IL FLOP SESSANTOTTINO DI MICHELE PLACIDO NEL “GRANDE SOGNO”

27 09 2009
IL REGISTA fallisce il tentativo di narrare attraverso la storia individuale le vicende di una generazione

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Ecco un altro film che va ad aggiungersi alle molte pellicole inutili, se non dannose, sul ’68.
ll film di Michele Placido delude, per la scarsa capacità di gestire la narrazione di una serie di storie intrecciate, ma diversissime, che diventano difficili e confuse da sintetizzare. Soprattutto manca il bandolo della matassa, qualcosa che leghi in un modo o nell’altro, queste presenze così differenti. Soltanto alla fine apprendiamo che il regista ci ha raccontato le vicende personali di alcuni personaggi veri che avrebbero gravitato in quegli anni intorno all’Università di Roma, seppure in schieramenti e appartenenze sociali assai diversi, così come differenti sarebbero state poi le strade che avrebbero imboccato finito «il grande sogno».
Innanzitutto, che l’esile filo conduttore del film si capisca soltanto prima dei titoli di coda risulta un grave limite, e soprattutto, è molto artificiosa e discutibile la scelta della vicenda narrata.
Come si sa, la storia non è mai data una volta per tutte, la sua attendibilità è dettata dalla completezza della visione, perciò, se non si è in grado di gestire un’operazione del genere, per un periodo così complesso, forse sarebbe meglio lasciar perdere.
La storia da raccontare si sceglie e le scelte di Placido sembrano volte a mettere in evidenza soprattutto la confusione e il caos, il muro contro muro di alcune posizioni, le visioni preconcette e di puro «indottrinamento» miope sia da una parte sia dall’altra, in una, quantomeno strana, par condicio. Quasi tutti i personaggi sono ridotti a macchiette e le posizioni politiche a una sorta di spot pubblicitari che sembrano scaturire dal nulla. Se delle idee politiche espresse dalla protesta si capisce ben poco, in compenso il regista sembra avere «una parola buona per tutti» tranne per chi, magari, quelle vicende le ha pagate, poi, anche sulla propria pelle e certe scelte le ha vissute profondamente. Alla fine domina il compianto-rimpianto per le povere famiglie borghesi disgregate, per gli ex poliziotti «pentiti» e, diciamolo pure, segnati da un’ingenuità ai limiti del doppiogiochismo. In tutto questo patetismo confuso il tocco finale spetta al nome della bambina che nasce dalla relazione tra la protagonista (una Jasmine Trinca fin troppo premiata) ed uno dei capi della protesta studentesca. Come poteva chiamarsi se non «Rossa»?.

grande_sogno1 Tutti bellli quanto inconcludenti i tre protagonisti del film…

Il personaggio interpretato da Riccardo Scamarcio (con la sua recitazione piuttosto «ingessata») ha valenze autobiografiche e sembra funzionale al pensiero del regista, che pare addirittura schierarsi contro il tentativo di creare un teatro, che non fosse la solita riproposizione stantia di testi vecchi e poco attinenti alla realtà. Placido sembra dimenticare che se oggi si possono capire anche scelte più coraggiose a teatro e, in generale, nell’arte, lo dobbiamo proprio alle sperimentazioni – estreme quanto si vuole, ma necessarie per svecchiare l’ambiente – proposte in quegli anni. Così come forse si dimentica in fretta che molte libertà furono conquistate allora. Libertà e diritti che a causa della scarsa coscienza sociale di oggi stanno rapidamente regredendo in un’evidente restaurazione. L’unica nota positiva è il ricordo della repressione della rivolta dei braccianti ad Avola che, per lo meno, accenna seriamente a quello che i lavoratori rivendicavano all’epoca e che ancora restava da fare. Il resto è un’incursione giovanilistica frammentaria, un agglomerato confuso di tensioni velleitarie e raffazzonate. Una congerie in cui sembra salvarsi solo uno slancio vitale positivo a fronte di un’inconcludenza di fondo. Cosa ha voluto dirci l’autore? Che i mali della sinistra odierna hanno radici lontane? Che la confusione velleitaria regnava sovrana allora come oggi? Non saprei, ma la sua tesi non convince affatto: rispetto all’incapacità di lettura della realtà da parte di certi partiti e personalità odierne, quelli di allora sembrano quasi dei giganti e per fortuna è esistito qualcuno che ha affermato e sostenuto certi diritti e libertà. Di sicuro non guardavano il Grande Fratello e i suoi protagonisti non finivano in un film sul ’68. Data la situazione sarebbe già qualcosa.


SCRITTO CON IL SANGUE

18 09 2009

La canzone di Branduardi su una delle sue liriche più famose e le immagini del film TV russo sulla biografia del poeta Esenin

 
"Mio caro, sei nel mio cuore.
Questa partenza predestinata
Promette che ci incontreremo ancora.

Arrivederci, amico mio, senza mano, senza parola
Nessun dolore e nessuna tristezza dei sopraccigli.
In questa vita, morire non è una novità,

ma, di certo, non lo è nemmeno vivere."

Poco  prima di morire all’età di trent’anni Esenin si tagliò le vene e con il suo sangue scrisse queste parole di addio…



SAN NICOLA D’OLTREMARE…

9 09 2009

Piccolo contributo alla dotta e divertente storia sulle vicissitudini terrene e ultraterrene di San Nicola pubblicata da Primaticcio una decina di giorni fa http://lacriptadeicappuccini.splinder.com/post/21206787/San+Nicola+a+Bari+tra+la+manna

Lui vi porta a Bari e io, invece, oltremare… Ecco qui le foto della chiesa di San Nicola a Myra, in Turchia da dove sarebbero state trafugate le ossa del santo da parte dei Normanni

 

 

I russi, notoriamente molto devoti al santo, si sono curati del restauro della basilica che era in rovina

 

Il portico esterno

 

L’interno

 

 

La zona absidale con i resti del ciborio

 

 

Uno dei tre sarcofagi manomessi, tra i "papabili" come possibile sepoltura originaria di San Nicola…

Di "manna" però, neanche l’ombra 😀