ISRAELE – DIARIO DI VIAGGIO – 2. I rumori di fondo della storia: Cesarea, Giaffa, Acri

28 07 2012

Comincia il nostro viaggio in Galilea, sulle orme dei crociati, di Erode il Grande e, come sempre nel Mediterraneo, degli onnipresenti Romani. Cesarea era una grande città marittima fondata appunto da Erode, ancora attivissima nel Medioevo, ma che venne poi distrutta dai Turchi alla fine del XIII secolo e mai più ricostruita.

Ci accoglie un teatro che si apre di fronte al mare, scavato da un equipe di archeologi
italiani e in parte ricostruito; resistiamo al sole che non fa sconti, e andiamo a scoprire le rovine del palazzo di Erode, il porto chiuso da una diga artificiale, l’ippodromo, ancora ben conservato e le grandi arcate dell’acquedotto.

Il promontorio dall’altro lato del porto antico è dominato dalla fortezza crociata, costruita dopo la morte di Goffredo di Buglione, visto che quando il custode del Santo Sepolcro era ancora in vita, Cesarea aveva ancora un sultano che commerciava con i regni crociati e in particolare con la città di Gerusalemme.

Un’altra curiosità dell’incrocio di popoli e culture, di esuli, fuggiaschi, pirati, predicatori più o meno fanatici e di assai più prosaici mercanti alla ricerca delle ricchezze di Oriente, è la strana presenza a Cesarea, vicino alle rovine della fortezza crociata, di una moschea costruita dai bosniaci nel XIX dopo la loro fuga per le pressioni subite da parte dell’impero austro-ungarico affinché rinunciassero alla religione musulmana…

La storia si incrocia ancora e porta al ricordo di altre guerre nei Balcani, altri morti, altri esuli, altre tombe e pulizie etniche, testimonianze viste con i miei occhi, purtroppo, una decina di anni fa…

Le città di mare sono i punti del mondo dove vanno a finire i rumori di fondo della storia…

Vicinissima a Tel Aviv c’è anche un’altra storica città marittima: Giaffa, porto privilegiato dei primi crociati . A quanto pare Goffredo di Buglione pur di ottenere il controllo della città di Arsuf che aveva resistito con determinazione incrollabile ai crociati, concluse un accordo con i pisani e in particolare con il vescovo Daimberto da Pisa, patriarca di Gerusalemme, per ottenere il loro aiuto in cambio del controllo commerciale di Giaffa.

Quest’ultima che oggi sembra una piccola cittadina tranquilla, in realtà, durante le crociate assunse una grande importanza come porto dove tutti facevano scalo per commerciare, musulmani compresi. Famoso il caso dell’emiro di Damasco Duqaq che dopo scontri durissimi con Tancredi di Altavilla, principe di Galilea, concluse con i cristiani un accordo commerciale a tutto campo sulla terraferma.

In questa città Goffredo fece ricostruire le mura e qui accolse i veneziani quando giunsero con una grande flotta per diventare i difensori della Terrasanta e, naturalmente, fare spietata concorrenza ai pisani. I genovesi dal canto loro, si erano piazzati tra Antiochia, Edessa e Acri, inutile impelagarsi in questi regni della Palestina così precari e troppo contesi… meglio fare affari.

Sempre a Giaffa nel suo intricato labirinto di vicoli scopriamo anche il funesto ricordo di Napoleone I il quale giunse in questa città nel 1799 e, dopo aver sconfitto con uno stratagemma la guarnigione turca, fece strage degli abitanti.

Per la cronaca, ad Haifa vista dall’alto sul giardino dei Baháí che occupa un’intera collina. L’ennesima religione sincretica fondata in questi luoghi. Naturalmente si conserva qui la
tomba del fondatore. Ma non sanno fare altro che fondare religioni da queste parti? Farsi seppellire o salire al cielo? Con questo continuo assedio religioso si potrebbe immaginare una centunesima novella del Boccaccio: “Bergamino fassi pellegrino del Santo Sepolcro e da cristiano riede epicureo”. Overdose da religioni…

E finalmente
arriviamo ad Akko che però, per una ligure come me, è e resta San Giovanni
d’Acri, sede centrale dei Cavalieri Ospitalieri che partivano dalla loro
Commenda di Genova in San Giovanni di Pré o da Malta dove ancora risiedono. Qui
si entra nel mito e si ascolta la voce della storia, perché i muri e le rovine
parlano. La fortezza presenta una parte esterna e una sotterranea come in ogni
roccaforte che si rispetti, quando si parla di monaci guerrieri e dei loro
segreti. La grande struttura al di sotto dell’attuale piano stradale è stata
scoperta pochi anni fa e dichiarata patrimonio
dell’umanità dall’Unesco.

La sensazione è indefinibile, grande emozione dentro quei locali spogli e molto alti, archi, grandi pilastri, sole che entra a fiotti luminosi, tanto che la sala principale dei cavalieri mi ricorda quasi immediatamente il pianterreno della Conciergerie a Parigi. Qui si pensa alla fede e alla violenza, a incontri e scontri che evidentemente in queste terre sono sempre stati all’ordine del giorno. Goffredo di Buglione divenne leggendario perché nonostante fosse uno degli uomini più potenti della Terrasanta non voleva trono, ma riceveva chi gli chiedeva udienza seduto su un cuscino di paglia e a chi osservò che ciò non era adeguato alla sua condizione rispose dicendo che la terra è la condizione più adeguata visto che ci attende tutti nell’ora della morte…

Eppure poi quegli stessi uomini una volta occupate le città conquistate spesso facevano strage di musulmani ed ebrei, tagliavano nasi e orecchie per rappresaglia, saccheggiavano le terre sprecando risorse enormi per poi doversene pentireamaramente nei periodi di carestia… In ogni caso, per un’epoca che visse nel miraggio della Terrasanta non si può non provare un fascino irresistibile, almeno per me. Qui restarono coloro che furono gli ultimi ad andarsene dalla Palestina, gli irriducibili.

Mentre sono presa da questi pensieri, imbocchiamo le gallerie che portavano fuori dalla
fortezza permettendo di fuggire: gli stretti corridoi creati dai Cavalieri Ospitalieri e il grande percorso percorribile anche a cavallo costruito dai Templari. Si sentono cavalli, scalpitio di zoccoli, rumore di armi, ombre a cavallo ci oltrepassano, sono in due sulla stessa cavalcatura. “Non nobis, non nobis, domine”… Sono stata a Temple a Londra, ci sono tornata tre volte in una settimana. Entravo e ascoltavo il silenzio tra le tombe dei cavalieri. Non lo dimenticherò mai.

Usciamo all’aperto scoprendo con stupore di essere al centro della città araba, davanti alla antica bellissima moschea di El Jazzar e finalmente incontriamo sulla nostra strada il mondo musulmano.

Un grande amore mi lega alle moschee anche se il mio modo di pensare è lontano da quello
musulmano e a maggior ragione da quello degli integralisti di oggi, ma la cultura araba ha dato origine anche a pensieri molto elevati come la grande tradizione mistica dei dervisci e dei sufi.

La nostra guida si affretta a dirci che nello spazio, dedicato ai turisti, immediatamente oltre il portale di accesso, si può anche entrare senza togliersi le scarpe, ma io le tolgo lo stesso con rispetto: dentro ci sono uomini che pregano prostrati verso la Mecca e non sarò io a profanare ciò che è sacro. Forse qualcun altro che vive qui dovrebbe ricordarsi che ci vuole rispetto per tutti, anche per gli islamici, invece di fomentare continuamente odio, odio che alla fine, fa emergere da entrambe le parti i partiti più estremisti e che, tra l’altro, finisce spesso per riversarsi anche sui cristiani, compresi quelli di origine araba. Così davanti alle chiese cristiane spesso si trova qualche pistolotto scritto dai musulmani che invita i cristiani a correggere i loro errori e che Allah è l’unico dio come diceva anche Cristo…

Gli israeliani in genere odiano i musulmani e pensano che siano sporchi, privi di senso civico
e di cultura religiosa, poiché imparano a memoria il Corano e le preghiere, cosa che nel mondo ebraico è proibito per evitare la ripetizione meccanica. Stanno fianco a fianco nelle stesse città anche a pochi metri gli uni dagli altri, ma se il muro non c’è, uno se lo immagina, crede di vederlo anche se magari si tratta di una semplice recinzione di cantiere in costruzione. Sindrome da muro. E c’è da piangere su Gerusalemme, sì, ma non per il muro del pianto…



ISRAELE – DIARIO DI VIAGGIO – 1. Tel Aviv tra passato e futuro

28 07 2012

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Israele dall’alto sembra un luogo semi desertico, e già si capisce che uno dei problemi principali di questo paese è l’acqua, e il suo controllo… Quando si atterra, però, ci si accorge degli enormi sforzi che gli israeliani fanno per gestire al meglio questa risorsa preziosa, con migliaia di microtubi che distribuiscono goccia a goccia l’acqua nei giardini: in questo modo piante e fiori prosperano dovunque, nonostante le temperature intorno ai 35-40 gradi. Se avessimo avuto dei dubbi sulla tenacia certosina degli ebrei adesso sarebbero immediatamente fugati. C’è però qualcosa di inquietante in questo, una determinazione ai
limiti della follia per rendere questa terra abitabile, attaccati con le unghie e con i denti ad ogni metro quadro di questo terreno, che se non fosse colonizzato, sarebbe semplicemente un deserto.

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Altro incontro ai limiti del surreale: in un prato in mezzo allo svincolo della superstrada che ci sta portando in hotel, sotto una palma, vedo un ebreo praticante (noi diremmo integralista) chiuso nel suo cappotto nero (con 40° all’ombra, grado più grado meno) – cappello a larghe falde e barba lunghissima – che sembra pregare con un libro in mano. Sarà stato un fantasma?
In effetti proseguendo vediamo ovunque manifesti di un rabbino ( che mi pare gli assomigli) – ormai passato a miglior vita, ci informa la guida – che alcuni seguaci considerano come il messia… Comincia già la “sindrome di Gerusalemme”? Pare di sì…

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Arrivati a Tel Aviv, subito mi colpisce la strana architettura di questi luoghi: al contrario di ciò che faremmo in Italia, qui si cerca l’asimmetria, ma piena di spigoli e angoli; neppure i grattacieli hanno una forma pura, ma sono appesantiti da strutture orizzontali che non li lasciano svettare liberi, oppure sono scavati da anfratti di ogni genere: Anche l’architettura parla e qui si capisce che tutto si appesantisce, imbrigliato in “regole” incomprensibili, regole irrazionali che diventano muri.

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Ci sistemiamo in un hotel sulla costa, e quando usciamo sul lungomare, ci investe, oltre al caldo umido della capitale, anche una marea di giovani fanatici del jogging superpalestrati.

Qui ci sembra di essere più che in Europa, in una città del nord, magari in Olanda, tutti presi da una specie di fanatismo antiorientale… Scopro poi che Tel Aviv è una delle capitali del gay pride con grande scandalo degli ebrei ortodossi del paese.

Ma i muri non ci abbandonano: sul lungomare dall’aspetto così occidentale, ad un certo punto, però, vediamo uno stabilimento balneare completamente chiuso da un recinto cieco da dove escono donne con gonne nere lunghissime, camicie a maniche lunghe e capelli nascosti da foulard legati dietro la nuca, seguite da nidiate di bambini. I “praticanti” colpiscono ancora…
Nel frattempo di musulmani neanche l’ombra, ma al primo assaggio, la sensazione di essere di fronte al muro di due integralismi è subito molto forte…



LE DOMANDE DI KAUSHAL

13 07 2012

Dopo aver compiuto tutto il rito con grande emozione e pianto seguendo passo dopo passo le preghiere e le invocazioni del proprio maestro. Dopo aver pronunciato con tutto il suo cuore le solenni promesse: Non uccidere, non rubare, non dire menzogne, non commettere adulterio, non bere sostanze inebrianti; allora il giovane Kaushal si rese conto di aver ricevuto l’iniziazione di Avalokiteshvara dal suo maestro il venerabile Tenzin Gyatso e si sentì indegno di seguire un simile bodisattva. Allora pieno di timore si avvicinò al suo venerabile maestro e così gli chiese:
“Perché hai scelto me, perché proprio me hai voluto per portare questa grande responsabilità della salvezza e della felicità di tutti gli esseri senzienti? Io non so se potrò mai farcela, mi sento piccolo e indegno, colmo delle mie imperfezioni, sofferente degli stessi mali di coloro che dovrei curare… Non so se credo abbastanza nell’uomo e nella vita e nella bontà degli esseri senzienti e nel loro comune desiderio di felicità sono confuso e mi sento privo di forze e di antidoti contro i tre veleni…”
Ma il maestro rispose: “Non sono io che ti ho scelto, ma tu sei venuto. Tu eri qui, ed eri qui perché tu credi nell’uomo forse non te ne rendi veramente conto, ma tu fermamente credi nella bontà umana e nella sua possibilità di liberazione e a mostrarlo sono state le tue lacrime, l’acqua che usciva da te e purificava la tua mente e vuotava il tuo cuore. Tu guardavi gli esseri viventi e sentivi la loro vicinanza. Non sei stato scelto a caso eri qui perché dovevi essere qui. Eri qui perché hai saputo aderire alla via e perché anche se non sei diverso dagli altri esseri e uomini tu sai vedere le tue imperfezioni e i tuoi veleni e questo è il primo passo. Se sarai capace di offrirli come sofferenza per il bene di tutti questo sarà il secondo sulla strada della liberazione. Medita sempre e pensa di scambiarti con gli altri e di prendere su di te la loro sofferenza. Non importa quanto tu sia inadeguato: il limite non è una tomba. Addestra la tua mente per il bene di ogni essere senziente e otterrai senza pensarci anche la tua felicità. Sii fiducioso che la felicità si può raggiungere e che un cambiamento è possibile, nonostante possa sembrare il contrario. Non devi fermarti all’apparenza. ma medita nel profondo della vacuità perché non esiste separazione, ma un’unità universale. Prendi rifugio nel Buddha nel Dharma nel Sangha e non temere, persevera nella tua promessa persevera nella tua pratica persevera nella tua azione e grandi saranno i tuoi frutti.”



LE PRIMULE

13 07 2012

Sono le montagne che conosco da sempre, quelle dei miei antenati, eppure così lontane da me, mai esplorate, solo guardate in fretta tra il buio cadenzato delle gallerie. Dormienti in triste sonno di una primavera secca sotto un cielo azzurrino. Il greto di sassi è quasi tutto visibile e il Taro è poco più di un piccolo ruscello. I segni del fuoco nei prati tra i tronchi degli alberi tagliati. Pulizie di Pasqua che però non sanno di rinascita. Tutto è nulla sotto il sole. Ma all’improvviso le mie compagne di sempre si affacciano incuranti delle poche erbe e dell’aria ancora marronicina dei campi, con il loro piccolo sole tutt’intorno, vivo di verde. Le primule della mia infanzia ci sono ancora.