REVOLUTIONARY ROAD LA “RIVOLUZIONE” IMPOSSIBILE – L’impietoso diario di una coppia in crisi dal romanzo di Richard Yates

10 02 2009
revolutionary road1
«No, non sarà così per noi, noi siamo diversi, non annegheremo nella ruotine e nelle frustrazioni di tutti i giorni.»
La ricostituita coppia Kate Winslet – Leonardo di Caprio, diretta da Sam Mendes, questa volta ci parla ancora di sogni, ma sogni amari, inseriti in una quotidianità vera e angusta, quella dell’America anni ’50.
Così, dopo qualche anno di matrimonio, ecco affiorare l’insoddisfazione e lo scontro, la moglie April, che aveva cullato il suo desiderio di diventare attrice, è costretta ad ammettere di essere rimasta solo «una promessa» del teatro e nulla più; resta senza lavoro e finisce per interpretare il ruolo della "desperate housewife" a tempo pieno. Frank, il marito, che sognava un non meglio definito "lavoro creativo" ed eccitante, si abbruttisce dalla mattina alla sera nella stessa azienda dove aveva lavorato suo padre, quella nella quale aveva giurato che non avrebbe mai messo piede. Magari è più in su di un grandino, ma, in fondo, fa solo l’addetto alle vendite, un anonimo impiegato di cui nessuno si ricorderà.
Tutti, amici e conoscenti, stanno in una via residenziale periferica, Revolutianary Road, e il nome del luogo è l’unica cosa davvero rivoluzionaria di questa vita, nella quale ogni cosa appare immobile, finché April (per la quale Kate Wislet ha ricevuto il Golden Globe), non convince Frank a lasciare tutto e trasferirsi a Parigi, cambiare vita, insomma.
Tutti, amici e conoscenti, restano scioccati: perché si dovrebbe cambiare vita? Che follia è mai questa? Eppure c’è anche qualcuno che li invidia e qualcun altro, invece, che li capisce.
Peccato che l’unico a comprenderli sul serio – e non solo come atto di compatimento per la stravaganza di una giovane coppia con la testa fra le nuvole – sia «il matto del villaggio» con un dottorato in matematica, certo, ma anche 34 elettrochoc alle spalle.
April, però, appare convintissima e determinata: «In fondo – sostiene – tutti riconoscono la verità, anche quelli che la nascondono. Col tempo imparano soltanto a mentire meglio.»
Ma la società appare avvolgente prima come una chioccia e poi come un boa costrictor che abbraccia e stritola nelle sue spire, risucchia i due protagonisti: prima Frank accetta un avanzamento di carriera; poi April deve ammettere di essere incinta, anche se non vuole il bambino. Il viaggio a Parigi doveva essere anche un modo per sfuggire alla prospettiva di un altro figlio.
La reazione della donna è vissuta dal marito come un affronto, un’insensata fuga.
Frank parla e parla, ma per ascoltare solo se stesso. Meglio pensare che l’insoddisfazione di Kate nasconda qualcosa di patologico, da cura psichiatrica, perché così non dovrà fare i conti con la propria interiorità.
La conclusione è quasi inevitabile: di coloro che hanno cercato di cambiare quel mondo immobile, nessuno, alla fine, si ricorderà, se non come un’evanescente nostalgia irrealizzabile, come il sogno estivo di vivere a Parigi.


REVOLUTIONARY ROAD LA “RIVOLUZIONE” IMPOSSIBILE – L’impietoso diario di una coppia in crisi dal romanzo di Richard Yates

10 02 2009
revolutionary road1
«No, non sarà così per noi, noi siamo diversi, non annegheremo nella ruotine e nelle frustrazioni di tutti i giorni.»
La ricostituita coppia Kate Winslet – Leonardo di Caprio, diretta da Sam Mendes, questa volta ci parla ancora di sogni, ma sogni amari, inseriti in una quotidianità vera e angusta, quella dell’America anni ’50.
Così, dopo qualche anno di matrimonio, ecco affiorare l’insoddisfazione e lo scontro, la moglie April, che aveva cullato il suo desiderio di diventare attrice, è costretta ad ammettere di essere rimasta solo «una promessa» del teatro e nulla più; resta senza lavoro e finisce per interpretare il ruolo della "desperate housewife" a tempo pieno. Frank, il marito, che sognava un non meglio definito "lavoro creativo" ed eccitante, si abbruttisce dalla mattina alla sera nella stessa azienda dove aveva lavorato suo padre, quella nella quale aveva giurato che non avrebbe mai messo piede. Magari è più in su di un grandino, ma, in fondo, fa solo l’addetto alle vendite, un anonimo impiegato di cui nessuno si ricorderà.
Tutti, amici e conoscenti, stanno in una via residenziale periferica, Revolutianary Road, e il nome del luogo è l’unica cosa davvero rivoluzionaria di questa vita, nella quale ogni cosa appare immobile, finché April (per la quale Kate Wislet ha ricevuto il Golden Globe), non convince Frank a lasciare tutto e trasferirsi a Parigi, cambiare vita, insomma.
Tutti, amici e conoscenti, restano scioccati: perché si dovrebbe cambiare vita? Che follia è mai questa? Eppure c’è anche qualcuno che li invidia e qualcun altro, invece, che li capisce.
Peccato che l’unico a comprenderli sul serio – e non solo come atto di compatimento per la stravaganza di una giovane coppia con la testa fra le nuvole – sia «il matto del villaggio» con un dottorato in matematica, certo, ma anche 34 elettrochoc alle spalle.
April, però, appare convintissima e determinata: «In fondo – sostiene – tutti riconoscono la verità, anche quelli che la nascondono. Col tempo imparano soltanto a mentire meglio.»
Ma la società appare avvolgente prima come una chioccia e poi come un boa costrictor che abbraccia e stritola nelle sue spire, risucchia i due protagonisti: prima Frank accetta un avanzamento di carriera; poi April deve ammettere di essere incinta, anche se non vuole il bambino. Il viaggio a Parigi doveva essere anche un modo per sfuggire alla prospettiva di un altro figlio.
La reazione della donna è vissuta dal marito come un affronto, un’insensata fuga.
Frank parla e parla, ma per ascoltare solo se stesso. Meglio pensare che l’insoddisfazione di Kate nasconda qualcosa di patologico, da cura psichiatrica, perché così non dovrà fare i conti con la propria interiorità.
La conclusione è quasi inevitabile: di coloro che hanno cercato di cambiare quel mondo immobile, nessuno, alla fine, si ricorderà, se non come un’evanescente nostalgia irrealizzabile, come il sogno estivo di vivere a Parigi.


RICORDANDO HAROLD PINTER

26 12 2008

25 Dicembre 2008

harold pinter

Lo scrittore premio Nobel Harold Pinter, di cui avevo parlato proprio ieri, se n’è andato oggi. Il mondo rimpiangerà il suo coraggio nell’indagare l’interiorità umana, la capacità di farci riflettere sulla nostra vita e la sua graffiante ironia contro la stupidità del potere



BETRAYAL – TRADIMENTI di Harold Pinter – regia di Fabio Banfo

26 12 2008

24 Dicembre 2008

Betrayal1Seduti al tavolino di un bar due ex amanti si ritrovano due anni dopo la fine del loro rapporto clandestino: ricorrono i soliti «come stai», «che fai adesso» intervallati da pause di visibile imbarazzo e da ricordi che non collimano, stesse storie raccontate in modi ben diversi.
Ogni ricordo sbiadisce come in una vecchia foto e si vive la strana sensazione che tutte le esperienze siano sempre in bilico tra realtà e immaginazione. Ogni traccia rimane come nella memoria di un ubriaco, vacillante, piena di lacune e forse inventata, magari «riveduta e corretta». Sono amnesie provvidenziali che permettono di continuare a vivere, ma documentano efficacemente quell’insostenibile leggerezza che consente di passare dall’intimità di una vita a due alla totale indifferenza anche dopo anni di convivenza o di assidua frequentazione.

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Questo è Tradimenti di Pinter presentato nei giorni scorsi al Teatro Olmetto di Milano per la regia di Fabio Banfo. E’ il dramma dell’impermanenza e della mancanza di memoria, della vita vissuta con il massimo della distrazione: si segue un certo percorso solo perché si è imboccata quella strada apparentemente unica. Poi qualche condizione esterna cambia, e allora ci si ricorda improvvisamente che «si tiene famiglia», che non si può continuare questa relazione clandestina, diventata ormai una vera e propria convivenza parallela con tanto di appartamento per gli incontri pomeridiani.
Ma se i personaggi tentano di dimenticare come sono andate davvero le cose, Pinter, implacabile come sempre, traccia un doppio anello temporale riportandoci indietro fino al momento in cui tale relazione era cominciata, cioè il giorno stesso del matrimonio di Emma, quando Jerry era stato il testimone di nozze del suo «migliore amico» Robert .
La regia di Fabio Banfo scandisce l’itinerario temporale con didascalie in scena che sottolineano ancora di più le colpevoli dimenticanze, le pietose bugie che i protagonisti raccontano, soprattutto a se stessi prima ancora che agli altri. Tra la chiave ironico- umoristica con la quale talvolta i testi di Pinter vengono interpretati e la visione drammatica e frustrante dell’incapacità dell’essere umano di restare fedele a qualsiasi cosa, il regista ha optato decisamente per la seconda, restituendoci un testo di grande chiarezza dove tutte le motivazioni sono ampiamente sottolineate e sviscerate dalla recitazione.
La vicenda, al di là della scansione temporale, assume però, anche aspetti archetipici delle dinamiche di coppia e potrebbe essere letta a se stante, senza seguire con esattezza la sua scansione temporale perché in essa Pinter ha voluto comunicare il fallimento del rapporto coppia nel suo complesso e tutti si possono riconoscere in questo o in quel tratto perché forse tutti, almeno una volta nella vita, hanno detto quelle stesse parole e frasi magari in circostanze diverse.
Si tratta di matrimoni borghesi destinati a naufragare in partenza forse ancora prima di cominciare e che sembrano basati fin dall’inizio sulla menzogna. Matrimoni a proposito dei quali vengono in mente le parole di Svevo nella Coscienza di Zeno: «Infatti si vive poi uno accanto all’altro, immutati, salvo che per una nuova antipatia per chi è tanto dissimile da noi o per un’invidia per chi a noi è superiore»; i due coniugi si scoprono sempre più estranei l’uno all’altra e incapaci di far collimare due individualità inconciliabili. I rapporti restano sulla superficie e perfino l’amante, in fondo, si cerca per noia.
Segno del malessere generale è il continuo ricorso all’alcool anche nelle situazioni che dovrebbero essere più felici, l’analgesico più facile quando si deve dimenticare che si sta tradendo, quando si vuole evitare di pensare.
Infine, quando ormai i sensi di colpa prevalgono, si scopre che nessuno è davvero vittima e che anche i rispettivi moglie e marito si sono dati un gran bel daffare anche prima che cominciasse la storia tra Jerry ed Emma.
Matrimoni minati dall’inizio quindi, che rappresentano solo facciate di comodo, ma che «servono» al punto che se il primo finisce si pensa subito ad un possibile rimpiazzo. Così si scopre che Emma ha cercato di nuovo Jerry a distanza di due anni solo perché messa ora alle strette dalla decisione del marito di lasciarla e dalla sua confessione di averla sempre tradita. Jerry, dal canto suo, di quella loro storia durata sette anni non ricorda poi un granché come se fosse a malapena esistita. E’ un ritratto impietoso della psicologia sia maschile sia femminile perché spesso le donne vengono prese dall’angoscia irrefrenabile di restare sole, mentre gli uomini si «distraggono» assai facilmente e mettono in opera i loro consolidati meccanismi di rimozione.
Così nella vita di ognuno resta solo un’amarezza vaga e un bicchiere di brandy.
«Betrayal» è prima di tutto l’epopea del tradimento di se stessi, dei propri sentimenti e delle proprie convinzioni e la bruciante scoperta dell’incorreggibile irrazionalità del vivere.

Fabio Banfo