Memoria per i Cavalieri di Cristo

2 09 2019

Dedicato a Temple

Là non esiste né giorno né notte, là il tempo si è fermato ed esiste solo il dominio dell’eternità. I due cavalieri continueranno a cavalcare insieme per sempre perché eterno è ciò che rappresentano: il primato dello spirito e della nobiltà dell’animo su ogni nostra folle azione malvagia.

Temple Church – Londra

Il primato del coraggio e della tenacia anche sulla morte e la distruzione. Sono ancora là a cavalcare insieme nel luogo sacro del Tempio tra i loro compagni.

Di Filippo il Bello non è rimasto che il suo sepolcro di dannato e le sue ossa risorgeranno solo per la Geenna, ma loro, loro sono ancora là, tutti vivi, a testimoniare con Ugo de Payns, Gualdim Pais, Guglielmo il Maresciallo

che così sarà per sempre e il valore dell’amicizia e del coraggio, della bellezza e del bene potrà essere oscurato e anche ucciso, ma risorgerà sempre e il male non vincerà mai. Sarà sepolto e cancellato nel gorgo della sua stessa folle illusione di onnipotenza.

Chi visse per gli altri e non per se stesso, chi accumula tesori nel suo cuore e non nelle sue mani, questi vivrà in eterno.
Non nobis, Domine, non nobis sed nomini tuo da gloriam



Il tuo ultimo sguardo sull’Africa

12 07 2017

 

 

Continuo a pensare a questo film criticatissimo e fischiato a Cannes, che non si tiene insieme tra scene d’amore disperato, ma hollywoodiano, e vita dei medici di frontiera in mezzo a sangue e atrocità di ogni genere. Il fatto è che forse nella mente di Sean Penn questo film non poteva e non doveva reggere, perché doveva delineare la distanza incolmabile tra un’Africa involuta su se stessa, in una spirale di violenza e povertà senza fine e l’Occidente che chiude semplicemente gli occhi sulle proprie responsabilità e si limita a gestire le emergenze. Chi tenta di fare qualcosa, come i due protagonisti, in ambiti diversi, potrà diventare solo uno dei tanti inutili martiri dei fronti di guerra oppure verrà risucchiato dalle mille iniziative benefiche che rappresentano semplicemente dei palliativi rispetto all’assenza di decisioni politiche ed economiche a livello planetario. Due facce della stessa medaglia, armati di tanta buona volontà, ma che appaiono fuori luogo, come se con un cucchiaino da caffé si cercasse di svuotare l’oceano… I paesaggi africani bellissimi e crudeli come la natura fanno da sfondo dissonante e complementare all’orrore di cui gli uomini si rivelano capaci. La sensazione di impotenza fa semplicemente fuggire via. Chi, invece, vorrà restare a vivere in Africa e non andarsene, rinunciando, in un certo senso, alla propria vita da occidentale, subirà inevitabilmente la stessa sorte della popolazione martoriata.



A tutte le Resistenze

25 04 2014

 

Berlino, Monumento alla Resistenza tedesca

Berlino, Monumento alla Resistenza tedesca

Io ti ho visto là in quel cortile di caserma: edifici tutti uguali, alti ordinati e squallidi dalle pareti grigie Eri lì in piedi ora come allora senza paura, nudo della nudità della purezza umana. Solo perché unico nella tua coraggiosa difesa, come se il mondo intorno non importasse, come se urgesse una redenzione e un’azione che conferisse un senso a tutto il sangue, ai morti, alle ceneri cadute, alla gioventù perduta per sempre, al proprio corpo mutilato per una patria di cui non ci si poteva ancora vergognare.
Tornare a testa alta anche di fronte al plotone di esecuzione. A testa alta davanti alla storia e davanti a Dio. 

Voi non avete partecipato alla vergogna
Voi avete reagito
Voi avete dato il grande
E per sempre inesausto
Segno del cambiamento
Sacrificando la vostra luminosa esistenza
Per la libertà
La giustizia e l’onore.

(dal Monumento alla Resistenza tedesca a Berlino)

Ricordiamo anche l’eroica resistenza dei giovani della Rosa Bianca:

Avvertiamo espressamente che la Rosa Bianca non è al soldo di alcuna potenza straniera. Pur sapendo che il potere nazionalsocialista deve essere distrutto militarmente, perseguiamo un rinnovamento all’interno dello spirito tedesco profondamente ferito. Ma il chiaro riconoscimento di tutte le responsabilità che si è assunto il popolo tedesco e una lotta incondizionata contro Hitler, i suoi troppi complici, i compagni di partito, i Quisling etc. devono precedere questa rinascita. Con ogni brutalità deve essere spalancato un abisso tra la parte migliore del popolo e tutto ciò che ha a che fare con il nazionalsocialismo. Per Hitler e per i suoi seguaci non esiste una punizione su questa terra che possa essere adeguata ai loro crimini. Ma per amore verso le generazioni future, dopo la fine della guerra dobbiamo lasciare un esempio perché nessuno provi il desiderio, sia pur minimo, di tentare di ripetere simili orrori. Non dimenticate neppure i piccoli furfanti di questo sistema, annotate i nomi, affinché nessuno sfugga! 


Noi non rimarremo in silenzio, siamo la vostra cattiva coscienza; la Rosa Bianca non vi lascerà in pace.

 

 

 



Non cercate tra i morti Colui che è vivo!

20 04 2014

Noli me tangere! La più bella rivelazione è a una donna

Guercino, Cristo e la Maddalena

 

Gesù arriva quando e dove non te lo aspetti

 

Noli me tangere

Beato Angelico, Noli me tangere

 



Donna, dammi da bere

23 03 2014
Guercino, Cristo e la donna samaritana (1640-41)

Guercino, Cristo e la donna samaritana (1640-41)

 

Gesù ha bisogno di un piccolo gesto prima di rivelarsi, un piccolo gesto dell’uomo anche insignificante, ma un’azione grande e dirompente per Lui, un atto di misericordia che vada oltre tutte le barriere fittizie tra gli uomini, un’opera di solidarietà apparentemente marginale, ma che impone di fermarsi e vedere l’altro accanto a noi. “Dammi da bere”: è bastato rispondere un piccolo sì perché si creasse il vero miracolo, lo svelamento di Dio. Gesù da sempre ci conosce, gli stanno a cuore tutte le vicende della nostra vita, sa sfruttare anche  i nostri difetti per farli diventare pregi, perciò anche la curiosità e la concretezza un po’ gretta della Samaritana diventa un veicolo della conoscenza di Gesù. La sua socievolezza, la sua apertura che forse è è stata la causa dei suoi troppi mariti e amanti è la stessa che le permette di sapere che tutti gli uomini sono uguali, giudei e samaritani e tutte le altre sono solo sciocchezze che servono ai potenti per mantenere il loro potere, un modo violento per dividere le persone tra loro. E’ una forza della natura, un’istintiva questa donna che lascia l’anfora e va in paese a dire a tutti chi ha incontrato e nella sua semplicità capisce di essere stata conosciuta e valorizzata. Nella sua spontaneità quasi infantile riconosce per evidenza il miracolo. La sua conoscenza del mondo le fa intendere la verità di chi ha di fronte. Per questo Gesù le dice con chiarezza di essere il Messia, è proprio la Samaritana l’unica persona che non fa parte del suo stretto entourage a cui lo dice nei Vangeli (gli altri sono Maria sua madre, Pietro, Giovanni, Giacomo e indirettamente la Maddalena e Giuda). E questo ci fa comprendere quanto la apprezzasse.

Un piccolo gesto di misericordia viene ripagato con il centuplo di amore e di gioia.

cristo e la Samaritana

Buddham saranam gacchāmi
Dhammam saranam gacchāmi
Sangham saranam gacchāmi




UN VENERDI’ A GERUSALEMME E BETLEMME – Muri vecchi e nuovi

26 12 2012

Venerdì mattina a Gerusalemme per prima cosa ci rechiamo al mercato di Mahane Yehuda dove, nonostante si tratti del mercato ebraico, l’atmosfera è coloratissima e chiassosa come in un suk arabo. Tutte le merci sono esposte all’aperto, dalla frutta ai dolci, ai formaggi, e poi carne, pesce e spezie in un curioso incrociarsi di profumi e odori. In giro ci sono soprattutto uomini, perché le donne sono a casa a preparare la cena dello Shabbat che si festeggia a partire dal tramonto del sole del venerdì.

Non rinunciamo ad un assaggio di datteri mejoul che sono veramente una squisitezza, insieme alla spremuta di pompelmo rosa che qui è proprio un’altra cosa: non ha niente a che vedere con i pompelmi che si vendono in Italia!

Un’altra specialità tipica di queste parti è il riso all’uvetta sultanina che viene usato come contorno ai piatti di carne, mi riprometto di copiare la ricetta anche perché i sapori agrodolci che sanno di antico a me piacciono molto.

Per il resto la cucina è piuttosto simile a quella turca, soprattutto della zona di Antiochia, con la differenza, però, che non sono molto utilizzate le spezie piccanti. Un altro ingrediente che viene usato spesso è la farina di ceci cucinata in polpette (dette falafel) inserite come ripieno con varie spezie nella pita (o pida) piccola, (dalla quale probabilmente deriva anche la piada emiliana).

Esiste poi anche la pita grande quanto una pizza da mangiare come il pane con i piatti di carne o verdura, come negli altri paesi mediorientali, anche se qui viene tagliata e usata individualmente, mentre nei paesi arabi il cibo è posto direttamente sopra e viene poi tagliata con le mani dai commensali (avete presente “le mense” dei Troiani di Enea all’arrivo nel Lazio?

Tanto per dare un’idea dell’antichità di questo tipo di pane!). Abbiamo poi notato una propensione notevole per i dolci che non sono solo come quelli turchi tipo millefoglie intrisi di miele, ma hanno una composizione originale, più simile alla gelatina o alla panna cotta, ma unite alla frutta, e, devo dire, sono ottimi… anche troppo per me!

 Alla fine, però, la cucina italiana fa sempre scuola e così troviamo un intero banco dedicato a vari tipi di ravioli, fusilli e altri tipi di pasta. Chissà se saranno davvero commestibili! Dopo la famosa pizza al ketchap che ebbi la sventura di mangiare a Budapest quando trovo prodotti dall’aspetto italiano all’estero sono sempre diffidente.


Uscendo dal mercato ci lasciamo alle spalle i grandi manifesti che celebrano il rabbino Menachem Mendel Schneerson il presunto Messia del movimento religioso chassidico Chabad Lubavitch, striscioni che infestano tutta  la città e danno l’idea della prevalenza di questi movimenti estremisti all’interno dello Stato di Israele.


Dal mercato ripartiamo alla volta dello Yad Vashem “Un memoriale e un nome”  Centro mondiale per le ricerche sull’Olocausto, inserito in un vasto parco fuori della città vecchia. Entriamo subito nel museo vero e proprio dove si trova un’approfondita documentazione sulle diverse fasi della persecuzione degli ebrei.

Avendo visitato, alcuni mesi or sono, il Reichsparteitagsgelände diNorimberga, il centro dei raduni nazisti, dove era spiegata esattamente tutta la retorica del Terzo Reich sulla questione della razza – le menzogne delle leggi e il restringimento progressivo delle libertà fatto passare come “rispetto” delle minoranze – quello che si vede qui a Gerusalemme appare come complementare all’altro e assume così ancora maggiore evidenza.


Anche il luogo dove tali testimonianze sono state inserite è abbastanza impressionante perché ha una forma a capanna molto appuntita con spioventi in  cemento armato privo di intonaco, le zone espositive sono senza finestre, mentre solo il corridoio centrale prende luce da enormi finestroni.



Il percorso tra le varie sale, però, non è diretto attraverso il corridoio, ma è tortuoso in  modo tale che il visitatore si trovi sempre faccia a faccia con muri in cemento armato, nudi e altissimi che lo sovrastano, finché si giunge alla finché si giunge alla famosa cupola della “Sala dei nomi” con le foto dei deportati che non sono più tornati. La cupola ad imbuto, se da un lato somiglia ad un antico tholos, dall’altro sembra quasi un camino di fabbrica; non so se sia voluto o meno, ma a me ha ricordato proprio l’idea della ciminiera dalla quale sono passati questi morti.

Prima di questa sala, dove si giunge al culmine della drammaticità della memoria, ne trovo un’altra forse ancora più angosciante per chi si fermi un attimo a pensare: qui gli ebrei, ricordando la tragica vicenda della nave Saint Louis nel 1939  e l’odissea interminabile della nave Exodus nel 1947,  si interrogano su dove possano andare se nessuno il vuole e li accoglie e questo resta sempre un pensiero tristemente attuale anche oggi, visto che, nonostante tutto, la vita in questo territorio appare ancora estremamente precaria.

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Purtroppo ogni volta che si visita un memoriale della Shoa, proprio a causa della gravità inaudita dell’accaduto, sembra sempre che gli ebrei non siano affatto riusciti a superare la tragedia e che il dolore e il buio continuino a prevalere su tutto. Ho notato questo anche quando sono stata a Dachau (gli altri campi non li ho mai visti): il santuario memoriale delle vittime era oscuro e lugubre come pochi, non lasciava minimamente spazio alla speranza di un avvenire migliore da costruire insieme. Sembra, cioè, che questi luoghi siano testimoni eloquenti della chiusura sempre più profonda di un popolo ripiegato totalmente sul proprio dolore e auto-esclusosi dal resto del mondo per combattere la propria infinita guerra contro tutti. Le architetture parlano…



Fuori dal museo ci dirigiamo verso il Viale dei Giusti dove scopriamo le lapidi di tutti coloro che si sono schierati coraggiosamente dall’altra parte anche a costo della propria vita. All’ingresso troviamo, ovviamente, i due alberi di Oskar e Emilie Schindler. Non si può dimenticare che Oskar Schindler morì in povertà proprio per aver speso tutti i proventi delle sue fabbriche allo scopo di riscattare il maggior numero di vite.



Le scelte ideali hanno sempre un prezzo di solito alto, ma è l’unico sacrificio che fa davvero avanzare il genere umano. E’ scritto nel Talmud di Babilonia: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Più avanti un grande abete dai vasti rami è stato dedicato a Giorgio Perlasca.



Un uomo che, pur avendo compiuto inizialmente scelte sbagliate, ebbe il coraggio di ammettere i propri errori e di salvare tantissimi ebrei in modo spesso rocambolesco e incredibile; il suo esempio ci ricorda che nulla è impossibile per chi è animato dalla volontà di riuscire. Rischiando tutti i giorni la vita e spacciandosi per il sostituto del console spagnolo in Ungheria salvò circa 5200 ebrei. “Il regno dei Cieli è come un seme di mostarda, il più piccolo dei semi, ma quando cade sul terreno coltivato produce una grande pianta e diventa un riparo per gli uccelli del cielo.”


Devo dire che camminare in mezzo a queste presenze vive, nel silenzio, ascoltando solo gli alberi, è il più grande invito che abbia mai sentito a cercare il bene, perché qui si vede che esiste sempre una speranza, che c’è sempre qualcuno che ha il coraggio di difendere l’uomo anche a costo della propria vita.
Purtroppo, come scrisse Bertolt Brecht “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”…. Eppure solo attraverso gli esempi di alcuni possiamo trovare punti di riferimento per il presente.
Il nostro percorso della memoria continua rievocando i diversi aspetti della tragedia: nel silenzio che ci avvolge ci avviamo verso il “Monumento e Memoriale dei  bambini della Shoa” dove al buio, mentre scorrono le loro immagini, tra mille piccole luci accese a formare un  cielo stellato, vengono recitati i nomi di tutti i bambini morti  nei campi di sterminio.



Poco più lontano troviamo il monumento dedicato a Janusz Korczak, medico e scrittore, che preferì morire insieme agli orfani del ghetto di Varsavia (per i quali nel 1911 aveva fondato un orfanotrofio) piuttosto che lasciarli soli. Tutt’intorno e in ogni fessura della grande scultura in bronzo che rappresenta l’abbraccio di Korczak ai suoi bambini, i visitatori hanno posto piccoli sassi, per onorare la sua memoria. Infine passiamo davanti al memoriale delle Fosse Ardeatine e così, con il cuore gonfio di commozione lasciamo il parco.



Ci dirigiamo poi al Santuario del Libro dove sono conservati i manoscritti di Qumran e molti degli scritti ritrovati nelle altre grotte presso il Mar Morto. IL’esterno è molto suggestivo e solenne, dominato da una grande stele di pietra nera posta in contrasto cromatico e volumetrico con la cupola bianca che ricorda il coperchio dei vasi in cui erano contenuti i manoscritti.



All’ingresso l’atmosfera è sacrale, con il grande rotolo del libro di Isaia contenuto in un cilindro di cristallo che domina la sala centrale sotto la cupola, inserito in una struttura che ricorda i  teuchos della Torah conservati nelle sinagoghe; intorno ci sono grandi frammenti di papiro e pergamena conservati nelle teche addossate alle pareti e protetti dalla luce soffusa del luogo



E’ quasi impossibile osservarli bene qui, ma sappiamo ugualmente di essere davanti a qualcosa di preziosissimo, forse proveniente proprio dal distrutto Tempio di Gerusalemme. La voce della storia arriva fino a noi miracolosamente conservata dopo le catastrofi, quale testamento e profezia.


A poca distanza dal Museo del Libro troviamo un altro monumento di grandissimo interesse: il plastico realizzato da Hans Kroch  su disegno dello storico e geografo Michael Avi Yonah  nel quale si può vedere tutta Gerusalemme all’epoca di Cristo (secondo muro di Ezechia 700 a.C.) e nel più ampio tracciato delle mura successive, fatte costruire da Agrippa tra il 41 e il 44 d.C..


Una struttura preziosa, interamente realizzata in pietra di Gerusalemme 
in modo accuratissimo da un architetto il quale si è avvalso della collaborazione dei più autorevoli archeologi che si sono occupati degli scavi della città. Riconosciamo a sud il quartiere degli Esseni posto dove oggi si trova il Cenacolo, nelle vicinanze la casa del sommo sacerdote, le grandi torri di difesa fatte costruire da Erode il Grande con la sua reggia, il palazzo degli Asmonei poi sede del pretorio in prossimità del Tempio che qui appare perfettamente ricostruito.

Questo plastico ci mostra anche la porta Aurea oggi chiusa, dalla quale sarebbe passato Cristo al suo ingresso in città, e chiarisce come il percorso seguito dall’attuale via Dolorosa si trovasse fuori delle antiche mura di Ezechia all’epoca di Gesù, rendendo più probabile l’identificazione del luogo del santo Sepolcro con quello effettivo della crocifissione.


Certo che, osservando il plastico, ci si accorge ancora di più delle continue ferite inflitte a questa città contesa dall’incessante passaggio di invasori, popoli e religioni. Una incessante devastazione che ha coinvolto, in particolare, la zona del Tempio, ma non solo. Si tratta di una sensazione difficile da descrivere, perché mentre a Istanbul la molteplicità di volti e popoli che abitarono il centro storico ha creato una città armonica e meravigliosa, qui a Gerusalemme questo dialogo impossibile si sente ovunque e ci si accorge che tutti vivono gomito a gomito odiandosi.  Tutti venerano gli stessi luoghi e per questi si uccidono o si sono uccisi. Si rischia di ripartire da qui con una repulsione totale per qualunque religione.

Così nel pomeriggio ci attendono muri molto più moderni, che chiudono fazzoletti di terra contesi in una lotta all’ultimo sangue.

A Betlemme gli israeliani hanno costruito il famoso muro che, in realtà, come ci farà poi notare la nostra guida palestinese, fa parte dei 750 km di confine che costeggiano tutta la Cisgiordania e le enclave arabe, tra recinzione metallica doppia elettrificata (che ricorda sinistramente quella che ho visto a Dachau tanti anni fa) e muri di cemento armato vero e proprio.

In queste enclave, come per esempio anche a Gerico, tutti coloro che hanno passaporto israeliano non possono assolutamente entrare e così la nostra guida ebrea ci affida all’autista del  nostro pullman che è un palestinese.

Girano sempre in coppia per poter passare da una parte e dall’altra del confine e trattare con tutti. Ma io ho fondate ragioni per ritenere che, pur essendo gomito a gomito tutti i giorni, non si sopportino. Basta sentire i commenti della nostra guida ebrea sui musulmani e il suo senso di superiorità nei loro confronti per rendersene conto…

Intanto come biglietto di presentazione appena passato il confine ci ritroviamo di fronte ad un bianco villaggio di coloni che imperterriti continuano a vivere in pieno territorio palestinese, Il giovane arabo che ci fa da guida, in un perfetto italiano ci fa subito notare come vanno le cose.

L’unico aspetto confortante in mezzo a questo caos etnico e religioso è che gli italiani sono benvoluti da tutti, da una parte e dall’altra, almeno così sembra. Questo giovane palestinese, come molti altri qui, da quello che ho capito, dice di essere stato a lungo in Italia presso suoi parenti.

Comunque, oltre agli insediamenti dei coloni che accrescono la tensione, come se non bastasse, a Betlemme gli israeliani si sono semplicemente presi la strada principale per entrare in città insieme ad un quartiere intero, perché –  dicono – in mezzo sorge la tomba di Rachele; così, quando si entra a Betlemme, dal check-point di confine non si sa neppure da che parte girarsi tanto è il caos che regna in quelle stradine create semplicemente per un quartiere residenziale e diventate poi, a causa del muro, arterie di traffico. In questa situazione i musulmani più integralisti e arrabbiati spesso hanno preso il sopravvento e così i cristiano palestinesi che prima erano un folto gruppo ora sono sempre di meno e c’è da credere che il giorno che se ne andranno tutti; così, senza più nessuno a mediare scoppierà un’altra guerra perfino peggiore delle precedenti. Altrimenti a che cosa servirebbero dodici figli per famiglia degli integralisti ebrei (ma penso anche musulmani), e, soprattutto, dove si potranno mai insediare in questo territorio minuscolo e sovraffollato? In mezzo al deserto? Spero di sbagliarmi, ma sono molto pessimista.

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Mentre sono immersa in questi pensieri non certo positivi, ci portano in un negozio di cristiani palestinesi con l’evidente intento di farci sostenere questa minoranza… e anche questo atteggiamento è abbastanza irritante, perché gli israeliani in questo modo cercano di evitare che nelle tasche dei palestinesi musulmani possa arrivare anche un solo spicciolo. Ho notato lo stesso atteggiamento anche da parte della nostra guida: quando si gira nelle strade di Gerusalemme fa di tutto per evitare accuratamente i mercati arabi all’interno della città…. E anche a Nazareth non ha voluto attraversare il mercato arabo del centro.

Finalmente arriviamo alla grande, magnifica basilica bizantina della Natività, fatta costruire nel IV secolo

 

da Sant’Elena e restaurata nel VI, come dimostrano i resti dei mosaici pavimentali costantiniani che in alcune zone si possono ancora vedere.

La basilica è gestita in collaborazione da Armeni, Ortodossi e Cattolici. All’ingresso ci attende la famosa minuscola porticina, da cui bisogna passare inchinandosi per poter entrare: una modifica necessaria per impedire l’ingresso a cavalieri armati.

Qui finalmente ci si trova immersi nella profondità del passato, perché il sito è tutto autentico senza i pesanti interventi moderni che caratterizzano le altre chiese visitate finora; nell’insieme, però, l’edificio appare in precarie condizioni di conservazione, nonostante l’incessante afflusso di turisti.

La basilica a cinque navate comprende anche un martyrium ottagonale entro il quale è inglobata la grotta della Natività davanti alla quale tutti si accalcano per porre la mano sulla stella dorata che segna il punto dove, secondo la tradizione, sarebbe stato deposto Gesù appena nato.

Sulle pareti dell’imponente navata centrale si possono ancora vedere parti consistenti dei mosaici parietali risalenti all’epoca delle crociate.

Accanto alla basilica sorge la chiesa di santa Caterina oggi ottocentesca, ma con un bellissimo chiostro gotico sempre di epoca crociata, al centro del quale troviamo la statua di San Girolamo che ricorda il soggiorno del santo in una grotta attigua a quella della Natività, esistente ancora oggi nei sotterrai della basilica.

Qui il padre della Chiesa al quale Dio aveva rimproverato di essere “ciceronianus non christianus”, attese alla traduzione dal greco in latino della Bibbia, secondo la versione poi detta Vulgata.

E’ ora di andare e all’uscita vediamo davanti a noi il Collegio cristiano di Terrasanta. La nostra guida ci informa che i cristiani attualmente sono soggetti a diverse limitazioni dall’Autorità palestinese perché, mentre i musulmani hanno a disposizione scuole gratuite, è stato imposto ai cristiani di pagare comunque le scuole, nonostante vengano offerte gratuitamente dai religiosi.

Alla sera torniamo in albergo e ci attende la celebrazione della cena del Sabato con abluzione rituale delle mani e lettura del Kiddush, la memoria del riposo dopo la creazione, la benedizione del pane spezzato e del vino.

Così, come se niente fosse, ci ritroviamo a cambiare nuovamente pagina e al di là del muro siamo catapultati ancora una volta tra gli integralisti ebrei che celebrano con grande serietà con tutta la famiglia

al completo questa festa in una certa allegria, anche se, in realtà, il cibo è stato cucinato questa mattina e quindi, a questo punto, non è di sicuro un gran che. Oppure sarà che dopo quello che ho visto tutto mi va di traverso….

 



Cinquecento anni di coraggio, meraviglia e follia

31 10 2012

Ricordo di un uomo che cambiò il nostro mondo di guardare il mondo

La disperazione, l’eroismo, il dolore, la solitudine per creare un pensiero eterno

I’ ho già fatto un gozzo in questo stento,
coma fa l’acqua a’ gatti in Lombardia
o ver d’altro paese che si sia,
c’a forza ’l ventre appicca sotto ’l mento.
  La barba al cielo, e la memoria sento5
in sullo scrigno, e ’l petto fo d’arpia,
e ’l pennel sopra ’l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.
  E’ lombi entrati mi son nella peccia,
e fo del cul per contrapeso groppa,10
e ’ passi senza gli occhi muovo invano.
  Dinanzi mi s’allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com’arco sorïano.
      Però fallace e strano15
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra’ per cerbottana torta.
      La mia pittura morta
difendi orma’, Giovanni, e ’l mio onore,
non sendo in loco bon, né io pittore.



ISRAELE – DIARIO DI VIAGGIO – 9. JERUSALEM – La città santa delle tre religioni

29 08 2012

Ancora grotte, palmeti, deserto, lungo la strada tra Gerico e Gerusalemme, dove nella famosa parabola di Gesù il Samaritano ebbe pietà di colui che era stato ridotto in fin di vita dai briganti. Poi ecco dei campanili in lontananza, uno ha un’aria familiare: devo averlo già visto in qualche foto prima di partire. Passiamo sotto un tunnel: “Chiudete gli occhi e non riapriteli finché non ve lo dico!” ci ordina la guida.
“Ecco! Ora!” Al di là della galleria ci investe il meraviglioso bagliore dorato della Cupola della Roccia e davanti a noi c’è Gerusalemme, ancora cinta delle sue antiche mura, fiorita di cupole, campanili, minareti, marmi, luminosa di pietra chiara tipica dei suoi antichi palazzi. La spianata delle moschee e là, proprio davanti a noi, più al centro le cupole del Santo Sepolcro, le mura antiche della città crociata e musulmana che somigliano a quelle di Istanbul. E’ da allora che è cominciato il mio viaggio per arrivare qui. Avevo detto che sarei tornata da te e sono qui alle tue porte, dove è cominciato anche il viaggio di Dante e quello di tutti. Per me eri il luogo del cuore, del mistero e del silenzio. E adesso ti vedo con i miei occhi. La città delle città, il luogo più sacro e il più difficile.
Queste mura hanno visto padroni e conquistatori, da Erode il Grande ai Bizantini, poi i crociati e il Saladino, fino al restauro voluto da Solimano il Magnifico. Eppure sono ancora qui, mute testimoni del vano orgoglio degli imperi e della persistenza del divino.
Subito ci incamminiamo verso il Monte degli Ulivi dove ancora esistono piante plurisecolari dai tronchi ritorti e magnifici. Mi offrono un rametto di ulivo che conserverò. In questo luogo, come spesso capita in Terrasanta, si incrociano tanti racconti ed episodi legati al Cristianesimo: ovviamente la famosa preghiera di Cristo nel Getsemani, il sonno dei discepoli, il sudore di sangue; ma qui, poco lontano c’è anche la Chiesa del Pater Noster dove Gesù avrebbe insegnato ai discepoli la preghiera delle preghiere. E poi c’è la cappella crociata dell’Ascensione che contiene la pietra dalla quale Cristo sarebbe asceso al cielo. Oggi fa parte di una moschea, che comunque i musulmani conservano religiosamente. E poi c’è la chiesa ortodossa russa della Maddalena, che ricorda l’episodio del Noli me tangere, e, ancora, la chiesa di Santo Stefano, sempre ortodossa, che ricorderebbe il luogo in cui il primo martire, Stefano sarebbe stato lapidato. Infine, veramente bellissima, la Chiesa della Tomba di Maria, da dove la Vergine sarebbe stata assunta in cielo dopo la Dormitio. Tutto è sacro qui, tutto parla, tutto ricorda.
Per l’ingresso a Gerusalemme la nostra guida ci fa mangiare pane e vino secondo un’antichissima tradizione che risale all’epoca di Abramo:
Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sodoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle del re. Intanto Melchisedec, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abramo con queste parole: Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici”.
Pronuncia poi una benedizione che si usa anche per ringraziare Dio delle primizie della terra.
“Beato Te nostro Dio, sovrano dell’universo che ci hai concesso la vita, sostenuto noi e ci hai permesso di raggiungere questa occasione”

Una tradizione quella dell’offerta di Melchisedec che, in epoca bizantina, è stata considerata una prefigurazione vetero testamentaria dell’Eucarestia, come possiamo vedere spesso nei mosaici (mi vengono in mente Sant’Apollinare in Classe e San Vitale).
Sotto la collina sorge un antico cimitero ebraico di circa tremila anni, perché la zona è sempre stata fin dall’antichità un luogo di sepoltura, dal momento che si trovava di fronte al Tempio. Attualmente, però, le tombe sono recenti essendo state distrutte più volte dai musulmani. Quello che veramente colpisce di questa città è proprio il fatto che, pur avendo radici antichissime, spesso le costruzioni sono moderne perché tutto è stato vittima di una furia distruttiva senza precedenti dovuta alle diverse popolazioni che si sono avvicendate. E’ molto triste tutto ciò eppure questa è la situazione comune a tutta la regione tra Israele e Palestina, una situazione di violenza, di strage e di rovine che non finisce mai.
Davanti a noi nelle mura c’è una porta chiusa, la Porta Aurea dalla quale, secondo la tradizione, sarebbe entrato Cristo per recarsi direttamente al Tempio venendo da Betania, che è un piccolo villaggio appena dietro il Monte degli Ulivi. Da qui dovrebbe, secondo gli ebrei, entrare il Messia che ancora deve venire, mentre per i cristiani passerà nuovamente da quella porta nel Secondo Avvento alla fine dei tempi.
Sia gli Ebrei sia i Cristiani sono comunque convinti che quando il Messia passerà da quella porta ci sarà la resurrezione dei morti: infatti gli ebrei si sono fatti seppellire proprio qui davanti da millenni per essere i primi a vederlo in modo che subito si avveri la profezia di Ezechiele:
“La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare tutt’intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore». Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro. Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell’uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano». Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la gente d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti. Perciò profetizza e annunzia loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.”
Questa profezia per gli Ebrei è legata anche a Masada, perché le tante ossa inaridite sono state messe in relazione con gli ultimi eroici combattenti per l’indipendenza di Israele, resuscitati oggi con il ritorno del popolo nella propria terra di origine. Immagine celebrativa certo, ma pur sempre affascinante, che si basa tra l’altro, sul fatto che sotto il pavimento della sinagoga posta all’interno della fortezza è stato proprio trovato un manoscritto con questa profezia di Ezechiele.
Per impedire il passaggio di un eventuale Messia, ci dice la guida, i musulmani hanno chiuso la Porta Aurea e poi non l’hanno più riaperta. In realtà non è proprio così. Probabilmente fu chiusa dai crociati per motivi di sicurezza e poi Solimano il Magnifico nel XVI secolo, quando ristrutturò le mura, non la fece più riaprire.
In ogni caso, dopo questo momento di meditazione ci confrontiamo di nuovo con guerre e divisioni vere o presunte e con chi soffia sul fuoco delle polemiche… peccato. Questa città meriterebbe maggiore rispetto e saggezza.
Da questa collina i crociati contemplarono la città per la prima volta, mentre là davanti a noi scorgiamo la chiesa della Dormizione della Vergine sulla collina di Sion, dove si appostò Raimondo si Saint Gilles; vicino al luogo del martirio di Santo Stefano, cioè ai piedi della collina, si accamparono Roberto di Fiandra e Roberto di Normandia, mentre Tancredi d’Altavilla sistemò i suoi uomini proprio davanti al Santo Sepolcro e Goffredo di Buglione completò l’accerchiamento davanti alla Porta di Giaffa. Qui il genovese Guglielmo Embriaco smantellò le proprie navi per farne torri di attacco contro le robuste mura che non volevano cedere.
Oltre la Porta Aurea si scorge la Porta dei Leoni dove secondo la tradizione ci sarebbe stata la casa di Sant’Anna e Gioacchino.
La città vecchia è divisa in quattro quartieri: a sinistra armeno e ebreo, a destra cristiano e musulmano.
Giungiamo alla Basilica dell’Agonia o di Tutte le Nazioni – tenuta, anche qui, dai Francescani – che ricorda la drammatica preghiera nell’Orto del Getsemani e il sudore di sangue di Cristo; anche in questo caso sulle rovine bizantine e crociate si innalza una costruzione del secolo scorso di una certa suggestione, edificata dall’onnipresente Antonio Barluzzi negli anni Venti. Entriamo. Stanno leggendo il brano del Vangelo riferito a quella notte di preghiera e di disperazione che precedette l’arresto di Gesù. L’emozione è palpabile, sarà perché l’esperienza del dolore accomuna effettivamente tutti gli uomini. Se solo ci fosse la coscienza di ricordarlo e farne motivo di compassione comune e non solo di rabbia.
Si può vivere secondo la natura oppure secondo la grazia… L’albero della vita, grande film.
Usciamo alla luce dopo la penombra di marmi e mosaici e ci dirigiamo alla Tomba di Maria, custodita dai monaci greco-ortodossi; in origine era la cripta di una chiesa prima bizantina e poi crociata che fu distrutta dal Saladino, però le strutture scavate nella roccia sono conservate e risalgono al V e XI secolo. Un luogo sotterraneo di grande suggestione dove si trova anche la tomba della regina di Gerusalemme Melisenda moglie di Baldovino II e le cappelle dedicate a Gioacchino, Sant’Anna e S. Giuseppe. Quella della Dormizione della Theotokos è una tradizione molto importante per gli ortodossi che la festeggiano con una solenne processione il 27 agosto, corrispondente al nostro 15 agosto, seguendo l’antico calendario giuliano. In quest’occasione si porta per le vie di Gerusalemme verso la chiesa della Tomba di Maria l’icona raffigurante la Vergine dormiente. Successivamente le celebrazioni si concludono con un’altra processione dalla chiesa del Getsemani fino alla sede del patriarcato di Gerusalemme il 5 settembre per riportare indietro l’icona avvolta in un sudario.
Secondo la tradizione questo sarebbe il luogo dove la Vergine sarebbe stata deposta dopo la morte prima di essere assunta in cielo, poiché la tomba sarebbe stata trovata vuota. C’è però un piccolo problema: se la Vergine andò ad Efeso con San Giovanni come è possibile che sia morta a Gerusalemme? Le tradizioni si incrociano e non collimano… Ma ci troviamo in un luogo di memoria collettiva molto importante, dove Maria visse e probabilmente passò e questo è già molto emozionante. Scendiamo giù dalle lunghe scale in compagnia di un vecchio starec e ci avvolge la tipica atmosfera delle chiese ortodosse: un’oscurità mistica illuminata solo da lampade e candele. Vediamo molti fedeli e donne velate come si usa nella Chiesa dell’Est, che baciano le icone e si inchinano assorti in preghiera; ci sono moltissimi Russi qui a Gerusalemme, e tutti visitano i luoghi santi della loro tradizione. Peccato che orientali e occidentali siano divisi, questa distinzione non la capisco proprio e in fondo è solo dovuta al primato del Papa, che nella Chiesa delle origini non esisteva, visto che era divisa in patriarcati; per il resto non ci sono altri veri motivi in fondo, si tratta solo di differenze marginali. Quello che si vede è una fede ammirevole da parte dei Russi, come ho avuto modo di notare quando sono stata nel loro Paese e come posso constatare anche qui. Per me sono eccezionali e di esempio per tutti. Tra l’altro dimostrano che tutte le sciocchezze ripetute fino alla nausea sul fatto che socialismo e cristianesimo sarebbero incompatibili si smentiscono da sole, proprio con l’atteggiamento di questo popolo prima e dopo la caduta del regime. Del resto anche cristianesimo e capitalismo sono incompatibili e, credo, molto di più, vista l’ignobile schiavitù del denaro e del profitto a cui siamo sottoposti quotidianamente.
Noto che molti fedeli accendono le candele con il fuoco del luogo sacro per poi spegnerle e conservarle. Saranno riaccese durante le feste più importanti o quando si dovrà chiedere qualche particolare grazia.. Lo faccio anch’io. Non credevo che tenere in mano questo piccolo fuoco fosse così commovente, mi dispiace quasi spegnerlo. Porterò con me questa candela, nonostante la difficoltà di trasporto visto che rischia facilmente di rompersi. Ne prendo un’altra anche per mia cognata che è russa e sta aspettando un bambino. Sono sicura che le farà molto piacere.
Dentro la chiesa sotterranea c’è una piccola cappella e qui, inchinandosi per entrare, si accede nel luogo dove si conserva la pietra ove si dice fu deposto il corpo di Maria. Sull’altare che sovrasta la teca della reliquia c’è una preziosa icona dorata che raffigura la Dormizione. Non me ne importa niente se sia vero o no. Conta molto di più ciò che rappresenta: le ossa inaridite che rivivono, lo Spirito chiamato dai quattro venti che torna su di loro. “L’ho detto e lo farò. Oracolo del Signore Dio”.
E adesso entriamo in città dalla cosiddetta Porta dei Magrebini o dell’Immondizia perché nell’antichità c’era davvero un deposito di rifiuti, e ci dirigiamo verso il Muro del Pianto in mezzo a coppie di poliziotti israeliani armati fino ai denti, passando l’ennesimo check point, che ci fa rientrare nell’amara realtà di questa terra. Però siamo troppo presi dall’emozione per pensarci. Prepariamo il nostro bigliettino con il desiderio da esaudire e siccome si rivolge a Dio chiedo davvero qualcosa di quasi impossibile: che qui le cose si risolvano per il meglio. Perché questo popolo così martoriato ne ha un bisogno assoluto, nonostante i suoi errori ed eccessi. Solo un miracolo, però, può cambiare le cose. Con le spalle coperte da uno scialle in segno di rispetto mi avvicino al muro dalle grandi pietre: l’accesso è diviso per sessi, a destra le donne a sinistra gli uomini, ma questa sera non ci sono molti praticanti né uomini né donne perché è giovedì, mentre lo shabbat si festeggia di venerdì sera. Tutti poggiano le mani e la fronte sulle pietre. Tutti cercano qualcosa, chissà che cosa, ma questa pare essere la legge di ogni essere umano, credo che molti non sappiano bene perché sono qui eppure ci sono. Alla fine c’è sempre qualcosa da chiedere e molto da capire. Il cuore dell’uomo non vuole essere solo, non sa essere solo: ha sempre bisogno di un tu con cui dialogare. E qui davanti a questo muro, che in realtà non era neppure il muro del secondo Tempio costruito da Erode il Grande, ma solo quello del bastione esterno della spianata su cui sorgeva, si sentono tutte le domande, tutte le vite, tutta l’energia che sta alla base del cosmo e del nostro essere. Se solo si potesse capire o meglio sentire che essa non esiste divisa dagli altri e che dire “noi” significa tutti e non solo il gruppo chiuso a cui si appartiene, forse molte cose cambierebbero in questa terra.
E qui paradossalmente, dove sembra che non c’entri nulla, penso al Dalai Lama, alla sua saggezza su questo argomento, alla negazione del sé individuale come qualcosa di esistente: un concetto difficile da digerire per noi occidentali, ma qui si sente l’unità di cui ci parlava nelle sue ultime lezioni a Milano e soprattutto sarebbe provvidenziale essere coscienti dell’origine comune, anziché accentuare le differenze artificiose che abbondano qui.
Mentre usciamo dalla porta dei Magrebini per andare a cena, sentiamo suonare lo shofar, il corno di ariete e poi tamburi di danza: scopriamo così che si tratta della festa per un matrimonio. In effetti questo è un aspetto particolare della cultura ebraica, perché la danza, talvolta anche piuttosto sfrenata, ha un valore rituale molto importante, come ricorda anche il famoso episodio biblico del re Davide che danzava davanti all’Arca dell’Alleanza.

Alla sera dopo cena si cambia decisamente atmosfera: si va nel quartiere di Mamilla, fuori della porta di Jaffa, dove tutti si divertono e girano nei locali perché il giovedì sera è come il sabato sera per noi. Lo shabbat, come dicevo, si festeggia a partire dal venerdì sera, dal momento che l’inizio del nuovo giorno si considera dal tramonto del sole e che durante la festa non si può assolutamente fare nulla che non sia di carattere religioso.
Camminiamo in mezzo ad una marea di ragazzi seduti ai tavoli o a gruppetti per strada, tra allegria, musica e bevute, in una specie di rito liberatorio collettivo. Certo che questa terra ha veramente molte facce e non finisce mai di sorprendere. Passiamo per le vie del quartiere dai negozi eleganti con molte gioiellerie, come al solito, pieno di luci e di spensieratezza. Anche se tutte queste vetrine una dietro l’altra luccicanti di oro e diamanti mi sgomentano un po’…



ISRAELE – DIARIO DI VIAGGIO – 8. Mai più Masada cadrà – La fortezza di Erode il Grande, simbolo della libertà del popolo ebreo

20 08 2012

E oggi ci attende Masada, la grande fortezza che domina il deserto di Giuda, costruita su uno sperone roccioso come la prua di una nave a tre gradoni da Erode il Grande (dal 37 al 31 a.C.), quando, durante le sue guerre contro i Parti, contro Antioco e le controversie contro i Romani e Cleopatra non fidandosi più di nessuno, si asserragliò in questo luogo in diverse occasioni; inoltre vi lasciò i propri familiari quando andò a Roma per ottenere aiuti militari e per chiedere la corona della Giudea. Un uomo abile e spietato che sospettando della moglie Mariamne, non esitò ad ucciderla come poi fece anche i suoi due figli, ultimi discendenti della stirpe degli Asmonei (un ramo dei Maccabei) e per questo ritenuti estremamente pericolosi per il suo regno. Abbiamo già incontrato esempi della sua intraprendenza a Cesarea, dove fece costruire il suo sfarzoso palazzo di fronte al mare e il porto che tanta fortuna avrebbe avuto fino al Medioevo. Ma è qui a Masada che Erode mise in campo i suoi architetti e ingegneri migliori forse anche per sfoggiare di fronte agli ospiti la sua potenza e la pressoché illimitata autonomia della fortezza. Essa, infatti, era dotata di un sistema di cisterne così ingegnoso e vasto da permettere di resistere ad un assedio per cinque anni. Inoltre, vi erano enormi magazzini stipati di grano, altri cereali e datteri, che, dato il clima secco, si conservavano perfettamente per lunghissimi periodi. Secondo Giuseppe Flavio quando gli Zeloti si asserragliarono qui (dopo il 70 d. C.) sotto la guida di Eleazar Ben Yair; erano ancora rimaste le provviste accumulate da Erode con grandi quantità di cereali e datteri, tanto che durante gli oltre due anni di assedio dei Romani non ebbero alcun problema legato ai viveri (la fortezza cadde nella primavera del 73 d. C.). Inoltre gli assediati potevano anche cibarsi costantemente di carne e uova visto che c’erano due colombai utilizzati per l’allevamento degli uccelli i quali non venivano chiusi dentro ma erano liberi di volare dove volevano tanto sarebbero sempre tornati alla base a causa dell’impossibilità di trovare cibo e acqua in altri luoghi.
Un caso eclatante della capacità di questi magazzini di mantenere inalterate le provviste a distanza di tempo è legato ai datteri di palma che qui sono enormi, buonissimi e si chiamano medjoul, una vera squisitezza con una lunghissima vita, perché possono essere consumati senza deteriorarsi dopo anni ed anni, e, addirittura, un seme di duemila anni fa, ritrovato a Masada, nel 2005 è stato fatto germogliare nuovamente. L’unico problema, ci spiegava la nostra guida, è che poiché la palma da dattero è una specie dioica, che presenta cioè esemplari con gameti femminili e altri con gameti maschili, la pianta in questione non potrà più essere riprodotta in sé e per sé, mantenendo la sua antichità, a meno che non si riesca a far germogliare un altro seme altrettanto antico che dia origine ad una palma dell’altro sesso. In ogni caso la scoperta ha fatto giustamente notizia, anche per il suo valore simbolico: il luogo dove morirono gli ultimi difensori della libertà degli Ebrei ha generato dalle sue ceneri una nuova vita..
Avvistiamo l’alto sperone roccioso dal profilo inconfondibile, e il terribile sentiero del Serpente, così chiamato anche da Giuseppe Flavio che lo descrisse come pericoloso e pieno di insidie e burroni. E’ praticabile fino alle 10 del mattino, poi date le alte temperature, non è più consentito salire a piedi. Noi però non abbiamo alcuna intenzione di fare gli eroi, e poi forse, a questo punto, sarebbe meglio passare direttamente dal sentiero romano dall’altra parte del monte, più ripido, ma molto più corto. Però, alla fine, la funivia è così panoramica!
In breve tempo, dominando la vastissima distesa del deserto, arriviamo sulla grande spianata della fortezza, cinta ancora da 21 delle 35 torri ricordate da Giuseppe Flavio e ferita nella cinta muraria dalla breccia romana dalla quale passarono gli uomini della X legio Fretensis guidata da Flavio Silva. Sulla nostra destra vediamo le mura del palazzo dedicato all’amministrazione e i magazzini e poi le grandi terme che suscitavano l’incredulità degli ospiti, visto che si trovavano in pieno deserto. Il palazzo privato dell’imperatore era diviso in tre piani proprio nella parte più inespugnabile della montagna, lungo l’immaginaria prua rocciosa. L’edificio era sontuoso con tre grandi corpi di fabbrica affacciati sulla desolata pianura, con colonne in un unico pezzo e pareti affrescate e decorate con mosaici. Nel piano mediano si poteva ammirare anche una rotonda con colonnato. Questo palazzo venne costruito per ultimo, quando Erode aveva preso definitivamente il potere, mentre il palazzo occidentale e quello dell’amministrazione sarebbero stati edificati durante le precedenti guerre di Erode per la conquista del potere. Quando gli Zeloti si ritirarono qui utilizzarono alcuni ambienti del palazzo e edificarono sopra i mosaici delle rudimentali costruzioni, compreso un mikve’ rituale, vicino alla sinagoga. Quest’ultima ha un significato particolare per gli ebrei perché viene considerata la più antica di Israele, essendo contemporanea al Tempio. In essa vediamo dei sedili in pietra aggiunti dagli Zeloti; inoltre sotto il pavimento dell’angolo nord-ovest sono stati ritrovati frammenti del Libro di Ezechiele e del Deuteronomio. In un ambiente lì accanto scopriamo un copista in piena attività vestito con il tallit di preghiera e la kippah. L’emozione è forte: qui c’è il cuore di questo popolo perennemente oppresso e vilipeso, ma sempre risorto dalle proprie ceneri con un eroismo che lascia senza parole.
Qui vicino, nelle stanze dei Rotoli sono stati scoperti frammenti di manoscritti tra i quali quelli dei Canti della santificazione del Sabato, noti dai rotoli ritrovati a Qumran, altri frammenti rinvenuti riproducono brani del Libro dei Salmi, del Levitico e del Libro della Saggezza di Ben Sira, noto a noi come Ecclesiaste; per questo motivo e per la presenza di due bagni rituali nel sito, si è pensato che anche alcuni Esseni si fossero alla fine ritirati qui, poiché, secondo Giuseppe Flavio, vennero anch’essi perseguitati crudelmente dai Romani.
Ci sono poi alcuni dettagli importanti sui quali è necessario concentrare l’attenzione: tra i papiri ritrovati nella zona della sinagoga è stato rinvenuto (in una stanza dietro l’Aaron ha-Kodesh, la nicchia dove si conservava la Torah) anche un frammento riferito alla profezia delle ossa aride di Ezechiele (37, 1-14) alla quale ho fatto riferimento nel mio diario di viaggio nella tappa successiva dedicata a Gerusalemme. Insieme ad esso è stato ritrovato anche un frammento riferito a Deuteronomio 33-34 con la benedizione pronunciata da Mosé prima di morire per tutte le tribù di Israele. Sembra cioè che gli zeloti che avevano ristrutturato la sinagoga inserendo i gradoni in muratura abbiano voluto lasciare il loro testamento spirituale in questa stanza. Diventa ancora più suggestivo il riferimento alle ossa aride che riprendono vita riferito al ritorno degli Ebrei in Palestina. Inoltre viene spontaneo collegare la profezia di Ezechiele con il discorso che Giuseppe Flavio attribuisce a Eleazar prima della morte: egli infatti si sofferma lungamente sul valore dell’anima, sulla sua immortalità e sulla sua supremazia rispetto al corpo “Tutto ciò che è toccato dall’anima vive e fiorisce, tutto ciò da cui essa si diparte avvizzisce e muore: così grande è la sua carica d’immortalità!” Non credo che questo collegamento sia casuale e forse si dovrebbe ipotizzare un’influenza della dottrina degli Esseni sugli Zeloti visto il riferimento così insistito all’immortalità dell’anima, caposaldo delle dottrine di questo gruppo di religiosi.
Il ritrovamento all’interno della spianata della fortezza di molte monete coniate dagli indipendentisti conferma l’orgogliosa rivendicazione della propria identità e dell’esistenza dello stato ebraico rispetto ai Romani invasori.
Tornando alla struttura originaria della fortezza, poiché Erode era affetto da manie di persecuzione fino alla paranoia, nella sua residenza privata non poteva mettere piede nessuno, perciò gli ospiti erano alloggiati nel palazzo occidentale, dove c’erano anche la sala del trono e la corte ufficiale.
Durante il nostro lungo giro tra le rovine arriviamo alla “Porta dell’acqua” dove giungevano i condotti dalle alture circostanti del deserto, con lo stesso principio già utilizzato a Qumran, ma ancora più ingegnoso e complesso, l’acqua veniva incanalata attraverso piccoli condotti all’aperto e per caduta risaliva i fianchi della fortezza fino alle imboccature delle diverse cisterne che ancora oggi sono visibili sotto di noi. Ai piedi della ripida altura scorgiamo ancora i segni molto ben visibili degli accampamenti romani che si trovavano tutt’intorno alla fortezza ed erano collegati con un muro in modo da impedire qualunque tentativo di fuga da parte degli assediati. Poco più avanti ci troviamo proprio di fronte alla breccia da cui passarono i soldati di Flavio Silva . Qui i romani per raggiungere le mura della fortezza costruirono un’opera ciclopica: sul pendio naturale, che però era troppo ripido e molto più basso, edificarono con l’aiuto di grandi tronchi legati insieme e riempiti negli interstizi con sabbia e pietrisco, una rampa artificiale che arrivasse fino alle mura e attraverso la quale si potessero trasportare le macchine da guerra e, in particolare, un ariete. Così riuscirono a praticare una breccia nel muro, ma, nel frattempo, gli Zeloti ne avevano costruito un altro fatto di sacchi di sabbia e tronchi d’albero che resisteva ai colpi di ariete. Silva, però, non si perse d’animo e visto che questo bastione era formato per la maggior parte di legno, ordinò di incendiarlo. Come racconta Giuseppe Flavio, per un certo tempo il fuoco si rivolse contro i Romani stessi, poi cambiò direzione e Eleazar e i suoi 960 compagni seppero che ormai tutto era perduto, tanto più che interpretarono l’accaduto come un segno divino. Inspiegabilmente i Romani, sempre secondo Giuseppe Flavio, non attaccarono subito, ma attesero la mattina successiva; alle prime luci dell’alba la scena che si presentò davanti agli occhi dei vincitori fu impressionante: tutti gli Zeloti con le loro famiglie si erano suicidati. Gli unici sopravvissuti erano cinque bambini e due donne che si erano nascosti nelle cisterne. Nessuno dei Romani ebbe il coraggio di esultare, ma la fortezza resto immersa in un tetro silenzio. Leggendario è rimasto il discorso con cui Eleazar esortò i compagni a compiere il folle e coraggioso gesto:
“Da gran tempo noi avevamo deciso, o miei valorosi, di non riconoscere come nostri padroni né i
romani né alcun altro all’infuori del Dio, perché egli solo è il vero e giusto signore degli uomini; ed ecco che ora è arrivato il momento di confermare con i fatti quei propositi. In tale momento badiamo a non coprirci di vergogna, noi che prima non ci siamo piegati nemmeno a una servitù che non comportava pericoli, e che ora assieme alla schiavitù ci attireremo i più terribili castighi se cadremo vivi nelle mani dei romani. Siamo stati i primi, infatti, a ribellarci a loro e gli ultimi a deporre le armi. Credo poi che sia una grazia concessaci dal Dio questa di poter morire con onore e in libertà, mentre ciò non fu possibile ad altri, che furono vinti inaspettatamente.
Per noi invece è certo che domani cadremo in mano al nemico, e possiamo liberamente scegliere
di fare una morte onorata insieme con le persone che più ci sono care. Né possono impedirlo i nemici, che pur vorrebbero a qualunque costo prenderci vivi, né possiamo noi ormai superarli in battaglia. (…) Muoiano le nostre mogli senza conoscere il disonore e i nostri figli senza provare la schiavitù, e dopo la loro fine scambiamoci un generoso servigio preservando la libertà per farne la nostra veste sepolcrale. Ma prima distruggiamo col fuoco e i nostri averi e la fortezza; resteranno male i romani, lo so bene, quando non potranno impadronirsi delle nostre persone e vedranno sfumare il bottino.
Risparmiamo soltanto i viveri, che dopo la nostra morte resteranno a testimoniare che non per
fame siamo caduti, ma per aver preferito la morte alla schiavitù, fedeli alla scelta che abbiamo fatta fin dal principio”.
Ancora oggi infatti, l’aviazione israeliana porta come proprio simbolo la fortezza di Masada vista dall’alto con il motto “Mai più Masada cadrà” (in ebraico: Metzadà shenìt lo tippòl).
A livello di rilevanze archeologiche, però, sussistono parecchie perplessità da parte degli archeologi che di recente hanno esaminato la documentazione in merito al suicidio di massa (vedi: Ben-Yehuda, Nachman. Sacrificing Truth: Archaeology and the Myth of Masada, Humanity Books, 2002): anzitutto perché non si capisce come possano essere scomparsi così 929 cadaveri, visto che ne sono stati trovati solo 28 ai piedi della salita alla fortezza e forse romani piuttosto che di ebrei (sepolti insieme a ossa di maiale), mentre sulla spianata sono stati rinvenuti solo tre corpi di una donna, un uomo e forse un bambino (ma potrebbe trattarsi anche di un altro adulto). A livello di resti umani nient’altro, un po’ troppo poco anche se dovessimo ritenere che siano stati consumati dal fuoco appiccato dagli Zeloti stessi. Inoltre mentre Giuseppe Flavio dice che volutamente i rivoltosi non appiccarono il fuoco alle provviste per mostrare che non era per questo che si erano uccisi, è stato trovato uno spesso strato di cenere anche nei magazzini. Ci sono poi i 12 ostraka che secondo Yigael Yadin (l’archeologo che scavò Masada negli anni ’60), avrebbero potuto essere quelli di coloro che erano stati tirati a sorte per uccidere tutti gli altri, perché vi aveva riconosciuto il nome Ben Yair (in realtà per Giuseppe Flavio sarebbero stati 10); essi, però, non sono affatto diversi dagli altri 700 ritrovati nella fortezza e probabilmente servivano per il sistema di distribuzione dei viveri nei magazzini. Altro elemento che ha lasciato perplessi gli storici riguarda il motivo per cui i Romani avrebbero atteso un’intera notte per entrare nella fortezza, una volta che essa era ormai espugnata, esponendosi al rischio di qualche nuova contromossa degli Zeloti. In ogni caso, l’eroica resistenza di Masada resta una delle pagine di storia più commoventi e significative per il popolo ebraico e per chiunque ami la libertà, indipendentemente dal gesto estremo dei suoi ultimi difensori.

Lasciata Masada, giungiamo nell’antichissima oasi di En Gedi dove si trovano le sorgenti di Davide, che formano pozze d’acqua e cascate, e dove, all’interno di un grande palmeto, si possono ammirare i piccoli stambecchi selvatici tipici della zona. La nostra guida ci mostra un frutto caratteristico di queste parti: la mela di Sodoma, della grandezza di una piccola mela, verde, ma cava all’interno, dove si trovano dei filamenti bianchi velenosi.
La zona, ricca di grotte abitate fin dall’Età del Rame, raggiunse un notevole sviluppo a partire dal VII secolo a.C. quando fu messo a punto un ingegnoso sistema di irrigazione che permetteva di coltivare anche le viti. Durante la seconda guerra giudaica (135 d. C.) il sito divenne un’importante base strategica. Nelle grotte è stato trovato molto vasellame e estesi frammenti papiracei con passi dell’Antico Testamento, che hanno fatto ipotizzare un trasferimento degli Esseni di Qumran in questa zona dopo la distruzione del 68 d. C..
Intanto le famigliole di stambecchi continuano spostarsi sotto le palme, quasi per niente intimoriti dalla nostra presenza, comunicandoci un senso di dolcezza e allegria…



ISRAELE – DIARIO DI VIAGGIO – 7. Qumran, la Parola nel cuore della Terra

20 08 2012


Ci sono dei luoghi dal fascino pressoché inspiegabile, perché di tangibile c’è poco o nulla eppure emanano un’energia che difficilmente si può descrivere: uno di questi è sicuramente Qumran.
In questo deserto inospitale intorno al Mar Morto si alzano dei bastioni rocciosi e nudi nei quali si aprono antri e cavità dove è ben difficile credere che qualcuno vi potrebbe vivere: solo grotte scavate nella roccia del deserto, rossastra e spoglia, spesso a strapiombo su una distesa di polvere e sassi. L’insediamento, costruito tra il 150 e il 130 a.C., fu abitato fino alla repressione della rivolta degli zeloti nel 68 d. C. quando l’imperatore Tito lo distrusse. Entriamo dentro il piccolo museo, ricavato, tanto per cambiare, dentro una grotta, e vediamo alcune delle suppellettili ritrovate negli scavi e alcuni frammenti dei famosi manoscritti del Mar Morto, rinvenuti nelle grotte circostanti, ma la maggior parte di essi sono conservati nel cosiddetto “Santuario del Libro”, un museo dedicato esclusivamente alla loro conservazione a Gerusalemme. I primi manoscritti, rinvenuti casualmente da alcuni beduini nel 1947, sono stati identificati e acquistati dagli ebrei talvolta in modo avventuroso, perché c’era anche chi non voleva venderli ai rappresentati dello stato di Israele, appena formatosi. Successivamente, nel 1951, sono stati avviati gli scavi del sito e sono state individuate altre dieci grotte contenenti importanti rotoli di pergamena. Vediamo molto vasellame piuttosto semplice e poco decorato, anfore e ostraka (che non sappiamo in questo contesto a che cosa servissero, ma che sono stati ritrovati anche a Masada, dove alcuni Esseni si sarebbero rifugiati durante la rivolta contro i Romani del 68 d. C.), sandali, pettini e alcuni ornamenti che insieme ad altri ritrovamenti hanno provato il fatto che a Qumran vivessero anche delle donne e che quindi la comunità essena che vi risiedeva non era fatta semplicemente da uomini che vivevano come monaci, ma, pur essendo una comunità di asceti detti “i puri”, probabilmente erano sposati. Proprio per questo, dopo gli ultimi scavi, c’è anche chi sostiene che qui a Qumran esistesse una comunità sacerdotale dedita alla produzione di vasi ad uso religioso piuttosto che di asceti. Secondo Giuseppe Flavio, però, ci dovevano essere due categorie di Esseni : quelli strettamente dediti al celibato e quelli che invece si sposavano. Essi non avevano una loro città, ma vivevano sparsi in varie zone e addirittura a Gerusalemme ci sarebbe stata una porta che faceva riferimento al loro nome, cosa che ha fatto ritenere che vi fosse anche un quartiere esseno, identificato da qualcuno con la zona dove oggi si dice ci fosse il Cenacolo.
L’altra affascinante ipotesi è che questi manoscritti (in lingua greca, siriana, aramaica) trovati chiusi entro vasi in 11 grotte intorno al sito di Khirbet Qumran, sulla riva nord-occidentale del Mar Morto, potrebbero rappresentare, in realtà, i resti di una grande biblioteca (qualcuno dice addirittura quella del Tempio di Gerusalemme), messa in salvo proprio durante le repressioni dell’imperatore Tito. In ogni caso, gli ebrei vanno giustamente orgogliosi del fatto che tra questi rotoli sia stato ritrovato anche l’intero libro di Isaia in una versione risalente al I secolo a.C., nella forma ancora conservata anche dalla tradizione dei copisti. Ciò testimonia, la grande continuità e precisione della tradizione nel tramandare il testo biblico e quindi al museo di Gerusalemme questo manoscritto ha un posto assolutamente privilegiato: un elevatore automatico in caso di sisma o di bombardamento farebbe sprofondare la teca del rotolo all’interno della terra. Così il cerchio si chiude: nascosto e protetto per 2000 anni nel cuore della Terra questo rotolo così prezioso potrà tornarci ancora se sarà necessario… Comunque, quella che si può vedere di solito esposta al pubblico è una copia esatta dell’originale perché quest’ultimo deve essere conservato sempre al buio per evitare deterioramenti e viene mostrato solo in occasioni particolari.
Nel frattempo d’improvviso si aprono le porte della grotta-museo e siamo proiettati nella luce abbagliante delle rovine di Qumran. Se il repentino passaggio “dal buio alla luce”, tanto per rimanere in tema, è stato calcolato, devo dire che ha ottenuto il suo effetto. Ci ritroviamo circondati dal sole abbagliante tra pochi lacerti di muro e ambienti scavati nella roccia. Gli scavi, così spogli e disadorni con rovine molto semplici e austere, invece di deludere danno la sensazione di un luogo metafisico sotto questo sole che proietta le poche ombre con incredibile nitidezza. Si vedono canalizzazioni per convogliare l’acqua che arrivava qui raccolta attraverso molti piccoli rigagnoli lungo le pareti dei monti circostanti. Poiché il tipo di terra della zona, una volta bagnata diviene impermeabile, si sfruttava questa caratteristica per creare dei piccoli canali lungo i fianchi delle alture fino ad arrivare alle cisterne e ai pozzi. Questo perché mentre sulle alture pioveva, nella depressione del Mar Morto questo era un evento assai più raro.Vedo poi il refettorio comune e il deposito dei vasi per uso sacerdotale, che gli Esseni producevano, date proprio le caratteristiche dell’argilla della zona. Accedendo attraverso un camminamento sopraelevato, giungo davanti ai gradini di alcuni bagni rituali per immaginare la vita di questi studiosi della Bibbia, i pii, i puri, un po’ rivoluzionari un po’ profeti. La nostra guida ci dice che in uno dei manoscritti ritrovati qualche studioso avrebbe riconosciuto il nome di Giovanni (che è stato ricollegato a quello che noi chiamiamo il Battista) con il riferimento al fatto che dopo aver vissuto lì, si sarebbe ritirato nel deserto in solitudine. Ma il dato non è sicuro. I manoscritti ritrovati sono, tra l’altro, di genere diverso, ma tutti di grande interesse, perché spesso originali cioè mai conosciuti prima. Tra questi ricordiamo la Regola della comunità, la Regola dell’assemblea, la Regola della guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre, il Commentario ad Abacuc; il Documento di Damasco..Come apprendiamo dalla Regola della comunità la giornata di questi asceti cominciava con la preghiera di fronte al sole, poi, dopo il lavoro, prima di mangiare insieme, con la benedizione di pane e vino, facevano le abluzioni rituali nei bagni detti mikve’ citati in precedenza. Osservavano rigorosamente il sabato, vivevano di ciò che produceva la terra e pare avessero i beni in comune e praticassero il baratto. Erano, a quanto sembra, contrari alla schiavitù. Si vestivano di tessuti non tinti di lino, come quelli ritrovati a protezione dei manoscritti stessi. Copiavano e leggevano continuamente la Torah e avevano una visione dualistica della lotta tra bene e male (forte distinzione con predestinazione tra figli della Luce e delle Tenebre), probabilmente influenzata dal mitraismo. Influenza che ritroviamo anche nel Vangelo di Giovanni. Inoltre elaborarono anche una loro dottrina degli angeli ( e anche questo aspetto testimonierebbe il rapporto tra i Vangeli e tale comunità di asceti).
Tra i manoscritti rinvenuti, un’altra opera che ha suscitato un notevole interesse è Il rotolo del Tempio che fornisce la pianta dell’edificio e la descrizione degli arredi e delle attrezzature che conteneva, elemento che ha fatto pensare alla presenza di sacerdoti nella comunità; qualcuno sostiene, infatti, che gli Esseni fossero sacerdoti ribelli che avrebbero abbandonato il Tempio per protesta dopo l’avvento di re ellenistici neopagani.
Nel cosiddetto Rotolo di Rame si parla anche di un presunto tesoro del Tempio, in oro, argento e pietre preziose, che sarebbe stato nascosto, suddiviso in 64 luoghi, ma tutti i tentativi di ritrovarlo sono falliti. Perciò alcuni hanno pensato che il tesoro fosse un concetto simbolico non semplicemente materialistico.
Anch’io ne sono convinta: il tesoro è qui, in questo deserto nel nulla dove c’è il tutto, anche se, per citare i detti di Jeshu, “nessuno lo vede”.