza umana, spesso rinnegata e schiacciata, che nelle note del pianoforte esprime l’unica verità dell’opera, tanto certa quanto incomprensibile.

I ritmi veloci, le scene corali e l’atmosfera carnevalesca della rappresentazione di Castri rendono questo testo del 1917 moderno e intrigante anche per lo spettatore di oggi il quale è solllecitato a riflettere sul rapposto tra l’odierna società dell’informazione e il concetto pirandelliano di verità.

Lorenzo Sarnataro

3 02 2009
anonimo (14:31:09) :

Un altro giovane di belle speranze, mi ha inviato una seconda recensione sullo stesso spettacolo, ve la propongo:

*******

La vicenda di “Così è se vi pare ” sembra essere soprattutto una storia di maschere dove predominano apparenza e incertezza, curiosità e morboso quanto inutile desiderio di conoscere «la verità» , nonché profonda e freudiana introspezione. La celebre opera di Luigi Pirandello, recentemente presentata al teatro Sociale di Brescia per la regia di Massimo Castri, non fa sconti né alla società borghese né all’incomprensibile «nodo» dell’essere umano in se stesso.

La vita di una tranquilla cittadina di provincia viene scossa dall’arrivo di un nuovo impiegato, il Signor Ponza, e della suocera, la Signora Frola, scampati ad un terribile terremoto nella Marsica. Si mormora, tuttavia, che assieme ai due sia giunta in città anche la moglie del nuovo arrivato, anche se nessuno l’ha mai vista. Il signor Ponza vive con la moglie all’ultimo piano di un caseggiato periferico, la suocera, invece, in un elegante appartamentino del centro. I tre personaggi attirano inevitabilmente le chiacchiere dei borghesi locali, essendo contravvenuti alle regole di cortesia tra vicini, comportamento anomalo che ha eccitato ulteriormente la curiosità sulla loro misteriosa vita familiare.

Intorno a loro si crea una sorta di «circolo» salottiero che si fa carico di scoprire la verità assoluta in merito alla vicenda, nonostante gli ammonimenti dello scettico Laudisi, il quale in seguito, però, diventerà il più accanito inquisitore. Si potrebbe, infatti, parlare d’inquisizione (così, del resto, è stata considerata in alcuni precedenti allestimenti dell’opera), dato che gli interessati vengono sottoposti ad un vero stress da “interrogatorio”, con esortazioni sempre più pressanti e ricattatorie, affinche confessino la verità. Entrambi daranno una loro versione dell’antefatto: prima, la signora Frola, che sosterrà di essere la suocera effettiva, in quanto Ponza si sarebbe sposato due volte con la medesima donna; in seguito il signor Ponza, il quale affermerà che ella fu sua suocera in quanto madre della prima moglie, morta però 4 anni prima.

Lo spettacolo ruota intorno al perno della ricerca della verità, che esige, infine, come sua ultima conferma, l’intervento del soggetto stesso della speculazione, cioè la moglie del signor Ponza.

In quest’opera fondamentale Pirandello giunge ad uno dei risultati più alti della sua ricerca sull’essere umano e sulla sua drammatica inconsistenza, come individuo, ma anche come parte di un sistema sociale. Viene ancora una volta messa in crisi l’idea stessa di famiglia tanto che non è difficile riconoscervi numerosi elementi autobiografici. Non a caso i critici hanno identificato in Laudisi o Ponza lo stesso autore, ad indicare il rapporto fortemente conflittuale che lo legava alla moglie Antonietta e l’ambiguità verso la figlia Lietta. Inoltre, non si deve dimenticare la violenza che le figure maschili pirandelliane di solito esercitano nell’ambito familiare, adducendo i più svariati motivi, ma con una coercizione di fatto, come in questo caso.

Il significato stesso dell’essere umano è recitare una parte nella vita e da ciò non è escluso nessuno: infatti, gli stessi borghesi inquisitori indossano delle maschere, nonostante si ergano garanti della verità. Il processo assume un carattere grottesco, sicchè il signor Ponza viene bollato come “mostro” da giudici che si ritengono moralmente corretti, ma che con la loro incalzante indagine si trasformano essi stessi in belve senza pietà.

I ruoli dunque s’invertono, giacché bestie e carnefici, diventano i giudici, in quanto disposti a rievocare un terribile trauma, che potrebbe anche causare la follia perpetua, pur di soddisfare una futile quanto fastidiosissima curiosità. Le tesi di Ponza e della signora Frola, infatti, non sarebbero altro che giustificazioni elaborate dagli stessi, forse inconsciamente, per celare o dimenticare un forte trauma. Dunque, il loro fuggire la verità è un parallelo fuggire la realtà di un’esistenza ancora più dura di quanto già lo sia per chi, come loro, ha perduto tutto, parenti amici casa; la fuga verso l’illusione è il solo farmaco in grado di curare il loro male. L’unica soluzione plausibile dunque, sta nell’accettare entrambe le evidenze: la moglie del signor Ponza è anche la figlia della signora Frola.

Luca Squassina